Ebrei USA-Israele: declino di una relazione

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Nel suo articolo pubblicato dalla CNN lo scorso 18 maggio, Samuel G. Freeman (giornalista e professore alla Graduate School of Journalism della Columbia University) analizza il modo in cui gli ebrei americani stiano reagendo all’escalation di violenza tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza.

Quello che si registra è, per dirlo con le parole di Steven T. Roenthal, un sempre più inesorabile “declino della relazione amorosa degli ebrei americani con Israele”.

Ma, riporta l’articolo della CNN, sarebbe un errore considerare l’attuale posizione degli ebrei americani come un’anomalia. Infatti, nonostante ci siano state in passato delle alzati di scudi a favore di Israele e del suo “diritto all’autodifesa”, i semi del dissenso hanno iniziato a mettere radici già a partire l’invasione del Libano nel 1982 e la prima intifada alla fine degli anni ’80.

Un trend che, inevitabilmente, è andato a riflettersi anche sulle preferenze di voto degli ebrei americani. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, infatti, a partire dal 2020, circa un ebreo americano su cinque afferma che gli Stati Uniti sono “troppo favorevoli” a Israele. Nel frattempo, gli ebrei americani che affermano che gli Stati Uniti “non sono sufficientemente favorevoli a Israele” sono scesi al 19%, con un calo di 12 punti dal 2013.

Secondo Freeman una delle cause principali dell’accelerazione di questo allontanamento sia da imputare al ruolo che hanno avuto due figure emblematiche ed estremamente divisive: l’ex presidente Usa Donald Trump e l’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Un anno prima che Trump vincesse le elezioni, Netanyahu aveva sfidato il presidente americano al suo secondo mandato, Barack Obama, accettando l’invito dei leader repubblicani a denunciare l’accordo nucleare proposto da Obama con l’Iran prima di una sessione congiunta del Congresso.

Inoltre, secondo il professore della Columbia University «Una volta alla Casa Bianca, Trump ha concesso tutto a Netanyahu in cambio di niente. Ha trasferito l’ambasciata americana a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan, ha ridotto l’impegno diplomatico americano con l’Autorità palestinese.

Il tutto senza chiedere al primo ministro israeliano di fare vere concessioni ai palestinesi. Infine i cosiddetti Accordi di Abramo – mediati dal consigliere e genero di Trump Jared Kushner – hanno portato relazioni diplomatiche di Israele con quattro nazioni musulmane (Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Sudan e Marocco) in cambio della magra promessa di sospendere la nuova annessione in Cisgiordania. Ancora più insidiosamente, gli accordi rafforzarono l’idea dell’ala destra sia in Israele che in America che in qualche modo il movimento nazionale palestinese fosse quasi scomparso»

Nonostante tutto questo, Trump ha ottenuto solo circa il 30% dei voti ebraici nel 2020, una percentuale ben al di sotto dell’usuale rispetto alle tendenze relative ai candidati presidenti repubblicani negli ultimi 50 anni. Un dato che trova riscontro nel sondaggio del Pew Research Center, che ha rilevato che solo una minoranza degli intervistati approvava l’operato di Netanyahu (40%) e considerava Trump “amico degli ebrei americani” (31%).

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