Siamo tutti cresciuti con una particolare attenzione alla figura di Maria santissima nel mese di maggio, con “fioretti” e incontri devozionali di particolare intensità e di viva commozione, ma non è così nell’emisfero Sud dell’orbe terrestre. Perché? Le origini risalgono al Vangelo per quanto riguarda la venerazione a Maria, ma per il periodo dipende delle stagioni climatiche.
Una devozione che viene da lontano
Gli antichi greci celebravano le giornate di fine di aprile e inizio maggio con speciali feste ad Artemide, la dea della vegetazione e della fecondità, mentre il mese di maggio era visto soprattutto come il risveglio della natura e il tempo della grande fioritura. Tuttavia, nei primi secoli, non si è pensato di collegarlo a un culto mariano, anche se vi era una corrente di pietà popolare di un mensis marianus già nel medioevo, ma lo si collocava piuttosto al tempo tra l’Assunzione e l’Esaltazione della santa croce (15 agosto-14 settembre).
Un accenno a maggio si trova tra le 428 Cantigas de Santa Maria del re Alfonso X di Castiglia (1221-1284): parlando di maggio nell’inno Ben vennas, il re poeta loda e supplica Maria.
Nel XIV secolo a Tolosa si celebrava il 1° maggio come festa della vegetazione ed era esaltato il fiore più bello: Maria santissima.
Ma è soprattutto nel 1600 con alcuni gesuiti (Nadasi, Vinckle, Jacolet) che si sviluppa questo rapporto tra la fioritura dell’ambiente e la devozione a Maria santissima, integrandovi appunto il rosario.
Ovviamente questo è un mese autunnale per l’emisfero meridionale, e quindi i cattolici di quelle zone “celebrano maggio” in novembre: così avviene ad esempio in Argentina, Cile, Paraguay o Africa del sud. Ci può sorprendere… ma già a Natale là non abbiamo la neve, ma il massimo caldo e, per spiegare la povertà di Betlemme, non si può dire ai bambini che Gesù soffriva il freddo e il gelo, ma troppo caldo, senza ventilatori e ancor meno aria condizionata, neanche un’amaca ecc.
È solo questione di ambiente e di espressione umana, ma il messaggio è sempre uno, quello del senso sublime dell’amore di Dio per noi.
I “grani” per pregare
La devozione mariana ha trovato la sua espressione più profonda nella liturgia e quella più estesa nella recita del rosario. Sappiamo quanto i fedeli vi siano affezionati ed è una delle trasmissioni televisive quotidiane più seguite.
Del resto, la forma ripetitiva dell’orazione è presente in tutte le religiosità. Tra gli ortodossi, e non solo da parte dei monaci, si sgrana una “corda della preghiera” con nodi, che possono essere 33 o 50 o 100 secondo le tradizioni locali, ripetendo la stessa invocazione “Gesù misericordia”.
Vediamo che anche i musulmani ne portano una, spesso assai bella, ed è composta da 99 grani (oppure da 33 che si ripeteranno quindi tre volte): sono i 99 attributi di Dio, cioè Dio è grande, misericordioso, onnipotente…
I monaci buddisti, invece, usano una cordicella con 108 nodi, che sarebbero i 108 desideri da cui essere liberati per godere la vita in felicità.
Il rosario (il cui nome proviene da grani scolpiti a sembrare piccole rose) è consacrato da una devozione universale e secolare, raccomandata dai papi e dalle apparizioni della beata vergine Maria ed era visto anche come “salterio” per chi non poteva accedere ai 150 Salmi in lingua latina.
Il santo papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae vi aggiunse i cinque “misteri della luce” e invitò i fedeli a valorizzare tale pratica di pietà anche con approcci nuovi.
Accogliendo tale invito e in considerazione che tale preghiera non fa parte della “liturgia” ma resta devozione popolare, sono sorte proposte di sviluppare maggiormente la considerazione sui testi biblici detti “misteri”, oppure sceglierne di più adeguati a determinate finalità della preghiera, come quelle della famiglia, dei ragazzi, degli migranti, della vocazione missionaria ecc.
Altra linea di proposte è stata quella di ampliare i “misteri”, pur considerandone non più di cinque al giorno, ma estendendo la lista a coprire un intero mese senza mai ripetersi (es. in maggio e ottobre), oppure tutta la settimana aggiungendo, ad esempio, alle quattro cinquine esistenti altre tre, cioè dell’incontro, della parola, della grazia (in concreto: lunedì il gaudio, il martedì cinque incontri del Signore, il mercoledì cinque parabole e insegnamenti, il giovedì la luce, il venerdì il dolore, il sabato cinque miracoli di Gesù, la domenica la gloria).
Inoltre, l’invito del Concilio a essere in sintonia con il tempo liturgico fa riflettere: ad esempio, considerare i misteri gaudiosi il sabato santo o il lunedì di Pasqua (come ho sentito fare) stride con il clima liturgico… ed anche per tutta l’ottava pasquale manterrei il tema della gloria; e nelle solennità sarebbe più conveniente fermarsi solo sul mistero che la liturgia celebra, vedendone cinque aspetti.
