Il grave vuoto di tutela dell’interesse del minore, nato da fecondazione eterologa praticata all’estero da due donne – pratica non consentita in Italia per una scelta del legislatore non costituzionalmente censurabile –, il cui rapporto, dopo anni di convivenza e di esercizio congiunto di funzioni genitoriali, è diventato conflittuale, non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore.
L’ordinamento deve garantire piena tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico da parte di entrambi i componenti della coppia che ne hanno voluto la nascita all’estero con una maternità surrogata – pratica vietata in Italia in quanto lesiva della dignità della donna – e che lo hanno poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale.
È quanto hanno stabilito due corpose sentenze della Corte Costituzionale depositate il 9 marzo 2021 relative ad altrettante tematiche eticamente sensibili.
Si tratta di pronunce decise il 28 gennaio 2021: la n. 32, redattrice la giudice Silvana Sciarra, a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Padova sull’impossibilità da parte di due donne non unite civilmente di essere riconosciute in Italia entrambe come madri (biologica l’una e intenzionale l’altra) di due gemelle ottenute con fecondazione eterologa eseguita in Spagna; e la n. 33, redattore il giudice Francesco Viganò, a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione (Prima Sezione Civile) sull’impossibilità di riconoscere in Italia una sentenza straniera di attribuzione dello stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente, che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata in Canada.
Tutela dei nati da fecondazione eterologa praticata all’estero da due donne
La questione centrale affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 32 attiene allo status di due gemelle nate (in Italia) a seguito di procreazione medicalmente assistita praticata all’estero (a Barcellona) da una coppia omosessuale composta da due donne, nella quale una delle due si sia sottoposta a fecondazione eterologa e abbia portato a termine la gravidanza, divenendo la madre biologica delle nate, e la compagna, quale madre intenzionale, abbia prestato espressamente il suo consenso al progetto procreativo.
L’insorgere di situazioni conflittuali all’interno della coppia aveva determinato il venir meno del legame tra madre biologica e madre intenzionale alla quale era stato impedito l’esercizio della responsabilità genitoriale, risultando altresì impraticabile la procedura della particolare adozione prevista dall’articolo 44 della legge 4 maggio 1983 n. 184 per assenza del relativo consenso, da parte della madre biologica-legale, previsto quale condizione insuperabile, previo accertamento giudiziale dell’interesse del minore.
A fronte di tale situazione, la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Padova, afferma che spetta al legislatore individuare il «ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana», per fornire un’adeguata tutela del minore relativamente «alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise», evitando di generare disarmonie nel sistema.
Nella motivazione della sentenza si fa riferimento a precedenti decisioni della Corte Costituzionale da cui emerge la costante attenzione al «superiore interesse del minore» (il c.d. best interest of child), anche nato da procreazione medicalmente assistita prima ancora che la pratica della fecondazione eterologa fosse disciplinata dalla legge 19 febbraio 2004 n. 40, e la valorizzazione della genitorialità sociale, se non coincidente con quella biologica, non essendo il dato della provenienza genetico-legale requisito imprescindibile della famiglia.
Nella sentenza si citano inoltre gli strumenti internazionali dei diritti umani e la giurisprudenza delle due Corti europee (la Corte europea dei diritti umani e la Corte di giustizia dell’Unione Europea), per far emergere un quadro ampio e sinergico di riferimenti alla tutela degli interessi “preminenti” e “migliori” dei minori nello stabilire legami con entrambi i genitori.
In via esemplificativa la Corte Costituzionale indica gli ambiti entro cui potrebbe svolgersi l’intervento del legislatore per assicurare adeguata tutela ai minori: dalla riscrittura delle previsioni sullo status filiationis, a una nuova tipologia di adozione che garantisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione.
Tutela dei nati da maternità surrogata vietata in Italia ma possibile all’estero
La vicenda sfociata nella sentenza n. 33 riguarda un bambino nato nel 2015 in Canada da una donna nel cui utero è stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana. Quest’ultimo “contrae matrimonio” in Canada – con atto trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con un altro uomo, anch’esso cittadino italiano, con il quale condivide il progetto genitoriale. In forza di una sentenza canadese, il bambino è iscritto come figlio di entrambi gli uomini nel registro locale dello stato civile. I due uomini, rientrati in Italia, chiedono, senza ottenerlo, il riconoscimento dell’efficacia di tale sentenza nel nostro ordinamento.
