Il 14 ottobre i 212 padri della 36ma Congregazione generale hanno eletto il venezuelano p. Arturo Sosa Abascal come trentesimo successore di sant’Ignazio. È il primo generale non europeo, anche se i tre suoi predecessori (Arrupe, Kolvenbach e Nicolás) avevano passato la loro vita in Oriente. Uno spostamento geografico e culturale in sintonia con il papato di Francesco e con i mutamenti profondi della Compagnia (16.740 membri) e della Chiesa cattolica.
Nato nel 1948 in una importante famiglia di Caracas (suo padre, che portava lo stesso nome, Arturo Sosa, è stato ministro del tesoro e dell’economia all’inizio degli anni ’80), fa i suoi studi di filosofia e teologia all’Università cattolica e poi si laurea in scienze politiche all’Università statale.
La sua formazione ignaziana fra la filosofia e la teologia lo vede presente in una comunità “inserita” a contatto diretto con i poveri. È stato introdotto al cristianesimo conciliare e alla teologia dei poveri emersa dall’assemblea continentale della Chiesa a Medellín (1968), senza peraltro nessun scontro con la famiglia di origine.
Come ci ha scritto un dehoniano venezuelano, p. Manuel Teixeira: «Con i suoi compagni si è recato a Roma per l’ultimo anno di teologia per ripensarla a partire dall’inserimento solidale coi poveri nel proprio paese, con un metodo rigoroso».
Nominato direttore del Centro Gumilla, direttore della rivista SIC e coordinatore dell’apostolato sociale della Compagnia nel paese, avvia una lunga stagione di insegnamento in diverse università del paese per poi diventare rettore all’Università cattolica di Tachira.
Una ventina le sue pubblicazioni e centinaia i suoi articoli. È stato professore anche al Centro studi per l’America Latina dell’università statunitense Georgetown University. Come direttore del Centro Gumilla «ha sviluppato il riferimento a una comunità popolare e a numerosi incontri con comunità di base con una rigorosa analisi storico-politica del paese, culminata nel suo lavoro di dottorato. Contemporaneamente accompagnava un gruppo di universitari per introdurli nell’ambito del servizio culturale e politico». Profondo conoscitore della storia del suo paese e dell’America Latina ha inizialmente guardato con benevolenza il tentativo politico di Chavez, per poi prenderne le distanze.
Fra il 1996 e il 2004 è stato provinciale dei gesuiti in Venezuela. Nel 2008 p. Nicolás lo nomina consigliere generale e assume il ruolo di delegato per le case interprovinciali della Compagnia a Roma. Dal 2014 fa parte della curia generalizia.
Nella sua prima omelia (15 ottobre) ha parlato dell’audacia dell’improbabile e dell’impossibile, sulla base della fede. «Conservare e sviluppare il corpo della Compagnia è strettamente legato alla profondità della vita spirituale di ciascuno dei suoi membri e delle comunità nelle quali condividiamo la vita e la missione con i compagni. Allo stesso tempo ci vuole una straordinaria profondità intellettuale per pensare creativamente i modi attraverso i quali il nostro servizio alla missione del Cristo Gesù può essere più efficace». E i gesuiti lo possono fare se collaborano con tutte le altre forze ecclesiali, «nella consapevolezza, proveniente dall’esperienza di Dio, di essere chiamati alla missione del Cristo Gesù, che non ci appartiene in esclusiva, ma che condividiamo con tanti uomini e donne consacrati al servizio degli altri». Membri di un corpo multiculturale non dobbiamo «smettere di proporre le domande pertinenti alla teologia e approfondire la comprensione della fede che chiediamo al Signore di aumentare in noi».
Con una battuta finale si può dire che è il primo generale “coi baffi”.