Resta fondamentale la partenza dalla parola di Dio e quindi la supplica a Maria diventa domanda di aiuto perché sappiamo accogliere il messaggio e attuarlo. Il rosario ben si propone sia per la persona singola sia per la famiglia come per la comunità; e, in periodi di distanziamento sociale, offre l’opportunità ai genitori di aiutare i figli a pregare e a imparare una catechesi fatta in casa. Se poi per i ragazzi di oggi dieci Ave Maria sono troppe, nessuno è scomunicato se si riducono a tre.
Elemento di comunione
La devozione a Maria santissima è elemento di comunione. Un Primo Ministro d’Italia diceva che noi siamo un popolo ben diviso, tranne che su due punti dove troviamo unità: il tifo per la squadra nazionale di calcio e la devozione a Maria (nelle sue varie forme che nobilitano l’Italia).
Ma anche gli altri popoli sono ricchi di espressioni diverse e i titoli rivolti a Maria sono sorprendenti e ispiratori di fiducia e impegno.
L’arte poi si è espressa fin dalle catacombe e ancora oggi ci dà nuove immagini piene di forza poetica e, nello stesso tempo, partecipi della vita quotidiana. Talvolta sorprendono; ricordo quando mi portarono dalla Colombia una Vergine tutta colorata, che con una catena legava il drago sotto i suoi piedi e lei aveva le ali: chiesi se fosse Maria santissima e san Michele; mi guardarono meravigliati… rilessi l’Apocalisse (12,14: furono date alla donna le due ali della grande aquila…).
L’arte mariana nel mondo è stupenda e non cessa di insegnarci.
Ma nella devozione alla Madre di Dio siamo accompagnati – qualcuno dice preceduti – dai fratelli ortodossi, con la grande varietà di icone veneratissime e di inni a Maria.
La Chiesa copta e quella etiope hanno elaborato una vasta letteratura e ben 100 titoli mariani, hanno numerosissime feste precedute da digiuni, e dicembre è il mese mariano.
Gli anglicani, almeno nella High Church, hanno seguito la tradizione medioevale; su un altare di una loro chiesa vidi ben sette statue della Madonna. Una signora vescovo della Chiesa luterana di Norvegia mi diceva un giorno che anche loro stanno riscoprendo il ruolo di Maria dal Vangelo.
Pochi anni fa è uscito un volume in Germania, con il patrocinio di quella Chiesa luterana: Maria. Evangelisch. Tra l’altro proponeva di pregare: «Ave Maria, piena di grazia. Il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo corpo, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, Sposa dell’anima, con te preghiamo noi peccatori per avere la forza da Dio, ora e nell’ora della nostra morte. Amen». Non è l’Ave Maria dei cattolici, ma sappiamo che anche la nostra orazione ha subito varianti nei secoli.
Va detto che Martin Lutero sosteneva l’Immacolata Concezione di Maria e il concepimento verginale di Gesù e, se nella invocazione del suo aiuto riscontrava eccessi, egli stesso non lo negava; infatti nell’introduzione al volume sul Magnificat dice: «La dolce Madre di Dio mi conceda lo Spirito, affinché io possa spiegare con sufficiente efficacia questo suo canto».
Diffusa è certamente l’attenzione dei musulmani a Maria madre di Gesù, che chiamano Isàh. Due settimane fa il centro interreligioso “Tevere” organizzò un colloquio, dove intervenne Shafik Iradi, leader venerato degli sciiti del Libano; pareva di sentire un mistico cristiano parlare di Maria, come icona della misericordia di Dio, esempio meraviglioso di affidamento alla parola di Dio, invito a costruire pace e amore nel mondo.
Si sa che il Corano menziona Maria 34 volte ed è l’unica donna di cui faccia il nome; molte musulmane ricorrono a lei nella preghiera e ormai è frequente incontrare testi che la presentano come la Donna dell’incontro. Ne fu antesignano il beato Antonio Rosmini con una relazione del 1845; ma è dal 1950 si è avviato un vero dialogo, partendo dall’opuscolo di 90 pagine Marie et l’Islam pubblicato a Parigi da Jean Marie Abdel-Jalil, un marocchino che scelse di diventare francescano (fummo insieme per un mese nell’estate 1968 in un convento svizzero, quando l’islam a me appariva come una religione che non aveva nulla a che fare con il cristianesimo).
Che vi sia un attivo Centro mariano islamo-cristiano a Beirut fa piacere, ma sorprende assai che in Giappone esista un corrispondente Centro mariano buddista-cristiano.
Al riguardo, ricordo che, in una visita a un tempio buddista di Bangkok, vidi un’immagine della “dea della misericordia” rappresentata come una distinta signora con un bambino in braccio e la luna sotto i suoi piedi. L’iconografia di Maria aveva ispirato quella immagine; mi chiesi se non avesse ispirato il culto stesso.
Non sarei sorpreso di vedere una statua di Maria santissima in un tempio indù, dato che essi ammettono decine di migliaia di manifestazioni del divino; molte donne indù pregano Maria nei nostri santuari.
E i nostri fratelli maggiori, gli ebrei? Una settimana fa il presidente della Pontificia Accademia dell’Immacolata ci diceva che aveva sei lettere di ebrei che esprimevano la loro stima per Maria, donna ebrea che aveva visto il figlio innocente torturato, condannato e messo a morte. Così Calvario e Shoà si collegano e, nel recitare il rosario, «dolce catena che ci lega al cielo» possiamo e dobbiamo pregare per una fraternità maggiore e solidale fra tutti gli uomini e donne della terra, di cui Maria, per grazia del Signore, è madre.