Come è inevitabile, le discussioni intorno al matrimonio possono facilmente perdere di vista alcune delicate distinzioni, che la tradizione ha custodito per secoli, e che negli ultimi 100 anni abbiamo parzialmente perduto o dimenticato.
Anche i discorsi più autorevoli, se perdono queste importanti differenze, finiscono facilmente per essere fraintesi. Provo ad elencarle in modo semplice, quasi in forma di memorandum.
In effetti, una dottrina su matrimonio, famiglia e fatti di convivenza implica una rilettura della tradizione complessiva. Ecco i principali elementi che sintetizzano analisi storica e riflessione sistematica.
Il carattere complesso del matrimonio
Il matrimonio è “istituzione” che partecipa, contemporaneamente, della natura, della cultura civile e della vocazione ecclesiale. Nessuna di queste dimensioni, sia pure nella loro relativa autonomia, può stare senza le altre. Ci sono dunque:
- fatti e desideri da assumere;
- diritti/doveri da osservare e da elaborare;
- doni e misteri da riconoscere e celebrare;
La non riducibilità di ognuno di questi livelli agli altri è una delle sfide più grandi di questo sacramento. E la messa alla prova della tradizione sta precisamente nel salvaguardare la correlazione tra elementi non riducibili.
Questa complessità originaria del matrimonio ha messo alla prova la dottrina ecclesiale. Sia perché il matrimonio sta “prima” del sacramento, sia perché sta “alla fine” del sacramento. Per questo ha potuto essere “primo” e “ultimo” tra i sacramenti. Perché nel matrimonio la “grazia” si mostra come natura e, contemporaneamente, la natura “è già” grazia.
E in mezzo a questi “poli” si muove la legge che, da un lato, funziona come “pedagogia” e, dall’altro, come “riconoscimento”. Forse proprio su questo punto scontiamo le fatiche più grandi del nostro tempo.
I diversi beni del matrimonio
Una riflessione sui “beni” del matrimonio è stata, a sua volta, il frutto di un’elaborazione naturale, culturale ed ecclesiale. Quando parliamo dei “beni” del matrimonio ci muoviamo precisamente su questo crinale delicatissimo.
La loro identificazione – inaugurata da Agostino nella triade “proles”, “fides” e “sacramentum” – esercita una selezione dei “dati” che – di volta in volta – la natura, la storia e la Chiesa pongono sotto la loro attenzione. Così è stato possibile che siano sorti anche “beni” che la Chiesa antica, medievale e moderna non considerava. Esaminiamone soltanto tre:
- il “bene dei coniugi” e la “comunità di vita e di amore” hanno assunto una nuova evidenza e una consistente autonomia;
- la “sessualità” e il “sentimento dell’amore” si sono trasformati da funzioni della generazione a fini in sé;
- una consapevole “vocazione ecclesiale” ha modificato la relazione tra soggetto, famiglia e Chiesa, modificando le relazioni tra queste diverse esperienze.
A loro volta, i “beni classici” già individuati da Agostino si sono arricchiti e trasformati:
- la “proles” non è semplicemente la generazione, come frutto dell’esercizio del sesso. E’ piuttosto la scoperta di una “generazione responsabile”. Con tutta la necessaria articolazione di un pensiero sullo spazio possibile di “autodeterminazione” dell’uomo/donna nel generare;
- la “fides” non è solo “fedeltà coniugale”, ma atto di fede ecclesiale. La relazione tra “fedeltà” e “fede” è diventato uno dei punti-chiave della rilettura contemporanea del sacramento. Qui la relazione tra “atto” e “vocazione” ha aperto lo spazio ad una nuova competenza teologica nel campo che prima era quasi sequestrato dalla sola e ovvia competenza giuridica.
- il “sacramentum” non è solo identificato con l’“indissolubilità” – con il “non poter sciogliere”, ossia con una “negazione di una negazione” – ma con l’atto positivo di amare, convivere, stare in un patto. Forse uno dei punti più delicati di questo sviluppo sta nell’interpretare correttamente la parola forte di Gesù sull’uomo che “non deve separare ciò che Dio ha unito”.
Il dibattito sull’“indissolubilità”
Questa parola-chiave di Gesù – “l’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito” – indica un’“evidenza originaria” e un “compimento ultimo”. Un teologo qualche decennio fa ha affermato: il vincolo è indissolubile, ma non è infrangibile.
La questione, sul piano sistematico, esige una soluzione che non può essere semplicemente di carattere giudiziario, anche se deve darsi forme giuridiche nuove. Ed è significativo che la tradizione abbia identificato l’indissolubilità non sul piano della “differenza sacramentale”, ma su quello della logica naturale e comune.
Per questo la cura per il “fallimento” del vincolo deve assumere il compito di una nuova comprensione che riguarda:
- da un lato, i soggetti implicati e la loro coscienza;
- dall’altro, la “storicità del vincolo”, che è non solo “atto”, ma “percorso” e “vocazione”.
