Si può parlare di concordato solo per analogia. La Chiesa ortodossa serba non ha un’identità istituzionale di tipo statuale come la Santa Sede e le stesse forme pattizie cattoliche si sono molto diversificate.
Tuttavia quanto sta succedendo fra sinodo della Chiesa serba e governo del Montenegro è, a mia conoscenza, un accordo-quadro che non ha precedenti nell’ambito dell’ortodossia. Potrebbe diventare un modello esperibile anche da altre Chiese.
Il testo non è ancora noto. Doveva essere firmato a Belgrado il 27 maggio durante l’assemblea dei vescovi diocesani, ma il primo ministro del Montenegro è arrivato in ritardo e ha comunicato che non avrebbe firmato, dando appuntamento a fine ottobre a Cetinje (Montenegro).
Una parola sul Montenegro e sulla sua Chiesa ortodossa.
Il piccolo paese dei Balcani, che confina con Bosnia, Serbia, Kosovo, Albania e il mare Adriatico, ha 630 mila abitanti. È indipendente dal 2006, nella Nato dal 2017 e ha chiesto di entrare nell’Unione Europea nel 2008. Con le elezioni del 30 agosto 2020 ha mandato all’opposizione il partito democratico socialista di Milo Dukanović e premiato una coalizione guidata dal partito filo-serbo di Zdravko Krivokapić. Lo scontro elettorale non ha riguardato né l’economia, né la pandemia, né l’ideologia, ma la questione religiosa.
A dicembre 2019 il parlamento approva una legge che mette in questione i titoli di proprietà di 650 siti religiosi della Chiesa ortodossa (450.000 fedeli di contro a 180.000 musulmani e 21.000 cattolici). Una vera e propria sollevazione popolare guidata dal metropolita Anfiloco e dal vescovo Joannice accorpa tutte le ragioni del dissenso e dell’opposizione e mette in minoranza le forze governative.
La nuova maggioranza corregge radicalmente la legge punitiva nei confronti della Chiesa ortodossa di obbedienza serba e apre all’ipotesi di un accordo con la Chiesa-madre di Belgrado. Nel frattempo muoiono di Covid sia il metropolita Anfiloco, sia il patriarca di Belgrado, Ireneo.
La mancata firma
Il governo di Krivokapić e il successore di Ireneo, Porfirio, arrivano a un testo condiviso che doveva essere firmato durante la prima assemblea dei vescovi serbi con il nuovo patriarca. Un comunicato della Chiesa serba racconta l’imbarazzo del ritardo dell’arrivo del primo ministro e poi il suo sorprendente rifiuto.
Il governo di «Podgorica ha esposto nuove ragioni (del ritardo) fino ad allora non note, per posticipare la firma dell’accordo. Sua santità (Porfirio) ha ascoltato le ragioni con attenzione, grande pazienza, ma anche con sorpresa quanto al motivo di fondo, ingiustificato, del primo ministro Krivokapić di non firmare l’accordo, unica ragione del suo arrivo al palazzo patriarcale di Belgrado».
Un osservatore molto attento alle Chiese ortodosse, Peter Anderson (spesso ripreso dal Sismografo), ipotizza che il rifiuto abbia motivi interni al governo. Gli alleati (due partiti minori, ma necessari ad una risicata maggioranza) si sarebbero dissociati, sottolineando l’opportunità di firmare l’accordo non in una capitale straniera ma dentro il paese.
Una seconda ragione sarebbe legata all’espresso desiderio manifestato dal primo ministro davanti ai vescovi riuniti, di vedere nominato come patriarca del Montenegro mons. Joannice, temendo che la scelta dell’assemblea andasse su qualcun altro.
Con una certa irritazione i vescovi hanno condiviso un comunicato in cui affermano l’autonomia e le differenti ragioni delle scelte religiose rispetto alle logiche politiche, ma il giorno dopo, per acclamazione (forse per evitare una conta) Joannice è stato nominato metropolita del Montenegro.
Fra i motivi di attenzione all’assemblea episcopale vi era la verifica della nuova presidenza e il ricambio per il ristretto numero del sinodo permanente. È interessante notare che il nuovo patriarca rimane responsabile per le sedi di Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia) per i buoni rapporti instaurati nelle due capitali fra comunità ortodosse e comunità cattoliche.
Inoltre, l’assemblea non ha pubblicato niente in ordine all’accesissimo dibattito sull’autocefalia ucraina (la Chiesa serba è stata la più fedele a Mosca, contro Costantinopoli), né ha parlato dell’ipotesi di una nuova riunione ad Amman (Giordania) ventilata dal patriarca di Gerusalemme, sempre nel tentativo di venire a capo della contrapposizione slavo-ellenica provocata dal riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa ucraina.
Profilo pubblico delle Chiese ortodosse
Le Chiese ortodosse dell’Oriente europeo stanno mostrando non solo un grande attivismo pastorale anche su temi sociali per loro inabituali, ma hanno acquisito un ruolo pubblico e politico di rilievo. In generale, come depositarie dell’identità nazionale, ma anche in ordine alla legislazione e alle relazioni internazionali.
Espressione dell’identità sono, ad esempio, la costruzione di grandi chiese cattedrali. Una è quella di Belgrado, titolata a san Sava, nella cui cripta si sono svolte le celebrazioni dell’assemblea episcopale.
Una seconda è quella quasi ultimata a Bucarest, titolata ai martiri del paese e alla sua storia, con l’elenco di 350.000 eroi rumeni. Sviluppata in altezza (120 metri) come segno della trascendenza rispetto al vicino ed enorme edificio del governo, vanta la più grande iconostasi ortodossa (24 metri di lunghezza e 17 di altezza).
Un terzo esempio è nel restauro sfarzoso delle chiese in Russia e nella costruzione di nuove. Fra queste, quella dedicata alle forze armate, la terza più grande del paese, capace di 6.000 persone. Si dice sia costata 77 milioni di euro, a spese dell’esercito.
Molti anche gli esempi di discussione delle leggi. Mi limito a citare la Serbia. Nella recente assemblea si sono rinnovati gli ammonimenti al governo su una decina di proposte di legge che coinvolgono interessi ecclesiastici. In particolare, si denuncia l’insufficienza di un disegno di legge sul patrimonio culturale che ignora la presenza dei più antichi monasteri e chiese, oggi in territorio kosovaro.
La collaborazione alla politica internazionale del paese è particolarmente visibile nel Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, presieduto da mons. Hilarion Alfaeev.
In occasione dei 75 anni della sua attività, il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov ha scritto: «In tutti questi anni il dipartimento ha dato un contributo inestimabile all’unità dei popoli ortodossi, ampliando il dialogo inter-religioso e fra le civiltà, promuovendo valori spirituali e morali duraturi, difendendo gli interessi dei nostri connazionali che vivono all’estero».