Svolta Climatica: da Parigi a Glasgow /3

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La svolta climatica si inserisce in un contesto di accordi mondiali con obiettivi precisi, su cui si innestano le quote nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti.

Nel mio primo articolo (cf. SettimanaNews) ho analizzato in dettaglio il quadro di riferimento internazionale. A integrazione di quelle riflessioni, sottolineo l’impegno del Giappone, attraverso le recenti dichiarazioni del suo giovane Ministro dell’Ambiente, Shinjiro Koizumi.

Il Giappone è storicamente molto refrattario nell’accettare limiti alle proprie emissioni: pensate che oltre un terzo dell’energia elettrica nipponica viene dal carbone! Proprio Koizumi, a gennaio 2021, ha confermato l’impegno per la chiusura delle centrali a carbone inefficienti entro il 2030, insieme ad una legge per impegnare il proprio Paese verso la neutralità carbonica nel 2050, come già dichiarato dal Primo Ministro Suga a fine ottobre 2020.

Sono segnali importanti, confermati dalla grande crescita dell’energia verde (in particolare solare ed eolico) in tutto il mondo.

La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è più economica rispetto a quella prodotta da fonti fossili: già oggi siamo pronti per cambiare del tutto il nostro sistema energetico e fare a meno di petrolio, carbone e gas, di certo per necessità, ma soprattutto per convenienza da tutti i punti di vista. Lo spiego nel dettaglio in questo articolo.

Perché così a rilento?

La riflessione porta ad una domanda, quasi scontata: perché non procediamo speditamente nella direzione giusta? È evidente che il radicale cambiamento del sistema non conviene a chi oggi detiene il potere, proprio in funzione dell’attuale status quo. Le stesse compagnie energetiche a controllo statale, in particolare ENI, non si muovono nella direzione corretta, ma resistono sul fronte degli idrocarburi.

Con una battuta ascoltata in un recente convegno, si può dire che «il futuro è già presente, ma il passato non vuole passare». Per fortuna ci sono anche segnali di speranza come l’istituzione del nuovo Ministero per la Transizione Ecologica per gestire i (tanti) fondi europei che arriveranno nei prossimi anni.

Occorre una svolta culturale, perché l’intero sistema economico possa cambiare rapidamente, altrimenti gli obiettivi dell’Accordo di Parigi non saranno raggiunti, con le drammatiche conseguenze del caso.

A titolo di esempio, l’anno scorso il Parlamento Europeo ha approvato l’obiettivo della riduzione del 55% (rispetto al 1990) delle emissioni di gas serra entro il 2030: dal 1990 al 2020 la riduzione di emissioni in Europa è arrivata quasi al 30% (in Italia intorno al 20%), quindi nei prossimi dieci anni, dobbiamo aumentare (e di molto) il ritmo, per arrivare a ridurre di un ulteriore 25%! Il 37% dei fondi dell’European Green Deal servono proprio per questo. Di fatto, è più di una rivoluzione industriale, in cui chiuderanno le vecchie filiere produttive, mentre se ne apriranno delle nuove.

I passi da compiere

Gli studi confermano che il saldo è positivo, sia in termini numerici (i posti di lavoro creati sono più di quelli persi), sia qualitativi (i nuovi lavori sono più qualificati e meno usuranti dei vecchi). Ecco qui il riepilogo dei passi da seguire, perché la transizione diventi realtà.

Il primo punto è la riduzione del consumo di energia, eliminando gli sprechi. Il concetto alla base è la sobrietà, ovvero un uso adeguato e rispettoso di tutte le risorse, perché tutte richiedono energia. Per quale ragione ci sono case riscaldate a 23 gradi d’inverno? Oppure ghiacciate d’estate? Stesso discorso per negozi o uffici.

Lo stesso approccio si può estendere all’acquisto dei beni che ci servono, ma nella giusta quantità. Da qui deriva il grave problema dello spreco di cibo (Laudato si’ n. 50), che è anche un enorme spreco di energia.

Altro esempio è l’organizzazione efficiente dei trasporti e della mobilità, sia delle merci sia delle persone. Puntare sul trasporto pubblico, invece del mezzo privato, insieme al trasporto sia di persone sia di merci su rotaia invece che su gomma, consente di ridurre in modo significativo il bisogno di energia, con risparmi sia per il singolo cittadino sia per l’intera Comunità.

A seguire, c’è tutto il tema della maggiore efficienza energetica degli edifici e dei mezzi a nostra disposizione. La consapevolezza che la casa in classe A ha un valore molto più alto di quella in classe G, sta portando importanti investimenti nel settore edilizio.

