La morte di Hans Küng sopravvenuta all’età di 93 anni ha rimescolato oltre 50 anni di dialettica teologica e di confronti serrati tra sostenitori della continuità dello spirito innovatore del Concilio vaticano II e chi, temendo dei debordamenti dottrinali, ha cercato di incanalarne i processi nel solco della tradizione di controllo dei dicasteri romani.
Post Concilio: un tempo di sfide
La ventata di novità aveva innescato sfide ambiziose, sia nelle forme dell’annuncio evangelico che nella ricerca di nuove modalità di essere testimoni in un tempo di profonde trasformazioni sociali e culturali. Dopo i primi anni di entusiasmo gli ostacoli si sono subito rivelati. Per i guardiani dell’ortodossia cattolica romana quelle fughe in avanti rischiavano di delegittimare le funzioni di controllo e di tutela della tradizione.
Lo spostamento dei recinti per allargare gli spazi di legittimità della ricerca teologica sembrava mettere in dubbio gli assiomi di una ortodossia immutabile e da rispettare. Le linee di demarcazione degli spazi della salvezza che da cattolico-centrica andava assumendo aspetti sempre più universali faceva presagire uno stemperamento delle verità rivelate.
Gli anni ‘70 del secolo scorso hanno visto diversi teologi venire privati della missio canonica dell’insegnamento nelle facoltà di teologia, soprattutto a chi si stava occupando di materie come la morale e l’ecclesiologia. Altri sono stati richiamati a correggere parte delle proprie tesi e dei propri scritti.
La motivazione sottesa era dettata dalla necessità di difendere la Chiesa dal rischio di diventare ostaggio di movimenti segnati da varie forme di relativismo religioso. La questione della Salvezza di tutti e per tutti, sin dalle origini della creazione, ha aperto una quæstio la cui disputazione è ancora in corso.
Küng, il comunicatore
Hans Küng, grazie alla sua grande capacità comunicativa, da una parte, alla sua collocazione geografica in area geografica protestante con docenza in università di Stato, dall’altra, ha saputo offrire risposte a quesiti fondamentali della Chiesa di fine millennio, circa, ad esempio, le strutture di potere e di comando e riguardo al significato del celibato sacerdotale piuttosto che dell’assenza delle donne nei ministeri della Chiesa.
È soprattutto a causa del suo testo sull’infallibilità del papa che, nel 1979, gli è stata tolta la facoltà di insegnare in nome e per conto della Chiesa cattolica. In quel periodo il collega di insegnamento di dogmatica era Walter Kasper, che nel 1989 diventerà vescovo della diocesi di Rottenburg-Stuttgart, in cui ha sede la facoltà di teologia cattolica di Tubinga. È intervenuto allora il governo del Land Baden-Wurttemberg per garantirgli la continuazione del suo impegno teologico, assicurandogli una cattedra.
La sua incessante produzione letteraria, accessibile al largo pubblico, gli è valsa una notorietà indiscutibile e per questo assai problematica per gli assetti ecclesiastici romani. Di sicuro non era un ingenuo, sapeva perfettamente quali fossero le ricadute possibili delle sue sfide. Non per nulla alcuni titoli dei suoi libri di memorie – e quindi di vita vissuta – contengono la parola “battaglia”, a designare il suo percorso impegnato a mantenere una “libertà conquistata”.
È stata una persona animata anche da una grande stima di sé stesso e delle proprie capacità, sempre in grado di mettersi in mezzo al cerchio, per interloquire con tutti, a tuti i livelli e su tutti gli argomenti possibili, pur riconoscendo i propri limiti in materie diverse dalla teologia e dalla filosofia.
Il suo impianto di rigorosa ricerca e di sistematizzazione degli argomenti rispecchia la struttura delle summæ teologiche del passato. Non gli mancavano chiarezza e coerenza di contenuti e di forme. La Herder Verlag lo ha onorato con la pubblicazione di 24 volumi della sua produzione teologica: un tributo riservato solo a pochissimi testimoni chiave del ‘900.
Non solo critica alla Chiesa
Ma Hans Küng non è stato solo il critico della Humanae vitae, l’enciclica che ha suscitato perplessità in buona parte della teologia d’oltralpe; e neppure solo della messa in discussione della infallibilità del papa: questione tuttora aperta a varie interpretazioni nell’approfondimento degli ambiti in cui l’infallibilità trova la sua legittimazione, tra servizio alla Chiesa e gestione di apparati. Già il Concilio di Gerusalemme aveva indicato la strada per dirimere temi sensibilità all’interno della Chiesa delle origini.
