L’Abruzzo, l’Umbria, le Marche sono il cuore buono d’Italia, mi disse un giorno mons. Loris Capovilla lasciandomi a lungo pensare. Ora questo cuore buono ha tremato.
Nella primavera del 2009 l’Abruzzo, nell’estate 2016 le altre due regioni sorelle. Una città, una cittadella e i piccoli borghi che la coronavano ora sono stati feriti a morte. I borghi poi – fra i più belli d’Italia – sono stati quasi rasi al suolo, senza più i tratti distintivi di paesini da presepio, sì disadorni ma preziosi e capaci di creare la tenera geografia della vita raccolta e sobria, e quella della sapienza cristiana penetrata finanche nelle pietre insieme a una delicata pietà.
Tuttavia, queste non sono le uniche distruzioni: dopo che abbiamo visto i pezzi del “Vangelo di pietre e di colori” sbriciolati sotto i colpi virulenti del terremoto, l’occhio amareggiato va oggi sempre di più sui calcinacci che s’accumulano come spazzatura, mentre contengono i segni belli dell’arte, che restano pur sempre intrisi di pietà e di mistero.
Così passano ancora dinanzi agli occhi del cuore le figure di un cristianesimo popolare e colto, nel quale sono stati incisi nel tempo gli stigmi di un Vangelo sine glossa, di una fede essenziale e severa, di una pietà attiva, e correnti monastiche, che conoscono l’ascesi e la radicalizzazione delle istanze cristiane. Ma soprattutto dobbiamo guardare ad altre macerie, quelle dello spirito, attivando l’intuito della fede.
Quella notte cattiva
Il vento
soffia basso
e sbuffa folate d’aria
come rantoli paurosi.
Gli uccelli
spauriti
si nascondono
nel cielo gelido
che schiaccia la notte
sui monti sagomati
di bianco-ghiaccio.
L’eco stridula del Sisma
sigilla alla fine
con un punto
di sangue vermiglio
il pianto cantato
di un popolo
ormai già martire.
Il suo grido trafigge
la nube lucente
da cui tu lo guardi,
Dio che, di là del tuo
terribile silenzio,
hai di certo
un cuore imperlato
di misericordia.
Lezione amara
Il terremoto
è una terribile scrittura
sulla schiena
di quelli che restano
che non sopporta commenti:
Tutti i nostri progetti
sono scritti sempre a matita.
L’Aquila e Amatrice,
Accumoli e Arquata del Tronto…
Le appostazioni di Dio
Tu, Dio, ci sorprendi sempre:
ci aspetti dove noi siamo,
passi dove noi passiamo
e ci parli con le tue assenze
profumate di pienezza.
Tu sei il Dio altissimo
e comunichi con noi
rasoverbo,
con le parole mute
del silenzio più chiuso.
Tu ci chiami anche gridando
con la voce sorda e cavernosa
d’un micidiale Terremoto
spaventando noi
e la notte che ci custodiva.
Tu ci incontri all’alba
per svegliarci l’anima
con un schiaffo della Natura
e ci incontri al tramonto
per ricordarci che la vita
non è un dono scontato.
Tu ci incontri
in casa e fuori casa,
Dio che abiti
il visibile e l’invisibile
e ci stimoli a risalire
le linee d’ombra
per tornare al tuo cuore,
centro del tempo, che tu riempi
di ore di grazia
e della terra, che è tua creatura
sia quando è feconda e genera
sia quando è sterile e uccide.
Tu ci chiami a raggiungerti
passando per le ferite
della nostra Città
squassata dal Sisma,
e t’incammini con noi
sulle tracce di colpevoli sabbie
impastate di sangue
e annerite da un dolore invocato.
Così, tu ci chiami
anche per le strade bastarde
dell’insipienza e del disamore
e dici che vuoi stringerci a te
ora, ma anche con braccia
di passato e di futuro.
Tu ci attiri al tuo volto
per darci
il bacio paterno
che ristora
fino alla radice di noi.
E noi ci inchiniamo
al tuo santo volere,
Dio della vita e della morte,
cercando se mai ci sia ancora
un piccolo spazio non rotto
per inginocchiarci
e adorarti nel pianto.
Richiesta
Quando
giungeranno
nel tuo seno
i figli della nostre
povere terre
che l’ottuso Mostro,
in una iniqua notte,
ha diviso da noi
per sempre,
tu, che sei un Dio di cuori,
dà loro in compagnia
solo angeli miti.
Nessun commento