Ci sono momenti nella storia

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Intervento del presidente del consiglio Mario Draghi a conclusione del G20 Interfaith Forum tenutosi a Bologna.

Sua Eminenza Don Matteo Zuppi, Patriarca Bartolomeo, Professor Prodi, Illustri ospiti religiosi e civili,

è indubbiamente una grande emozione per me essere qui, questo è un incontro ricco di conoscenza e spiritualità. Pace e tolleranza sono valori universali: trascendono culture e religioni, sono il punto di partenza per affrontare le crisi politiche, sociali, umanitarie negli anni che stiamo vivendo.

L’evento di oggi, che sono molto felice avvenga nella cornice della Presidenza italiana del G20, si inserisce nella nobile tradizione del dialogo interreligioso. Penso alla dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II e alla Giornata mondiale di preghiera per la pace di Assisi nel 1986. In questi anni, messaggi di fratellanza e di solidarietà sono giunti da tutte le religioni del mondo e da ogni continente.
Le guide religiose musulmane nel 2007 rivolgendosi ai leader cristiani, identificavano “l’amore per il prossimo” come fondamenta per la “pace e la comprensione” reciproca.

Queste riflessioni non devono essere solo oggetto di dialogo tra teologi, ma devono influenzare i comportamenti degli uomini e delle donne. La celebrazione delle diversità e del dialogo tra culture e religioni è essenziale per la coesistenza civile. Spesso lo capiamo solo quando è tardi: quando scontri e violenze non sono più evitabili. Oggi, come nei secoli che ci hanno preceduto.

Nel suo passato l’Europa è stata dilaniata dai conflitti religiosi. I leader politici hanno spesso ordinato questi massacri, o si sono girati dall’altra parte, illudendosi che questo fosse sufficiente per fuggire dalle proprie responsabilità. Ma in certi momenti della storia, il non agire, il non prender parte, è immorale. La religione non deve essere mai strumentalizzata.

Nei casi peggiori, è stata usata per giustificare la violenza, la privazione dei diritti fondamentali, o indirizzare il favore popolare verso fini politici molto terreni. Al terrore, alla sopraffazione anche subdola che vuole privarci dei nostri valori in nome della religione dobbiamo opporci.

Per me la religione è amore e i suoi principi si difendono con fermezza ma anche con carità, non con l’avversione inconciliabile, o, peggio, con la guerra e il terrore. Come ha detto Papa Francesco: “ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione”.

Altrettanto fondamentale è tutelare la libertà religiosa, di opinione e di espressione. Il diritto di professare liberamente la propria fede e di esercitarne il culto, in privato o in pubblico. Di potersi convertire a una religione o abbandonarla, senza essere perseguitati. Di costruire la propria identità, fondata sul rispetto e non sull’odio.

Oggi invece assistiamo a un numero preoccupante di episodi di estremismo religioso e di conflitti tra diverse famiglie di fede. Lo abbiamo visto nei terribili attentati rivendicati da organizzazioni terroristiche come l’Isis. Negli atti terroristici compiuti in nome del suprematismo bianco o cristiano. E nelle manifestazioni di antisemitismo, un fenomeno in preoccupante crescita.

In alcuni casi, azioni particolarmente odiose, nei luoghi di culto. Spazi in cui si cercano conforto, speranza, protezione dall’odio. Questi eventi brutali vengono spesso usati per rappresentare un mondo diviso tra comunità contrapposte. Ma è utile ricordare che le vittime del terrorismo spesso condividono la stessa fede dei loro assassini.  Il fanatismo colpisce tutti, indiscriminatamente.

La comunità internazionale, e il G20 che l’Italia presiede quest’anno, devono porsi come obiettivi primari il rispetto delle libertà e il mantenimento della pace. La crisi in Afghanistan ha riproposto con terribile urgenza queste priorità.

Negli ultimi giorni, stiamo assistendo a immagini che ci riportano agli anni più bui della storia del Paese.

In particolare, alle donne, che negli scorsi venti anni avevano riacquistato diritti basilari, come quello all’istruzione, oggi rischia di essere vietato persino di praticare sport, reprimendo altresì la loro rappresentanza nel governo. Come comunità internazionale abbiamo un obbligo morale verso un Paese in cui siamo stati per venti anni.

Un obbligo di aiuto umanitario, di prevenzione del terrorismo, di sostegno alla tutela dei diritti umani.  L’altro dovere che abbiamo come Occidente, e in particolare come Europa, è la tutela di chi decide di lasciare l’Afghanistan. L’Italia ha aiutato circa 5.000 cittadini afghani a fuggire dagli enormi rischi a cui erano esposti. È stato uno sforzo significativo, di cui dobbiamo essere orgogliosi, ma che non può esaurirsi ora.

L’Unione Europea non deve ignorare il dramma di queste persone, né la portata storica di questi eventi. Per anni, l’Unione non è stata capace di costruire un approccio comune sul tema migratorio, e in particolare sulla distribuzione di chi arriva e chiede asilo.