Hans Küng è stato soprattutto un teologo dell’ecumene, capace di mettere al centro della sua attività l’intuizione della necessità di pensare ad un’etica globale, in grado di superare gli steccati spinosi dei recinti delle religioni. Poco dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, davanti all’Assemblea dell’ONU, ha ribadito che, di fronte ai processi della globalizzazione e alla minaccia di scontri di civiltà, occorreva promuovere un’etica globale, non semplicemente quale ideale ottimistico ed ingenuo, bensì quale visione realistica della speranza.
Il suo testo del 1993, elaborato durante il Consiglio del Parlamento delle Religioni a Chicago, rimane un documento ancora del tutto valido. È infatti indiscutibile la funzione e il ruolo delle religioni, sia nella costruzione sia nella legittimazione dei conflitti. Ma le religioni possono avere anche e soprattutto un ruolo nello sviluppo di percorsi di riconciliazione e di ricostruzione della fiducia reciproca.
Il ’900, il secolo dei nazionalismi esasperati, della polarizzazione di interessi di parte, giunti fino alla determinazione di cancellare dalla faccia della terra interi popoli, ha visto svanire le promesse del socialismo reale e del liberismo economico, in confronti distruttivi tra interi continenti del pianeta. La cultura necessitava quindi di un nuovo paradigma di relazioni, di una nuova ottica per comprendere in modo globale, olistico, tutte le interconnessioni e le interdipendenze che legano popoli e paesi, e, con loro, le religioni professate.
Il principio di umanità
Il suo progetto Weltethos, Etica Globale, che si fonda sul principio di umanità, ha visto la realizzazione della Fondazione da lui istituita e presieduta fino all’insorgere della malattia che progressivamente gli ha impedito di leggere e di scrivere. Si tratta di un progetto che ha dimostrato tutta la sua validità e attualità, anche se in Italia a dire il vero, non ha suscitato molto interesse.
La sua diffusione ha toccato soprattutto contesti di pluralità confessionale e religiosa, suscitando speranze e movimenti di dialogo in tutti i continenti. Non è stata solo la formulazione di un’idea, bensì di un concreto programma educativo, in grado di coinvolgere generazioni del futuro di questa nostra umanità.
Il suo pensiero e la sua azione si sono accomunati a quanto elaborato anche da altri grandi padri del dialogo interreligioso, quali Raimon Panikkar o Jacques Dupuis. Per rafforzare la dimensione di trasversalità di tutti i saperi, nella necessità del dialogo e della condivisione, a Tubinga è nato anche il Weltethos Institut, una accademia che raccoglie aspettative e progetti di studenti di tutte le facoltà della città, atta a reinterpretare, in chiave policentrica e globale, i valori fondanti di tutte le civiltà umane, alla cui radice sta sempre l’etica della regola d’oro: «tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt. 7,12).
La diffusione del messaggio è stata affidata ad una mostra di 16 pannelli, di cui 8 dedicati alla conoscenza degli elementi fondamentali delle maggiori religioni del pianeta e altri 8 a ricordare i valori fondanti di tutte le civiltà. Questa mostra è stata tradotta in più lingue ed è stata esposta in diversi ambiti della vita pubblica, con priorità nelle università e nelle scuole superiori. Non sono mancati anche progetti di catechesi per bambini e scolari delle primarie, perché la cultura della tolleranza e della pluralità necessita di essere praticata sin dagli anni della prima formazione, per poter diventare habitus di vita.
Küng e Francesco
L’avvento al soglio pontificio di Francesco ha riacceso in Hans Küng il desiderio di un abbraccio fraterno all’uomo di fede che ha fatto dei valori del poverello di Assisi il suo programma pontificio: una risposta attesa da anni.
Le politiche ecclesiali di papa Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI poi, sembravano aver messo la parola fine alla possibilità di una riconciliazione autentica, nel rispetto e nella dignità reciproca.
L’incontro con l’uomo Josef Ratzinger a Castelgandolfo è stato, in effetti, un primo passo per ritrovare lo spazio del dialogo. D’altra parte, Küng non aveva dimenticato le modalità con cui era stato chiesto al grande teologo morale bavarese Bernard Häring – morto il 3 luglio del 1998 – di correggere alcune sue posizioni “critiche” in materia di morale.
Nel suo libro Meine Erfahrung mit der Kirche il grande moralista della seconda metà del ’900, narra le pressioni subite dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Perseverare
Definire Hans Küng come il ribelle dei dogmi della Chiesa è una inaccettabile e distorta semplificazione del suo pensiero e della sua opera. Non si può negare il suo carattere schietto e diretto, ma, con questo, Küng ha sempre mostrato coerenza e affetto nei confronti della Chiesa, di cui si è sempre sentito membro attivo.