La soluzione classica per far fronte alle crisi matrimoniali è stata: il vincolo è indissolubile, ma il soggetto che si lega nel vincolo può aver sofferto di “vizi del consenso”. Così si può riconoscere “nullo” il vincolo a causa di una onesta indagine su queste “cause di nullità”.
Tutto ciò che l’indissolubilità del vincolo garantisce diventa però fragilissimo se sottoposto ad una analisi del consenso su cui il vincolo si fonda. Così si passa facilmente dal “tutto” al “nulla”. Questo è la soluzione di “foro esterno”, che conosce oggi limiti sempre più grandi, diventando causa di marcate finzioni e mistificazioni.
Una nuova via, che in qualche modo Amoris laetitia inaugura, riprendendo una logica più antica, è quella del “foro interno”, dove si può scoprire che il vincolo, nella coscienza dei soggetti, può avere una storia e subire anche un fallimento. Il grande tema che entra nella dottrina matrimoniale cattolica, grazie a AL, con qualche precedente in FC, è “la storia del vincolo matrimoniale”.
La soluzione dottrinale e disciplinare esige, oggi, nuove categorie giuridiche, che devono essere costruite e/o riconosciute. C’è una “lex condenda” che aspetta contributi non accessori per il profilo teologico del sacramento.
Legge oggettiva e processo pastorale
Il recupero di una “dimensione escatologica” del matrimonio sacramentale impone dunque una certa distanza tra “istituzione giuridica” e “vocazione sacramentale”. Questo è stato assai difficile nell’Europa segnata dal Decreto Tametsi, che ha indirettamente generato ciò che il Codice del 1917 e del 1983 hanno ulteriormente assunto come regola: ossia l’identificazione di ogni matrimonio tra battezzati come “sacramento”.
Questa identificazione determina una sorta di “azzeramento vocazionale” del sacramento. Ed è qui che interviene il nuovo paradigma teologico di Amoris laetitia. Esso non modifica la dottrina, ma ne assicura una ermeneutica allo stesso tempo più antica e più nuova rispetto a quella tardo-moderna.
Recuperando un’antica distinzione tra sfere che hanno una certa autonomia, può superare l’idea (idealizzata) di identificare il bene con la legge oggettiva. Ci sono “beni possibili” che la natura e la cultura realizzano, nella differenza e nell’analogia rispetto all’ideale ecclesiale. Questi beni non solo possono, ma devono essere riconoscibili e riconosciuti.
Le forme di vita e i cinque continenti del cattolicesimo
Una riconsiderazione teologica del matrimonio, in rapporto strutturale con la famiglia, esige una nuova correlazione di mondi e di esperienze, che non possono più essere interpretate come “ordinamenti giuridici paralleli”.
Il residuo di “potere temporale” che sussiste nel “diritto matrimoniale canonico” ancora impedisce di riconoscere il “bene possibile” della sfera naturale e della sfera civile. Un grande ripensamento teologico rilegge la dimensione giuridica alla luce dell’escatologia. A tutto questo deve essere aggiunto il grande mutamento recato alla dottrina matrimoniale, dopo il Concilio Vaticano II, dalla scoperta delle culture – anche matrimoniali – di 5 diversi continenti, che entrano come soggetti nella dottrina e nella disciplina ecclesiale.
La testimonianza ecclesiale, mediata da esperienze naturali e da storie civili tanto diverse – tra Africa, Oceania, Asia, America e Europa – portano alla dottrina matrimoniale una nuova ricchezza e una grande diversificazione di prospettive, pur nella continuità della tradizione. Solo un papa “americano” poteva portare a piena evidenza questa novità strutturale.
Sacramento istituito o elevato?
Queste peculiarità del matrimonio si riflettono persino nella sua natura di “sacramento”. Solo per il matrimonio, infatti, la tradizione ha elaborato un’espressione diversa: non parla di “sacramento istituito da Cristo”, ma di “elevazione del patto coniugale alla dignità di sacramento da parte di Cristo”.
Da dove deriva questa diversità? Dalla coscienza antica, medievale e moderna (che è più difficile nel mondo tardo-moderno) per cui l’istituzione matrimoniale ha una dimensione “naturale” e “civile” che anticipa la dimensione sacramentale.
Questo dice una maggiore complessità e una necessaria maggiore cautela, al punto che, se è giusto distinguere “unione” da “sacramento”, è pure giusto non considerare la dimensione sacramentale garantita “a priori” rispetto alla storia e alla coscienza dei soggetti.
