Mons. Piero Coda racconta i lavori della Commissione internazionale mista fra cattolici e ortodossi (Chieti, 16-22 settembre). I molti luoghi di incontro e le difficoltà che rimangono.
– Monsignor Piero Coda, lei ha partecipato alla sessione di lavoro della Commissione internazionale mista di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa svoltasi a Chieti tra il 16 e il 22 settembre. Di cosa si tratta?
La Commissione si era insediata nel 2005 per riprendere il cammino del dialogo teologico iniziato tra alterne vicende dopo il Concilio Vaticano II. Nel 2007 si era approvato a Ravenna un documento molto importante in cui la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa convenivano che la sinodalità – e cioè cammino insieme, con tutto il popolo di Dio – e il primato – inteso come servizio all’unità – sono due dimensioni interdipendenti nella vita della Chiesa che si ritrovano a tutti i livelli: a livello locale, a livello della comunione tra le Chiese in una regione e a livello della Chiesa universale.
– A proposito dell’incontro di Ravenna, il Patriarcato di Mosca in quella occasione se n’era andato prima della conclusione dei lavori. Questa volta, invece, anch’esso ha firmato il documento conclusivo, intitolato Sinodalità e primato nel primo millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa.
Sì, nel 2007 il Patriarcato di Mosca aveva abbandonato la sessione all’inizio dei lavori, ma non per motivazioni inerenti propriamente il dialogo, ma per questioni interne al mondo ortodosso, quindi il documento di Ravenna non porta la firma del Patriarcato di Mosca. Invece questa volta ha partecipato attivamente ed è tra i firmatari. Ma quest’ultimo documento approvato a Chieti non è stato firmato dal Patriarcato di Georgia.
Ecumenismo indigesto per alcuni
– Il papa il 30 settembre prossimo è atteso proprio in Georgia e giungono notizie di manifestazioni contro la sua visita. Quali sono le riserve che hanno i georgiani?
Nel mondo ortodosso – come anche, per altri versi, nel mondo cattolico – vi sono frange, minoritarie, di opposizione all’apertura del dialogo ecumenico. La Chiesa di Georgia è particolarmente travagliata da queste difficoltà interne, per cui la delegazione della Georgia non si è sentita di approvare il documento non tanto per la sostanza del documento stesso, quanto per le ripercussioni sulla comunione all’interno della Chiesa ortodossa georgiana che poteva provocare una tale sottoscrizione.
– Alcuni problemi erano già emersi in occasione del Sinodo panortodosso tenutosi lo scorso giugno a Creta. A Chieti si è parlato di questa difficoltà?
No, le delegazioni delle Chiese ortodosse, intenzionalmente, non hanno fatto riferimento esplicito al Sinodo panortodosso e alle sue problematiche. Hanno però influito positivamente sull’esito del dialogo l’intesa profonda che si è manifestata in più occasioni tra papa Francesco e il patriarca Bartolomeo – pensiamo alla visita a Lesbo e alla partecipazione di entrambi, nei giorni stessi della sessione di dialogo, alla rievocazione della giornata di Assisi – e anche l’incontro a Cuba tra il patriarca Kyrill di Mosca e Francesco, il che indica buone relazioni tra le due Chiese.
Declinazioni del primato
– Uno dei temi divisivi riguarda le Chiese uniate: com’è stato affrontato?
Il problema dell’uniatismo, cioè della ricomposizione della comunione con la Chiesa di Roma da parte di alcune componenti della Chiesa ortodossa, è certamente un punto dolente, difficile e di incomprensione tra le due Chiese. Già precedentemente, a Balamand, si era discusso tale problema, offrendo un quadro di interpretazione globale sul percorso storico. L’uniatismo si colloca in un momento preciso della Chiesa cattolica e dei suoi rapporti con la Chiesa ortodossa, ma il documento di Chieti riguarda solamente la concordanza di interpretazione sullo stato dei rapporti nel primo millennio cristiano. È probabile che, nel prosieguo del dialogo, la questione dell’uniatismo venga ripresa quando si verrà a trattare del secondo millennio dell’epoca cristiana, ma la cosa fondamentale è che in quel caso verrà vista, da parte cattolica, alla luce della visione di Chiesa-Comunione presente nel Concilio Vaticano II e nell’Enciclica “Ut unum sint” di San Giovanni Paolo II.
– Quali sono state le conclusioni più significative dell’incontro di Chieti?
Il guadagno maggiore di questo documento – sulla linea di quanto già messo al sicuro a Ravenna – è il fatto che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa a livello teologico riconoscono che nel primo millennio cristiano il vescovo di Roma ha esercitato un ministero di unità sul livello della Chiesa universale che non comportava una giurisdizione diretta sulle Chiese di Oriente. Questa situazione ecclesiologica si presenta come un modello ispirativo importante per ritrovare la pienezza dell’unità nel terzo millennio cristiano in cui ci stiamo inoltrando.
Diaconato femminile: nessun problema in Oriente
– La Chiesa cattolica aveva già fatto passi di apertura in questo senso. Potrebbe menzionarne alcuni?
L’apertura che con il mondo ortodosso ha avuto il suo sigillo nell’abrogazione delle reciproche scomuniche tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica, da parte di papa Paolo VI e del patriarca Atenagora, con il loro incontro, prima a Gerusalemme e poi a Costantinopoli, si è sviluppata sino alla sua espressione più forte, ossia quando nella Ut unum sint san Giovanni Paolo II ha dichiarato che il ministero del primato del vescovo di Roma – a cui la Chiesa cattolica è fortemente legata – implica oggi una revisione delle modalità del suo esercizio. Papa Benedetto XVI già prima, quando era cardinale, aveva affermato più volte che quanto era esperito nella Chiesa del primo millennio è ciò che oggi si può presumere necessario affinché si ristabilisca la piena unità.
– Lei fa parte anche della Commissione di studio sul diaconato delle donne. Un’eventuale introduzione di questa figura nella Chiesa di Roma potrebbe intralciare il dialogo con i fratelli orientali?
Tutt’altro. Il diaconato femminile è stato oggetto di studio, già da alcuni decenni, all’interno delle Chiese Ortodosse; si tratta di una prassi considerata tradizionale, quindi non ci sarebbe alcun problema.
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