I titoli di due romanzi di Italo Calvino vengono in mente quando si cerca di capire quel che sta accadendo nel centrodestra. L’appannamento fino alla dissolvenza di Berlusconi farebbe pensare al Cavaliere inesistente. Ma l’oscillazione e l’irresolutezza delle sue ultime scelte rendono più appetibile l’immagine del Visconte dimezzato.
Non è detto però che la storia finisca con la felice ricomposizione delle due parti del personaggio, con relativo gaudio del popolo tutto. E ciò anche perché le parti da rimettere insieme sono più di due e l’operazione è resa più difficile dall’incombere di circostanze esterne non controllabili.
Tre posizioni diverse
Lasciando la realtà romanzesca per la cronaca, si può convenire sul fatto che il vecchio ceppo di “Forza Italia” – l’invenzione storica del Berlusconi 1994 – si presenta oggi frantumato in almeno tre sezioni principali, corrispondenti ad altrettante posizioni politiche oggettivamente diverse e tendenzialmente divaricate.
La prima è quella che si potrebbe definire “storica” del movimento, che presenta peraltro una fisionomia diversa dalla formazione delle origini. All’interno di essa è sempre esistita una frazione più direttamente identificata con gli interessi aziendali intestati a Berlusconi e connotata dal credito riservato ai familiari e agli amici-consiglieri.
La seconda componente è appunto quella legata, in particolare, alla nascita del Popolo della libertà, l’altra grande escogitazione del leader, che registrò l’afflusso quasi completo del gruppo dirigente di Alleanza Nazionale, i cui “colonnelli” rimasero poi con Berlusconi lasciando che il loro referente, Gianfranco Fini, andasse alla deriva.
Il terzo raggruppamento è costituito da spezzoni di ceto politico e individualità emerse o dalla pratica del potere centrale o dall’esperienza degli enti locali o da altre molteplici cooptazioni più o meno pilotate o assecondate dal centro.
Sconfitte strategiche e risorse tattiche
Ognuna delle operazioni di aggregazione o disgregazione ha introdotto energie e provocato esodi. Con un saldo di eterogeneità e di instabilità che ha reso, nel tempo sempre meno governabile l’insieme.
Questo impianto strutturalmente flessibile e mai cementato da un’attendibile connessione ideale (se si astrae da una declamata ascendenza “liberale”) ha subìto un duplice colpo dagli effetti devastanti: l’estromissione dal governo nel 2011 e, subito dopo, la condanna penale di Berlusconi per i noti reati non politici e la connessa interdizione dai pubblici uffici.
Gli scienziati della politica avranno modo di intrattenersi sulle risorse tattiche messe in campo da Berlusconi nel momento più aspro della sua vicenda. Non può non essere oggetto di studio la prontezza con cui sostenne la rielezione di Giorgio Napolitano (altrimenti accusato di aver capeggiato il “complotto” contro di lui) alla Presidenza della Repubblica; e poi l’audacia (o disinvoltura?) con cui, più avanti, cercò l’alleanza con il Pd di Matteo Renzi e prestò opera convinta alla modifica della Costituzione, ora sottoposta a referendum.
Un’emersione inquietante
Non sono ancora concluse le indagini su quali siano state le ragioni per cui, dovendosi eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, Berlusconi abbia ancora una volta rovesciato il tavolo delle riforme. S’è capito che non voleva Mattarella. Ma, guardando le cose dal punto di vista del centrodestra, si deve riconoscere che da quel momento si sono scatenati, o riacutizzati, i processi disgregativi di quel settore politico.
Da allora la ricostituita Forza Italia ha conosciuto pesanti sconfitte che ne hanno menomato la rappresentatività e l’influenza. E inoltre ha dovuto assistere all’emersione di un’ambizione leghista alla leadership dello schieramento nella figura inquietante di Matteo Salvini, fattosi alfiere esplicito e rumoroso di un populismo italico (e non solo padano) estraneo alle motivazioni genetiche della Lega. Ed è questo lo scenario che più lo turba.
L’ennesima invenzione
A questo punto, compiuti gli 80 anni, superato un altro malanno cardiaco, minacciato da uno strascico giudiziario niente affatto gradevole, forse anche agitato da privatissime vicende non risolte, Berlusconi si è prodotto in un’ennesima invenzione: il lancio in orbita di Stefano Parisi per un’impresa di drenaggio nei territori di volti meno logorati se non proprio nuovi, in nome di un impianto “moderato” da spendere come icona di rinnovamento.
Con esiti finora non censiti ma, in compenso, con l’accompagnamento ostile di tutta la vecchia guardia, esclusa la componente aziendale, per non parlare di Salvini e dei “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni che ne assecondano le gesta.
Il test referendario
Il referendum del 4 dicembre è il test che Berlusconi deve affrontare. Sa che una parte del suo popolo non è sfavorevole ad un voto di consenso, ma gli alleati necessari per non uscire “terzi”, cioè sconfitti, alle elezioni del 2018 – e con essi una quota rilevante del ceto politico di Forza Italia – sono già schierati nel policromo fronte del “no”.
Il ricorso alle formule linguistiche – un “no responsabile”, un “no intelligente” – è una cortina fumogena che copre una ritirata. E anche la prospettiva di redigere una “riforma condivisa” (per giunta di stampo presidenziale) dopo la vittoria del “no” suona alquanto aleatoria in assenza di pronostici affidabili di costruzione di una plausibile maggioranza.
Il tema della fiducia
I retroscenisti scrivono che in tutte le direzioni – Salvini, Meloni, Parisi ma anche esponenti della minoranza del Pd – Berlusconi sarebbe prodigo di assicurazioni: “Fidatevi di me”.
Ma c’è da chiedersi se proprio questo non sia il problema per gli interlocutori e gli avversari. Ha scritto tempo addietro Vittorio Feltri con franca brutalità: «Silvio è sincero solo quando mente». Ed ha precisato «che lui non sa quando dice la verità e quando racconta una bugia; confonde la realtà con i propri desideri».
S’è già visto che il tema della fiducia attende uno svolgimento anche in altre latitudini politiche, a cominciare dal centrosinistra. Ma qui, nel centrodestra, la situazione appare oggettivamente più complicata proprio a causa della concomitanza di una crisi assai preoccupante con il desiderio di tributare – se si vuole per conseguito scopo sociale – gli onori del congedo ad una leadership che, nel bene e nel male, ha fatto un pezzo di storia.