Nel caso specifico del matrimonio, molto più che nel battesimo o nell’eucaristia, l’“indisponibilità” dell’istituzione appare problematica, proprio perché la natura e la cultura sono assunte, fin dal principio, come livello di evidenza per la tradizione. Così le modificazioni nella percezione di ciò che è naturale e di ciò che è lecito/protetto sul piano civile non restano all’esterno della definizione che la tradizione dà del sacramento del matrimonio.
Per questo gli antichi lo ponevano, allo stesso tempo, come ultimo e come primo tra i sacramenti. Senza esagerare.
- Dal blog dell’autore Come se Non.
Se il matrimonio e’un sacramento non puo’essere basato solo su “usi e costumi” non aturali che cambiano voi tempi e i luoghi. Altrimenti dovrebbe la Chiesa anche ammettere unioni poligamiche ( Come e ‘uso e costume in Africa) o unioni incestuose ( iltabu dell’ incesto e’ recente, in epoche antiche ci di sposava fra fratelli e sorelle) o unioni temporanee e reversibili ( come e’uso e costume oggi che ‘e’il divorzio in tutte le culture atee) o matrimoni fra persone dello stesso sesso ecc .
Se il papa ha detto giustamente che la Chiesa non puo’cambiare la dottrina sul matrimonio come sacramento che e’basata sul Vangelo e sulla Tradizione, e’ perche’ i sacramenti hanno un base non solamente umano e relativo ad usi e costumi dell’ epoca.
Tutto e’possibile ma non tutto e’lecito. Tutto e’possibile nei costumi umani ma non tutto e’sacro e gradito a Dio .Altrimenti aboliamo pure ogni riferimento a Dio e insauriamo una chiesa solo mondana che cambia dottrina col mutar delle modantropologiche.
Se si studia la tradizione si scopre una ricchezza che le menti rigide non riescono ad apprezzare.
La Tradizione è senz’altro ricchissima per tutte le menti che vi si accostino rispettandola – compresi “ilici” e “psichici”.
Poi vi sono le “menti non rigide” – gli “pneumatici” – che amano decostruirla per ridula in mattoncini Lego utili ai propri fini teoretici.
In sostanza – utilizzando una tecnica strutturalista – si distillano dalla Tradizione le strutture, gli stilemi e le forme tralasciandone invece gli scomodi contenuti. Tali strutture – poi – vengono utilizzate a conforto delle proprie tesi. Infine si presenta questa operazione come un ricorso alla Tradizione a puntello delle proprie posizioni teologiche che – non di rado – contraddicono frontalmente i contenuti della stessa Tradizione.
Purtroppo questo modus agendi lungi dal produrre un “tradere” porta spesso a tradire il depositum fidei.
È evidente che le letture fondamentaliste sono sempre autoimmuni. Pensare la realtà non è opzionale.
È ugualmente evidente che le letture moderniste e storiciste lo siano anch’esse. Pensare la realtà non è opzionale: ripensarla secondo il vangelo è la nostra speranza.
L’articolista scrive: “Una nuova via, che in qualche modo Amoris laetitia inaugura, riprendendo una logica più antica, è quella del “foro interno”, dove si può scoprire che il vincolo, nella coscienza dei soggetti, può avere una storia e subire anche un fallimento. Il grande tema che entra nella dottrina matrimoniale cattolica, grazie a AL, con qualche precedente in FC, è “la storia del vincolo matrimoniale”.
La soluzione dottrinale e disciplinare esige, oggi, nuove categorie giuridiche, che devono essere costruite e/o riconosciute. C’è una “lex condenda” che aspetta contributi non accessori per il profilo teologico del sacramento.”
A me pare che il Cristo – per quanto ce ne riferiscano i vangeli – abbia posta una “lex condita” più che “condenda”. E anzi abbia attribuito alla durezza del cuore umano ogni “condimento” (perdonate il gioco di parole) successivo. Ciò vale tanto più se si parla di “storia interiore” del vincolo: la questione posta al Signore in Mc 10, 2 è chiaramente assorbibile in un “fallimento” del vincolo interiore (sebbene unilaterale).
Ovviamente questo vale fino a quando non vengano scoperte difformi registrazioni vocali del Signore sull’argomento.
Per il resto temo che il contemporaneo revisionismo biblico e teologico – con i suoi contorti sofismi – stia dando prove tali da porlo tra le discipline del Dipartimento di Tetrapiloctomia della Facoltà di Irrilevanza Comparata, uno dei progetti impossibili di Umberto Eco.
A noi cattolici sta accadendo ciò che accadde ai protestanti alla fine del secolo XIX: il dilagare delle teologie liberali che – inopinatamente – scatenò la nascita del fondamentalismo. In quell’area del cristianesimo le conseguenze furono traumatiche ma comunque riassorbite nella naturale pluralità delle chiese protestanti. Per noi cattolici – che cerchiamo ostinatamente di conservare il dono prezioso dell’unità lasciatoci dal Signore – le conseguenze sarebbero ben peggiori.