Non ha accolto le sirene di chi lo ho invitato ad aprire solchi incolmabili. Ha scelto la perseveranza nella ricerca di risposte alle domande che fede e ragione gli ponevano ogni giorno. Ha avuto il coraggio di sollevare le ancore – come del resto hanno fatto alcuni altri suoi predecessori – per avventurarsi nel mare dalle acque agitate della contemporaneità, per poter parlare alle donne e agli uomini di oggi di una salvezza universale, voluta da Dio, sin dalle origini del mondo.
La salvezza universale trova il suo completamento nella venuta di Cristo, ma ciò non dilegua l’alito di Dio sull’intero universo, non modifica ciò che è “da sempre”.
La dialettica, talvolta brusca, nella critica ad alcuni documenti del magistero, non era in lui dettata da pregiudizio e opposizione alla autorità papale: voleva manifestare sempre la libertà di pensare altrimenti le funzioni e la missione della Chiesa in una umanità in piena evoluzione. Probabilmente è stato uno dei teologi più letti dalla “gente” – del tutto laica, poco credente oppure credente e praticante – negli ultimi 50 anni. Non è affatto escluso che la sua opera abbia portato abbondanti frutti, rafforzando la fede trinitaria e l’amore per la Chiesa.
I suoi ultimi anni sono stati segnati dalla misericordia, dalla riconciliazione e dalla consolazione, grazie all’affetto e alla stima espressagli, in più occasioni, da papa Francesco.
Proprio in occasione del passaggio della presidenza della Fondazione Weltethos al suo successore Eberhard Stilz, Hans Küng ha voluto leggere il biglietto inviatogli da papa Francesco. La commozione per quelle parole di affetto e amicizia hanno colpito tutti gli amici presenti: finalmente la communio tra le sorelle e i fratelli ha preso il sopravvento sulle incomprensioni e le contrapposizioni spesso alimentate da distorte narrazioni di parte.
L’ultimo Amen di Hans Kung
Aveva 86 anni (“oltre trentunmila giorni) Hans Kung nel momento in cui terminava di scrivere le memorie della sua vita, che si concludevano con queste parole seguite dalla preghiera dal titolo “Il mio ultimo amen”.
“Il mio amen lo dico solo a colui in cui per tutta la vita ho riposto la mia fiducia ultima: In te Domine speravi, non confundar in aeternum – In te mi rifugio, Signore, ch’io non resti confuso in eterno (Sal 71,1). Al termine di queste mie memorie voglio dichiarare la mia fede in Dio non solo con una citazione biblica. La voglio testimoniare con una preghiera nella lingua degli uomini di oggi, come ho talvolta osato fare anche davanti ad una grande pubblico”.
La nostra vita è breve, la nostra vita è lunga. E pieno di meraviglia sto di fronte ad una vita che ha avuto le sue svolte inattese e pure la sua linearità: una vita di oltre trentunmila giorni, belli e foschi, mutevoli, che hanno portato con sé tante esperienze, nel bene come nel male, una vita di cui posso comunque dire: è stato bene così.
Ho ricevuto incommensurabilmente più di quanto ho potuto dare: tutte le mie buone intuizioni e le mie buone idee, le mie buone decisioni e azioni mi sono donate, permesse dalla Grazia. Quando ho deciso erroneamente e agito male, mi hai guidato in modo invisibile. Ti chiedo perdono per tutto, dove ho mancato.
Ti ringrazio, Inafferrabile, Onnicomprensivo, ovunque Onnioperante, Principio, Sostegno originario del nostro essere che noi chiamiamo Dio. Tu, il grande mistero indicibile della nostra vita,
Tu, l’infinito in ogni finitezza, Tu, l’ineffabile in ogni nostro discorso.
Ti ringrazio per questa vita con tutti i suoi misteri e le sue stranezze. Ti ringrazio per tutte le esperienze, quelle chiare e quelle oscure. Ti ringrazio per tutto ciò che è riuscito, e per tutto
ciò che Tu alla fine hai volto in bene. Ti ringrazio che la mia vita è potuta divenire una vita riuscita,
non per me solo, ma anche per coloro i quali hanno potuto parteciparvi.
Il piano secondo cui trascorre la nostra vita con tutte le sue prove e tribolazioni, lo conosci Tu solo. La tua intenzione con noi non la riconosciamo fin dall’inizio. Non possiamo vedere, come Mosè e i Profeti, il tuo volto in questo mondo. Ma come Mosè nella cavità della roccia ha potuto vedere di spalle il Dio che passava, così anche noi possiamo riconoscere la tua mano, o Signore,
nella nostra vita e possiamo apprendere che Tu ci hai portati e guidati e che ciò che noi stessi abbiamo deciso e fatto è stato ogni volta da Te ricondotto al bene.
