Nelle molte interpretazioni che hanno cercato di accompagnare i primi tre anni di Francesco c’è come una grande assenza, che nessuno sembra reputare decisiva per comprendere il suo ministero di vescovo di Roma, chiamato alla cura della fede dei molti fratelli e sorelle nel Signore – ovunque essi si trovino. Eppure, questa assenza, questo vuoto, detta molto più di quanto comunemente si pensi lo stile e le scelte di un pontificato certamente inedito. Si tratta di quella sospensione dell’esercizio abituale della Chiesa cattolica realizzatasi con la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino. È in questa sospensione che si inscrive l’opera di Bergoglio, traendo da essa la legittimazione e la necessità di un riposizionamento teologico e culturale della stessa istituzione della fede. Ed è su questa soglia epocale che andrà cercata ogni continuità tra due visioni della Chiesa nel mondo così diverse tra di loro. Il vero azzardo di Bergoglio sta nell’aver assunto fino in fondo questa cesura e sospensione prodotta da Ratzinger tre anni fa con la sua scelta di riconsegnare il ministero di Pietro alla sapienza spirituale dell’Evangelo, comprendendo che proprio così si faceva il bene della Chiesa.
L’introduzione di un tratto profetico nel cuore dell’istituzione, la consapevolezza dell’esaurimento del modello moderno dell’organizzazione del rapporto fra la Chiesa cattolica e il mondo, un allargamento ospitale del logos cristiano al meglio dell’umano e la restituzione del dovere della Chiesa alle pagine luminose dell’Evangelo di Gesù si sono realizzate per mano di Benedetto XVI, come forma di un’obbedienza allo Spirito a cui neanche il successore di Pietro può sottrarsi. In questo modo Ratzinger ha delineato il quadro del ministero del suo successore ben più di quanto abbia potuto fare ogni politica organizzativa in sede di Conclave. Francesco ha colto con intelligenza illuminata l’urgenza della prima istanza, senza tralasciare la seconda che però, nella prospettiva di una continuità così intesa fra gli ultimi due papi, può realizzarsi con coerenza solo come conseguenza di un attraversamento senza timore e remore del tempo della sospensione indotto dalla rinuncia di Benedetto XVI.
Chi guarda con nostalgia alla Chiesa cattolica sotto Benedetto XVI, e con timore alla via intrapresa da Francesco, manca il nesso profondo che unisce il gesto del primo al ministero del secondo. Coloro che, invece, scalpitano in attesa di una riconfigurazione istituzionale tutta decisa da un uomo solo al comando, si pregiudicano la possibilità di cogliere l’apertura profetica e sapienziale inaugurata da Ratzinger stesso quale condizione previa irrinunciabile per una Chiesa a venire che sia all’altezza dell’Evangelo e della storia in un medesimo gesto. Se Francesco avesse chiuso immediatamente la sospensione voluta da Benedetto XVI ne avrebbe immiserito la portata e non ne avrebbe assunto la sfida, a detrimento della Chiesa tutta. In gioco non c’è la soddisfazione di alcuni e il ridimensionamento di altri, ma il destino stesso della Chiesa cattolica oltre la modernità, quindi oltre la possibilità di un cattolicesimo che si coltiva esclusivamente a partire da se stesso come centro del mondo. Stare nel tempo della sospensione riavvicina l’istituzione al principio evangelico che l’origina come destinazione al mondo della sorprendete dedizione di Dio per l’umano che ci è comune. Non meno di questo chiedeva Ratzinger a tutti nel momento in cui compiva il suo passo indietro, per restituire alla comunità dei discepoli e delle discepole del Signore la cura e la responsabilità sull’istituzione della fede.
In questo senso, Francesco ne ha davvero raccolto il testimone riaccendendo l’esigenza di condividerlo con ogni credente. La misura della fede non può oggi più nascondersi dietro nessun facile pretesto, qualsiasi sia l’ideologia in cui l’abbiamo immiserita: chi sa abitare la pagine affidabili del Vangelo sa anche qual è il suo compito in questo passaggio in cui ne va del cuore pulsante della comunità che il Signore desidera edificare in mezzo agli uomini e le donne di ogni tempo.
Marcello Neri