Un grande impulso arriva dalle detrazioni fiscali, che sono arrivate fino al 110% con il superbonus edilizio, proprio per lavori quali il cappotto, la sostituzione della caldaia e degli infissi, con il vincolo di aumentare di almeno due classi energetiche. Ricordo che ogni passaggio di classe energetica comporta il dimezzamento del consumo di energia, quindi guadagnare due classi significa un risparmio del 75%. Allo stesso modo, le automobili elettriche sono molto più efficienti di quelle con il motore a scoppio.

Gli esempi sono numerosi, ma attenzione al cosiddetto effetto rebound, in cui le persone, a fronte di un investimento per il risparmio energetico (p. es. il cappotto della propria casa), aumentano e di molto i consumi (ad esempio, mantengono la temperatura molto sopra i 20 °C), non avendo quindi i risparmi energetici sperati. Per questo rimando di nuovo al tema della sobrietà nell’utilizzo delle risorse.

Una massiccia elettrificazione

Il concetto è arrivare ad un’economia circolare, dove tutti i prodotti sono progettati in funzione del loro uso e del riuso al termine del ciclo di vita, in una logica rigenerativa che ne garantisce la sostenibilità.

Altro aspetto fondamentale, che richiederà grandi investimenti coordinati dal nuovo Ministero della Transizione è la massiccia elettrificazione per gli usi finali di energia. Già oggi, i nuovi quartieri residenziali non hanno i tubi del gas, perché sia la cottura dei cibi, che il riscaldamento sono fatti con dispositivi elettrici, come fornelli a induzione e pompe di calore.

Allo stesso modo, i mezzi di trasporto pubblici e privati avranno motori elettrici. Intere filiere produttive saranno rapidamente sostituire da altre, quindi va posta grande attenzione alla perdita dei posti di lavoro, con l’obiettivo di salvaguardare i lavoratori, a cui deve essere garantito l’adeguato accompagnamento verso le nuove produzioni.

Il maggiore consumo di elettricità è il volano necessario per un clamoroso aumento della produzione di energia elettrica: i nuovi pannelli fotovoltaici hanno rendimenti superiori al 20%, quindi anche superfici relativamente piccole, possono produrre buone quantità di energia, ma non basta; il salto di qualità lo avremo con l’installazione di grandi impianti su terreni dismessi, come le discariche in post-esercizio o grandi parchi eolici off shore, come quelli nel Mar del Nord.

Ci sono interessanti progetti al largo della costa romagnola e nel canale di Sicilia, che hanno bisogno solo delle autorizzazioni, perché i capitali sono interamente privati.

La produzione di energia rinnovabile, distribuita e altamente variabile, richiede forti investimenti sulla rete elettrica, che deve diventare intelligente, capace di accumulare e rilasciare energia in modo adeguato. È un sistema più complesso dell’attuale, ma è necessario per garantire la transizione.

Appello ai cittadini

L’ultimo ambito riguarda il rapporto con il suolo e i suoi prodotti: dal radicale cambiamento della pianificazione urbanistica, puntando tutto sulla rigenerazione urbana e il recupero delle aree dismesse e impegnandosi per il completo stop al consumo di terreno agricolo. Il terreno, infatti, è la fonte primaria del cibo, intrappola grandi quantità di anidride carbonica e ospita molta biodiversità.

Non è ammissibile continuare con la distruzione di suolo vergine! Purtroppo sono in progettazione diversi poli logistici nel Nord Italia, che comportano la cementificazione di migliaia di ettari di terreno, per fini speculativi e a danno dell’ambiente.

Gli ultimi baluardi contro questi mostri sono i cittadini e, in particolare, i giovani, mentre i politici, in modo miope, assecondano le richieste del potere economico. Proprio i cittadini possono fare la differenza, puntando su una alimentazione sostenibile, con una importante riduzione del consumo di energia e di emissioni. Ad esempio, le persone adulte e sane non dovrebbero mangiare carne e orientarsi su prodotti locali e biologici. Allo stesso tempo, occorre superare l’agricoltura intensiva tradizionale e arrivare all’agro-ecologia, dove la riscoperta di pratiche di coltivazione ecosostenibili comporta l’abbandono di gran parte della chimica utilizzata nei campi. Ciò è ancora più urgente per la scarsità di minerali, come i fosfati, usati nei fertilizzanti.

Ho riportato qui solo alcuni esempi, ma invito a leggere il documento di Legambiente, dove ci sono tante idee e progetti, da finanziare con il Recovery Fund, perché il nostro sistema diventi ecosostenibile.

Concludo con una frase di Antoine de Saint-Exupéry, che ritengo molto appropriata in questo momento storico: «Per quanto riguarda il futuro, non si tratta di prevederlo, ma di renderlo possibile». Buona Transizione a tutti.

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