Mentre a Varsavia il 12 settembre si apre la celebrazione per la beatificazione del card. Stefan Wyszyński (1901 – 1981) papa Francesco chiude a Budapest il congresso eucaristico internazionale e così parla del nuovo beato: «È sempre stato un pastore coraggioso secondo il cuore di Cristo, annunciatore di libertà e dignità umana».
Nella chiesa più grande della capitale polacca 6.000 persone onorano il “cardinale del millennio” e, fra questi, un centinaio di vescovi, il presidente della repubblica Andrzej Duda, il capo del governo e del parlamento, oltre a molte altre autorità dello stato.
Presieduto dal prefetto della congregazione dei santi, il card. Marcello Semeraro, il rito che interessa, oltre a Wyszyński , anche la suor Elzbieta Czacka, prevede, all’interno della celebrazione eucaristica, la formula della beatificazione, lo scoprimento delle immagini dei due beati, la presentazione delle loro reliquie e la solenne benedizione.
Sei cori, alcuni solisti e l’orchestra sinfonica dell’esercito arricchiscono l’insieme. Wyszyński sarà ricordato il 28 maggio, sr. Czacka il 19 maggio.
Prendere tempo
Nato nel 1901, il futuro cardinale diventa prete a 23 anni, spendendosi nell’ambito educativo e sociale. Durante la guerra è cappellano della resistenza. Vescovo a 47 anni, è nominato cardinale nel 1952, quando la Polonia, ridisegnata nei suoi confini, vive da anni sotto la dittatura comunista.
Viene incarcerato dal 1953 al 1956 per il rifiuto di accettare il controllo del partito sulle nomine ecclesiali. Guida con mano ferma l’episcopato e la Chiesa locale, senza mai rompere del tutto il dialogo col partito e il governo. Partecipa al Vaticano II e propizia l’elezione di Karol Wojtyla al papato nel 1978. Muore nel 1981 con una Chiesa in piena vitalità, a pochi anni di distanza al crollo del sistema repressivo.
L’esperienza del carcere rafforza ulteriormente la sua autorità morale tanto da evitare il processo farsa di cui erano stati vittime Beran (Cecoslovacchia), Mindszenty (Ungheria) e Slipy (Ucraina). Vescovo di Varsavia e Gniezno, presidente dell’episcopato, legato pontificio in mancanza di un nunzio, con poteri speciali per i territori ex tedeschi acquisiti dal paese, la sua figura assomma un potere ecclesiale senza pari.
Considerato il riferimento morale più riconosciuto da intere generazioni, Wyszyński, chiamato il “re delle coscienze”, àncora l’insegnamento sociale all’affermazione della fede, declinando assieme diritti umani e libertà religiosa, umanesimo e appartenenza ecclesiale.
Come annota la sua biografa Ewa Czaczkowska: «Considerava che, in mancanza di uno stato sovrano, toccasse alla Chiesa assicurare la trasmissione non solo della fede, ma anche della cultura, della tradizione e della storia». Convinto della centralità del perdono nell’esperienza della fede, lo ha instancabilmente predicato nel contesto della società, dentro la violenza dell’occupazione nazista, della guerra e dell’esperienza della dittatura.
È noto che nel suo breviario era scritto in un foglietto il nome del presidente che l’aveva incarcerato, Boleslaw Bierut: «Prego per lui ogni giorno perché era un uomo che ha fatto scelte sbagliate nella sua vita, ma in realtà non era cattivo».
Il riferimento ritorna nella lettera pastorale della quaresima del 1967, all’indomani del cammino novennale di preparazione al millennio del cristianesimo nel paese e in connessione con una delle rivolte anticomuniste nelle fabbriche: « – Rispetta ogni essere umano, perché Cristo vive in lui. Sii sensibile agli altri perché sono tuoi fratelli; – Pensa bene di tutti e male di nessuno. Sforzati di trovare qualcosa di buono anche nel peggio; – Parla gentilmente degli altri e non sparlare. La parola può fare un danno grave. Non creare divisione fra le persone; – Parla amorevolmente, non alzare la voce. Non imprecare. Non essere arrabbiato. Non causare lacrime. Calmati e sii sereno; – Perdona tutto a tutti. Non portare rancore nel cuore. Cerca sempre un accordo».