Così, tranquillo e fiducioso, pongo anche il mio futuro nelle tue mani. Siano molti anni o solo poche settimane, mi rallegro di ogni nuovo giorno che mi è donato e lascio a Te in piena fiducia senza preoccupazione e angoscia tutto ciò che mi attende. Perché Tu sei come l’inizio dell’inizio e il centro del centro, come anche la fine della fine e il fine dei fini. Ti ringrazio, mio Dio, perché Tu sei misericordioso e la tua bontà dura in eterno.
Amen. Così sia.
(Hans Kung, Una battaglia lunga una vita, Rizzoli 2014, pagg. 1110-1112).
Il Professor Kung è certamente una figura centrale del cattolicesimo post conciliare.
È altrettanto certamente una figura molto divisiva.
Egli è stato quasi il simbolo di un cattolicesimo non romano e svincolato dalla Tradizione (la maiuscola non è un errore).
Quello che in molti si chiedono è se sia pensabile un cattolicesimo non romano e svincolato dalla tradizione.
Una tale Chiesa sarebbe la stessa di San Francesco, di Giovanni Bosco oppure una organizzazione del tutto svincolata da quella storia?
Questa è la domanda.
Le risposte possibili sono solo due.
Il tentativo di Benedetto XVI di tenere tutti insieme è chiaramente fallito.
L’unità del cattolicesimo è un ricordo.
La frattura passa attraverso le diocesi, le parrocchie e le famiglie religiose.
È un fatto sul quale ragionare.
La polemica di Küng, negli anni, ha investito innanzitutto il pontificato di san Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI ] il primo considerato reazionario, il secondo addirittura scismatico. Ma è sul beato Paolo VI, il papa che portò a compimento il Vaticano II, che infierì la polemica del teologo svizzero, che non poteva tollerare la sua genuina intuizione riformatrice del Concilio, alla quale opponeva una chiave di lettura fuorviante — perché storicistica e umanistica — che faceva leva sul «concilio dei mass media», come acutamente ebbe poi a dire Benedetto XVI.
L’ecclesiologia di Hans Küng merita infatti di essere ben conosciuta perché oggi essa non ha un peso teologico marginale, anzi costituisce proprio l’ideologia filosofico-religiosa dominante in ambito cattolico. Le categorie concettuali e le fonti letterarie principali sono quelle della Riforma luterana e della filosofia religiosa di matrice luterana, rappresentata nell’Ottocento dal sistema idealistico di Georg Friedrich Hegel e nel Novecento dalla «dogmatica ecclesiale» — die Kirchliche Dogmatik — di Karl Barth. I capisaldi di questa ideologia filosofico-religiosa sono rappresentati dallo storicismo e dalla dialettica immanentistica. La Chiesa cattolica viene così interpretata come un momento storico della dialettica dello Spirito — inteso, questo, non tanto come lo Agion Pneuma del dogma cattolico quanto piuttosto come «der Geist» di Hegel .
(padre Antonio Livi)
Gian Piero, scusa, ma questo farneticante commento è farina del tuo sacco o di Antonio Livi? Uno dei più importanti teologi moderni liquidato in siffatta maniera? Solo in un ambiente “indietrista”, rigidamente chiuso ad ogni anelito di rinnovamento e permeato da una visione clericalista reazionaria, poteva manifestarsi una critica così insulsa e superficiale al lavoro teologico di Hans Kung. Paradossale che venga elevata l’accusa di ideologia religiosa da parte del dottrinalismo clericalista (Antonio Livi ne è un esemplare esponente) che ha usato la religione cattolica come una ideologia svuotata di realtà e di Vangelo.
Articolo ben fatto, centrato ed interessante. Tuttavia dando uno sguardo su Twitter e su altri media (social e no), si possono leggere commenti (parola grossa!) che definiscono Kung “eretico” senza se e senza ma. C’è una larga parte di mondo (pseudo) cattolico che ragiona (si fa per dire) per massimalismi. Gli stessi che giudicano Kung eretico perché condannato dalla CdF ma a loro volta giudicano eretico Papa Francesco perché non va nella direzione che piace a loro. E in ogni caso nulla hanno letto, sia di Kung che del Papa. Tuttavia è un mondo pseudo cattolico molto chiassoso e come mi ha detto una nota teologa Usa, dobbiamo muoverci per calmare questo eccesso di polarizzazione ecclesiale. Dunque ignorare tali posizioni non serve. Ed inviterei l’autore di questo articolo a muoversi in tal senso. Ed anche la Direzione di Settimanews potrebbe fare qualcosa di più, con articoli di analisi di tali posizioni. Chiudendo la porta, non si esclude il mondo, lo si lascia agire indisturbato. E non credo possiamo permettercelo!