Dobbiamo dimostrare di essere all’altezza di questa crisi e dei valori che diciamo di rappresentare.

È anche sull’accoglienza, e non solo sull’economia, che si misura la maturità del processo di integrazione europea. Dopo la pandemia e la crisi economica che ne è conseguita, oggi abbiamo un’opportunità unica per ricostruire. Sappiamo, abbastanza, le cose che sono andate male, e mi riferisco in particolare agli squilibri sociali, economici e ambientali. E sappiamo quale deve essere l’obiettivo della nostra azione politica.

La presidenza italiana del G20 ha posto al centro della sua agenda la pandemia, il cambiamento climatico e la ripresa globale.Vogliamo superare le differenze nelle forniture di vaccini contro il Covid-19. Raggiungere un accordo ambizioso per la riduzione delle emissioni. E rafforzare le reti di protezione economica per i Paesi più poveri.

Il G20 mette insieme le economie più importanti del pianeta. Conseguire questi obiettivi è una nostra precisa responsabilità morale. Per sconfiggere la pandemia, la campagna di vaccinazione deve procedere spedita ovunque. Solo così potremo salvare vite, frenare il contagio, evitare l’emergere di pericolose varianti.

A oggi, però, soltanto il 2% della popolazione dei Paesi più poveri ha ricevuto almeno una dose di vaccino – a fronte del 42% del resto della popolazione mondiale. Al Global Health Summit di Roma, le case farmaceutiche hanno promesso di fornire entro la fine di quest’anno 1,3 miliardi di dosi a prezzi calmierati per gli Stati a basso e medio reddito. Altri 2 miliardi saranno distribuiti entro il 2022. L’Unione Europea donerà almeno 100 milioni di dosi entro quest’anno.

L’aumento della produzione di vaccini negli ultimi mesi è stato tale da poter garantire forniture adeguate a coprire una porzione significativa della popolazione dei Paesi in via di sviluppo. È ora necessario che le dosi raggiungano chi ne ha bisogno. In altre parole c’è un problema logistico di importanza pari a quello della disponibilità della produzione di vaccini. Il G20 è responsabile nel suo complesso di circa quattro quinti delle emissioni globali. Gli effetti dei cambiamenti climatici danneggiano però in modo particolare gli Stati più poveri.

Nove dei dieci Stati più colpiti da eventi meteorologici estremi tra il 1999 e il 2018 non sono infatti economie avanzate. Questi Paesi hanno beneficiato meno di altri del nostro modello di sviluppo, ma ne sono le principali vittime. Nell’incontro su ambiente, clima ed energia a Napoli, il G20 ha riaffermato l’impegno a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi e a raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Intendiamo inoltre raccogliere finanziamenti pari ad almeno 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella loro transizione ecologica.

Papa Francesco, il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e l’Arcivescovo di Canterbury hanno rivolto recentemente un appello alla comunità internazionale a “scegliere la vita”, per tutelare anche le generazioni future.

Nella conferenza di novembre a Glasgow dobbiamo rispondere positivamente a questo invito e prendere decisioni coraggiose che coinvolgano tutti gli Stati. Dopo il trauma della pandemia, l’economia mondiale è di nuovo in crescita. Tuttavia, la ripresa non coinvolge tutti allo stesso modo. Secondo le previsioni più recenti, la maggior parte dei Paesi del G20 recupererà il terreno perduto durante la crisi sanitaria entro il 2022. Questo non avverrà per due terzi degli Stati più fragili. Le conseguenze per i più poveri rischiano di essere drammatiche.

Secondo la FAO, a causa della pandemia ci sono oltre 150 milioni di persone denutrite in più. Il G20 ha proposto un pacchetto di misure per sostenere le economie in via di sviluppo, che coinvolge il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Abbiamo raggiunto un accordo per facilitare la ristrutturazione del debito per i Paesi molto indebitati.

C’è ancora molto lavoro da fare per aumentare le risorse, per coinvolgere i creditori privati che non partecipano a questa intesa, alla quale per ora ha beneficiato un numero esiguo di Paesi. Occorre vigilare sugli impegni già presi ed essere pronti a prenderne di più coraggiosi.

Il dovere della politica è l’azione, preceduta, guidata dallo studio e dalla riflessione. In questo, voi autorità religiose avete un ruolo fondamentale.

Risvegliate le sensibilità assopite dall’indifferenza o dai calcoli di convenienza. Richiamate la politica all’azione coerente con il vostro messaggio. Nei momenti più tragici della storia recente avete costruito ponti laddove il terrorismo e la guerra o, come detto prima, l’indifferenza avevano eretto barriere.
Avete esortato al rispetto delle differenze e al ripudio delle discriminazioni. E avete difeso con coraggio i diritti delle comunità che sono vittime di persecuzione.

Le Proposte che avete presentato in questo forum, e che il G20 intende esaminare riaffermano la profondità del vostro impegno. E riaffermano l’importanza della conoscenza e dell’ascolto, senza i quali non può esserci un’autentica cultura della diversità, per il pieno riconoscimento dei valori che sono alla base della nostra umanità.

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