Clara Zampaglione è cooperante internazionale – per Caritas italiana – ad Haiti. Durante i suoi pochi giorni di permanenza in famiglia in Italia è avvenuto il terremoto del 14 agosto. Mentre si appresta, con impazienza, a rientrare ad Haiti, SettimanaNews raccoglie la sua testimonianza sulla situazione drammatica in questo bellissimo paese.
- Clara, puoi dire del tuo impegno ad Haiti?
Ora mi trovo in Italia. Ripartirò per Haiti tra qualche giorno. Ad Haiti vivo ormai da due anni. Dapprima ho seguito un piccolo progetto a nord della capitale – con e per conto dei padri Scalabriniani – il che mi ha consentito di stare molto a contatto con la gente, specie coi bambini e coi giovani, comunicando nella loro stessa lingua, il creolo.
È stata per me – questa – un’esperienza importantissima per calarmi nella realtà umana di questo bellissimo e tormentatissimo Paese. Quel progetto si è concluso e sono quindi rimasta ad Haiti come cooperante di Caritas italiana: è un lavoro diverso, di concertazione tra tanti e importanti progetti realizzati dalla Chiesa cattolica.
Sono ora forse meno a contatto diretto con la popolazione, ma è sempre molto trascinante muoversi nel servizio dei poveri, specie in un periodo così drammatico.
- Qual era e qual è la situazione ad Haiti dopo il terremoto?
La realtà di Haiti – anche rispetto ad altri Paesi in cui sono stata in precedenza, quali Messico, Honduras e Perù – è davvero molto complessa, ma è proprio per questa ragione che ormai ha una parte speciale nel mio cuore: nonostante mille difficoltà e preoccupazioni, non vorrei essere in un altro posto al mondo in questo momento.
Negli ultimi anni la situazione ad Haiti è andata progressivamente deteriorandosi, in un crescendo di instabilità politica, di crisi economica e sociale, di violenza. Diventa obiettivamente sempre più complicato viverci. Soprattutto i livelli di violenza mettono paura.
Dall’inizio di questo anno – in particolare – la prassi dei sequestri di persona a scopo di estorsione, è divenuta la principale fonte di finanziamento delle bande armate: tutti gli stranieri – compresi i cooperanti – possono divenire facili vittime. Ma questo tipo di violenza non è che l’ultimo prodotto della esasperazione montante nel Paese. Ci sono ormai armi dappertutto.
Povertà ed emergenza
E c’è ovviamente tanta povertà. Armi e povertà – insieme – costituiscono la miscela di base della violenza. Basta mettere un’arma nelle mani di un giovane – o persino di un ragazzino senza futuro delle baraccopoli – e questi diventa sicuramente un criminale. Si tratta di ragazzi che si ritrovano in strada ogni giorno perché non vanno a scuola. La scuola costa!
Faccio questi cenni per far capire che Haiti vive da anni in uno stato di emergenza permanente. Il terremoto del 14 agosto – purtroppo – è l’ultima emergenza nell’emergenza.
Non è da me fare analisi sociopolitiche. Posso portare semplicemente la mia testimonianza. Gli amici cooperanti da più tempo mi raccontano che sino al 2017 – sino alla fine della permanenza dei caschi blu delle Nazioni Unite – le cose andavano meglio. Poi tutto è andato in degrado.
Il governo non ha saputo o voluto prendere in mano la situazione. Sono venuti alla luce molti scandali, è venuta alla luce molta corruzione. Come sapete, il Presidente Moïse – probabilmente coinvolto in tali scandali – è stato assassinato circa un mese fa. Dal luglio 2018 si sono scatenate manifestazioni di piazza.
La gente ha cominciato a chiedere: dove sono finiti tutti i miliardi destinati alla ricostruzione dopo il terremoto del 2010? Dopo tanti anni di aiuti internazionali e di miliardi confluiti, si sta peggio di prima! Gli investimenti non hanno prodotto servizi, infrastrutture permanenti, crescita e alcun benessere.
Queste manifestazioni molto partecipate sono proseguite sino a sfociare – nell’agosto del 2019 – in veri e propri blocchi del Paese, con barricate di vecchio stampo sulle strade. Su un terreno di questo tipo hanno affondato sempre più facilmente le loro radici le bande armate, specie nella capitale e attorno alla capitale: sono loro a dettare legge più del governo.
L’assassinio di Moïse – anche se non è ancora chiaro da chi sia stato perpetrato – non è quindi che l’apice del crescendo dello stato delle cose, in cui la violenza la fa da padrone.
Politica, terremoto, Covid
- Chi governa ora il Paese?
Ora il Paese è temporaneamente guidato dal governo di Ariel Henry, probabilmente spalleggiato dagli Stati Uniti, che – insieme a parte della comunità internazionale – si stanno rendendo conto del caos e del disastro totale in cui Haiti sta precipitando.
Siamo in attesa di elezioni. Ma quando mai si potranno tenere elezioni che si possano dire regolari e democratiche ad Haiti? Non c’erano e non ci sono le condizioni prima, non ci sono dopo quest’ultimo terremoto!
