La notizia è apparsa sabato 17 sul giornale belga-fiammingo Het Nieuwsblad. Il prof. Wim Distelmans, presidente della Commissione federale di controllo e di valutazione sull’eutanasia ha dichiarato che per la prima volta era stata accettata la domanda di eutanasia per un giovane minorenne (17 anni). In conformità alla legge del 2002 (modificata nel 2014) che la prevede di fronte a «sofferenze fisiche insopportabili e inaffrontabili a causa di un incedente o di una malattia, con la previsione a breve del decesso».
Nel 2015 sono state 2.020 le dichiarazioni di eutanasia nel paese. La posizione negativa e critica della Chiesa e dei vescovi è nota. È stata affiancata da una presa di posizione collettiva di 162 pediatri che notano: «Siamo oggi perfettamente in grado di controllare il dolore fisico, l’ansia da soffocamento e l’angoscia dell’avvicinarsi della morte». Come ha già notato mons. Van Looy su queste pagine l’evento ha segnato il superamento di un limite e di un confine di grande valore simbolico. Il dibattito internazionale che ha provocato (assai più vivace di quello interno) lo dimostra.
Deriva eutanasica
La deriva eutanasica è attiva in tutto l’Occidente con esiti giuridici diversi. A favore di un’eutanasia attiva (assistenza al suicidio) in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Canada. Sul limite di un’eutanasia passiva e indiretta (interruzioni delle cure, senza atti letali) in Svezia, Germania, Spagna e Francia. Condiviso da tutti il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il discorso sul morire torna in pubblico grazie ad alcuni casi molto mediatici, ai racconti cinematografici e televisivi e ai dibattiti alimentati dalle organizzazioni favorevoli all’eutanasia. Anche la “morte pubblica” di Giovanni Paolo II nel 2005 ha contribuito al cambiamento. La morte è sempre più percepita non tanto come nemico da combattere ma come compito da gestire.
Può sembrare paradossale ma i riferimenti sia di quanti sostengono il suicidio assistito, sia di quanti l’avversano sono in apparenza gli stessi: l’autodeterminazione, la libertà, la qualità della vita. Ciò che li distingue e che determina opzioni contrapposte è il quadro antropologico (e teologico) complessivo: l’autonomia priva di relazioni da un lato, la vita come dono ricevuto e dato, dall’altro.
L’autonomia è invocata di contro alla dipendenza dalla cura e dall’aiuto degli altri; la libertà sembra richiedere il controllo e la pianificazione della propria morte; la qualità della vita è ricondotta all’assenza di dolore. In ogni caso vi è una rinnovata domanda di accompagnamento e di una presa in carico complessiva, oltre le specializzazioni della medicina. La cartina al tornasole più significativa è costituita dalla cure palliative, centrali per chi si oppone al suicidio assistito e di scarso rilievo per chi lo sostiene.
La riflessione delle Chiese
Come facevano notare i vescovi dell’Oberrhein (Friburgo, Strasburgo e Basilea) nel 2006: «Lo sviluppo della medicina moderna, il finanziamento delle strutture sanitarie pubbliche e la giusta ripartizione delle loro prestazioni pongono le nostre società davanti a grandi sfide che richiedono una nuova riflessione da parte di tutti noi. Ma questa nuova riflessione non può sfociare in una limitazione dei diritti dei morenti quando non corrispondono più agli ideali sociali dell’autodeterminazione, dell’indipendenza e della capacità di riuscita. Le persone malate, bisognose di cure e morenti appartengono alla società umana al pari di tutte le altre» (cf. Regno-doc. 1,2007,33).
Custodire, ma andare oltre le posizioni tradizionali della Chiesa, cercare nuore ragioni e nuove argomentazioni per l’attuale contesto e cultura sociale è anche ciò che chiede un testo della Commissione nazionale Giustizia e pace della Chiesa cattolica della Svizzera (giugno 2016). Fra le raccomandazioni finali alla Chiesa si dice: «Avvertire le nuove sfide legate alla morte. Anche le Chiese devono riposizionarsi di fronte alle sfide della vecchiaia e della morte. Questo significa, fra l’altro, non condannare immediatamente ma prendere sul serio le attese, le paure e i bisogni della gente. La ricerca di una buona morte ha oggi bisogno di risposte nuove e credibili. Essa deve riconoscere il desiderio di una buona morte anche nell’appartenenza a un organizzazione di assistenza al suicidio o nel desiderio di un suicidio assistito».
Le Chiese sono chiamate a difendere i vecchi e i deboli e impegnarsi di più nell’ambito delle cure palliative. «Le Chiese devono proporre più occasioni per parlare della vita e della morte. Sarebbero nei fatti interlocutrici nate sulla questione. Hanno purtroppo perso di credibilità nell’opinione pubblica a causa delle loro culture tradizionali, dei loro giudizi morali talora di principio e a causa di numerosi scandali». «Le Chiese hanno bisogno di offrire qualcosa di nuovo. Per una cultura dalle questioni aperte, una cultura che tollera la debolezza e la morte senza lasciare la gente abbandonata a se stessa, è necessario che la Chiesa faccia nuove riflessioni».