Nel dichiarare inammissibile la questione sollevata dalla Corte di Cassazione, la Consulta anzitutto ribadisce che il divieto, penalmente sanzionato, di ricorrere alla pratica della maternità surrogata risponde a una logica di tutela della dignità della donna, mira a evitare i rischi di sfruttamento di chi è particolarmente vulnerabile perché vive in situazioni sociali ed economiche disagiate, è considerato espressione del principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori fondamentali.
Tuttavia, anche in questo caso, la Corte osserva che la questione sottoposta alla sua attenzione è focalizzata sul «superiore interesse del minore» (il c.d. best interest of child) nei suoi rapporti con la coppia (omosessuale o eterosessuale) che condivida il percorso che va dal suo concepimento, in un paese in cui la maternità surrogata è lecita, fino al suo trasferimento in Italia, dove la coppia risulta prendersi quotidianamente cura del bambino.
In questa situazione – osserva la Corte – l’interesse del minore è quello di «ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata». Questi legami sono, infatti, parte integrante della stessa identità del minore, che vive e cresce nell’ambito di una determinata comunità di affetti; il che vale anche se questa comunità sia strutturata attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, poiché l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale.
Inoltre, il bambino ha un evidente interesse a vedere affermata in capo a costoro i doveri inscindibilmente legati all’esercizio della responsabilità genitoriale e ai quali non è pensabile sottrarsi ad libitum.
D’altra parte, la Corte riconosce che gli interessi del bambino possono essere bilanciati con la finalità legittima di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, vietata dalla legislazione statale; e sottolinea come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo non imponga l’automatico riconoscimento di eventuali provvedimenti giudiziari stranieri di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale od omosessuale) che faccia ricorso all’estero alla maternità surrogata.
In tal caso, tuttavia, occorrerà assicurare la tutela degli interessi del bambino al riconoscimento del suo rapporto giuridico anche con il genitore “intenzionale” «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino».
In proposito, la Corte evidenzia che il ricorso all’adozione in casi particolari, previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 del 1983 e già considerato praticabile dalla Cassazione, «costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali».
L’adozione di casi particolari (la cosiddetta “adozione non legittimante”) non attribuisce, infatti, la genitorialità all’adottante. Non è chiaro, inoltre, se essa istituisca rapporti di parentela tra l’adottato e coloro che quest’ultimo percepisce socialmente come i propri nonni, zii, o addirittura fratelli e sorelle. Infine, questa forma di adozione resta comunque subordinata all’assenso del genitore “biologico”, che potrebbe anche mancare in caso di crisi della coppia.
In conclusione, pur ribadendo che «la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», la Corte Costituzionale dichiara “indifferibile” l’individuazione, da parte del legislatore italiano, di un procedimento di adozione idoneo a tutelare pienamente gli interessi del minore, nato all’estero da maternità surrogata, al legame di filiazione con il “genitore d’intenzione”.
Il non agevole compito del legislatore
Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela del superiore interesse dei minori nati all’estero da fecondazione eterologa tra coppie delle stesso sesso e/o da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima e doverosa finalità di disincentivare il ricorso a queste pratiche e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori – spetta dunque al legislatore, al quale va riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco.
Dovrà necessariamente essere un intervento in grado di disciplinare in modo organico una materia di notevole complessità sistematica e dai risvolti etico-sociali altamente sensibili, che consenta di ovviare alla frammentarietà e alla scarsa idoneità degli strumenti normativi attualmente impiegati per tutelare contemporaneamente il superiore interesse del minore indipendentemente dalle modalità del suo concepimento e la dignità della donna, mettendone al bando ogni forma di reificazione e mercificazione.
Dovrà essere un intervento caratterizzato soprattutto da grande saggezza, da profonda ponderazione, ma soprattutto da assenza di ogni aprioristica opzione ideologica, fermo restando, a mio parere, che, stante il valore costituzionale della dignità umana che permea di sé il diritto positivo e svolge un ruolo decisivo nell’interpretazione di tutte le norme dell’ordinamento giuridico, la libertà di autodeterminazione non può tradursi in scelte che degradano e sviliscono la persona umana, reificandola e mercificandola. Il tutto, prendendo realisticamente atto che gli orientamenti in materia sono fortemente influenzati dalle convinzioni etiche e dai riferimenti valoriali di ciascuno.