- Cosa puoi dire appunto del terremoto?
Sabato 14 agosto alle ore 8.30 del mattino si è verificata la prima fortissima scossa di grado 7.2 della scala Richter, seguita dallo sciame sismico (ancora in atto). Ha devastato il sud del Paese. La scossa è stata quindi di intensità superiore a quella del 2010: quella aveva provocato ben 230.000 morti… una tragedia immane!
Sebbene di intensità superiore, quest’ultima scossa non sta producendo effetti paragonabili. Ad una settimana dall’evento si contano circa 2.200 morti, 12.000 feriti, 77.000 abitazioni distrutte o invivibili, con 650.000 persone calcolate in stato di urgente bisogno di soccorso umanitario. Teniamo conto che si sta ancora scavando tra le macerie e che questo bilancio è del tutto provvisorio.
Ma, appunto, non potranno essere raggiunti i livelli di tragedia del 2010, semplicemente perché l’epicentro è localizzato in una zona molto meno densamente abitata rispetto a quella della capitale.
Inutile dire che c’è ora urgente bisogno di intervenire per soddisfare i bisogni primari: le persone sono senza acqua potabile e senza cibo, spesso in posti assai difficilmente raggiungibili. Molti villaggi hanno subito il crollo delle cisterne dell’acqua.
Oltre al passaggio della tempesta tropicale “Grace”, la situazione è comunque aggravata dalle abbondanti piogge stagionali – di solito attese come una benedizione dopo i mesi della siccità – ma ora motivo ulteriore di disdetta: ci sono centinaia di migliaia di persone per strada senza riparo. Ho davanti a me le foto di intere famiglie che dormono sui teli, per terra, accanto alle loro case distrutte.
Anche il Covid sta facendo la sua parte. Certamente in questi anni l’emergenza da virus non è stata prioritaria. Ma da aprile-maggio si stanno registrando anche ad Haiti più casi da variante “brasiliana” o “delta”.
Il sistema sanitario è fragilissimo, da sempre. Non è in grado di reggere le emergenze. Sono crollate pure diverse strutture sanitarie nel sud più colpito. Quelle funzionanti sono al collasso: non hanno la capacità di assistere neppure le persone che erano già ricoverate. Amici mi stanno raccontando che i feriti restano nei pressi degli ospedali ad attendere sdraiati a terra, alla bell’e meglio.
Caritas italiana
- Come può intervenire Caritas italiana? E tu cosa potrai fare?
Caritas italiana si sta relazionando con Caritas Haiti – quindi con le diocesi haitiane -, con altre Caritas nazionali operanti ad Haiti e con le Congregazioni e i missionari presenti in ogni parte del Paese.
L’impegno prioritario è chiaramente ora valutare i bisogni più urgenti nelle varie zone colpite, per fornire le risposte più immediate. Con i missionari si conta di riuscire a raggiungere anche le zone più remote e dimenticate dai soccorsi “ufficiali”.
Le difficoltà di spostamento erano – come accennato – già un problema prima del terremoto a ragione dei blocchi delle bande armate. Appena sarò rientrata dovrò confrontarmi con questo problema. Il sud è collegato alla capitale dall’unico accesso di Martissant che era controllato dalle bande.
È notizia di queste ore che le Nazioni Unite hanno positivamente negoziato coi boss per garantire un passaggio sicuro agli aiuti umanitari.
- Quando sarai di nuovo in Haiti?
Il mio rientro ad Haiti è previsto per il 29 agosto. Dopo l’assassinio del Presidente, il governo aveva imposto il blocco dei voli aerei in entrata e in uscita dal Paese. Ora la situazione dovrebbe essere di nuovo mutata: il personale umanitario è chiaramente atteso!
- Hai una breve “storia” infine da lasciare?
Sto ricevendo da un caro missionario diverse storie di vita raccolte in questi giorni. Vi affido quella di Dieubon.
Dieubon è un tipo con un bel sorriso sdentato che di solito fa la spola fra Tozia – una zona collinosa a 7 km dalla città di Jeremie dove abita nel villaggio con la moglie e i 6 figli – e il mercato all’aperto nel centro della città. Fa ogni giorno 14 km, andata e ritorno, col suo mulo per trasportare sacchi di carbonella.
In 50 anni – ne ha 60 – dice di non aver mai visto nulla di quanto sta vedendo in questi giorni: aveva sentito parlare del terremoto nella capitale nel 2010, ma lui a Port-au-Prince non c’è mai stato. Ha trasportato quindi, in questi giorni, col mulo, diversi feriti e malati, anche sabato e domenica scorsa, tra famiglie disperate, in pianto.
Dice che all’ospedale ha visto un neonato abbandonato e la gente stesa nel cortile ad aspettare qualche cura. Dice che Haiti ha seguito troppo il diavolo e che queste continue disgrazie succedono appunto per tale ragione. Dice che, quando la gente sara più buona, allora Haiti avrà ancora un poco di speranza.
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