Atteggiamento morale che era emerso in una delle scelte più profetiche e coraggiose nella lettera che, alla fine del concilio, aveva indirizzato, assieme all’episcopato, ai vescovi tedeschi, all’insegna di Diamo e chiediamo perdono (1965).
Genialità pastorale
Fortemente ancorato alla devozione mariana, ha coltivato con intensità la religiosità popolare, ha resistito davanti a fughe in avanti che non ne rispettassero il valore. Una delle sue iniziative pastorali più riuscite sarà infatti il riferimento alla Madonna nera di Jasna Gora. La peregrinazione della sua immagine nelle parrocchie della nazione è stata un fenomeno imponente. Tale da far desistere dalla decisione di denunciarne le forme superstiziose che la polizia comunista aveva inteso documentare.
Il popolo è stato anche la sua più efficace protezione.
Altra sua grande invenzione pastorale fu la novena del millennio: nove anni di intensa formazione e preghiera per preparare la celebrazione nel 1966. Ogni anno aveva il suo argomento e i suoi gesti nelle sforzo di alimentare la fede del popolo di Dio e l’ancoraggio alla tradizione dei padri.
«Il suo atteggiamento intransigente, la devozione a Dio e alla Chiesa, è stato qualcosa che non solo ha influenzato la nostra immaginazione, ma ha avuto un significato molto importante per la nostra formazione sacerdotale e per il nostro atteggiamento spirituale» (mons. Henryk Muszynski).
Lucida e senza sconti la sua opposizione alla dittatura del partito e dell’ideologia. «Quest’uomo, attraverso il suo atteggiamento, attraverso l’eroismo della sua fede, ha smascherato la debolezza dei sistemi comunisti che allora prevalevano. Dittature che avevano in mano tutte le leve del potere, ma deboli davanti all’eroismo della fede» (mons. Stanislaw Gadecki).
E tuttavia, capace anche di compromessi, come quello sottoscritto con il regine agli inizi degli anni ’50, fortemente osteggiato da una parte dell’episcopato, fra cui l’autorevole cardinale Adam Sapieha, che si rivelò importante per evitare una persecuzione improvvisa a cui la Chiesa non era ancora pronta, come sarebbe stata in seguito.
Le sue riserve sull’Ostpolitik vaticana non erano sulla necessità del dialogo, ma su chi, in Polonia, ne doveva essere il primo titolare: cioè l’episcopato. Ciò che non percepiva era il disegno globale di quella scelta diplomatica che, al di là dei singoli progressi ottenuti dai regimi, ha preparato il dialogo e il documento di Helsinki, uno dei riferimenti maggiori per la transizione pacifica oltre i regimi dell’Est.
L’eredità divisa
Oggi, mentre la Chiesa registra una drammatica frana nei consensi a causa degli abusi e di una politica intransigente e troppo vicina alla destra al potere, la sua eredità spirituale sembra spaccata.
Da una parte, l’intransigenza che ha espressioni nella “predicazione” di Radio Marja e del gruppo mediale che le ruota attorno, come anche nella pretesa del magistero locale di poter far rispettare i cosiddetti principi non negoziabili da parte del potere statuale (ben lontano dalla predicazione di papa Francesco).
E, dall’altra, lo sforzo di trasparenza in ordine alla denuncia degli abusi, anche ai livelli massimi di responsabilità pastorale, e la volontà di rinnovare l’annuncio evangelico. «Sono convinto che lo spirito di Laski (il luogo dell’iniziativa a favore dei ciechi proposta da sr. Czacka, beatificata assieme al cardinale) che ha così fortemente ispirato certi ambienti (intellettuali) nel periodo fra le due guerre e nel dopoguerra, dovrebbe oggi ispirare il nostro cattolicesimo, in particolare dei laici».
«Ci manca un pensiero di vasta portata come allora» (card. Kazimierz Nycz). La sistematica polemica contro Bruxelles e la decadenza dell’Occidente, seppur plausibile in alcuni elementi, non ha certo la qualità della visione del “cardinale del millennio”.