La Chiesa italiana si avvia, un po’ a tentoni, nel suo processo sinodale. Quella universale convoca tutti i fedeli a esprimersi sulla sinodalità della Chiesa stessa. In tutto questo si parla molto di giovani – meglio, sui giovani. Davanti a questa contraddizione, ci è sembrato giusto far parlare loro alla Chiesa: dire a essa una parola del loro mondo.
Che cosa rappresenta per noi giovani la Chiesa di oggi? Perché si sta assistendo ad una progressiva lontananza di ragazzi dalle parrocchie? Questo “allontanamento” vuole essere forse un segnale indirizzato alla Chiesa, intesa come istituzione, con l’intento di rimodellarne le basi e cambiarne la visione nei confronti del mondo?
Ma la vera domanda da cui, secondo me, nascono le altre è: il mondo di oggi è diverso da quello del ‘900?
La nostra generazione
Sicuramente è una domanda retorica di cui conosciamo tutti la risposta anche senza bisogno di esprimerla a parole. Ma nonostante vi sia una maggior consapevolezza dell’evoluzione umana se pensiamo alla nascita delle nuove tecnologie ingegneristiche, al drone su Marte, alle macchine elettriche sempre più accessibili e alle continue scoperte in campo medico-sanitario che mostrano fin dove si può spingere l’ingegno degli uomini, si ha comunque difficoltà nell’avvicinarsi e comprendere i nuovi bisogni e le attuali richieste dei giovani.
Bisogna ed è necessario dare voce ai giovani, i quali si sono accorti delle esigenze e delle grida di aiuto del mondo. Quest’entrata e presenza giovanile è talmente chiara ed evidente semplicemente andando ad osservare quanti ragazzi e ragazze hanno partecipato alle più grandi manifestazioni tenutesi negli ultimi anni: in Italia vi è stato il movimento delle Sardine, partito da ragazzi universitari che volevano esprimersi sul populismo e sovranismo di alcuni partiti italiani; in America e poi diffusosi nei paesi esteri vi è stato nel 2020 il famoso movimento Black Lives Matter che ha permesso la mobilitazione di milioni di persone contro il razzismo e il sistema poliziesco; il movimento Fridays for Future sull’ambiente è partito da una ragazza svedese che a quel tempo aveva solo 16 anni.
Vogliamo parlare anche dei tanti giovani che ancora oggi stanno combattendo a Hong Kong contro il governo locale e il crescente controllo di Pechino, oppure del Gay Pride, manifestazione in favore dell’accettazione sociale, giuridica e civile di ciascuna persona indipendentemente dal genere e dal sesso a cui appartiene o si sente di appartenere?
Queste sono alcune delle manifestazioni che hanno coinvolto milioni di persone, tra cui soprattutto ragazzi che sono letteralmente stufi di questa indifferenza e menefreghismo nei confronti di coloro che da sempre vengono ignorati o considerati inferiori nonostante taluni non siano coinvolti direttamente.
Codesta presa di coscienza e in seguito la volontà di far sentire la propria voce è un input a cui la Chiesa dovrebbe prestare attenzione, provando a capirne il significato, il motivo sottostante, per poi, una volta compreso, mettere in atto azioni concrete.
Una parola che manca
A mio parere il fatto che la Chiesa, istituzione con un grande potere, anche politico, sulle spalle, non si esprima riguardo ai motivi che spingono i giovani a protestare porta inevitabilmente ad un loro conseguente allontanamento e lontananza. Per evitare che si rimanga a guardare dal finestrino, credo che la Chiesa debba venire incontro alle richieste e ai bisogni attuali, non negando i propri principi.
Aspettare che siamo noi a doverci muovere per primi non penso sia la mossa migliore: perché i giovani si dovrebbero inserire all’interno di una comunità che professa idee lontane dalle loro, ancora molto tradizionaliste, conservatrici e ben distanti dalla realtà di oggi?
Credo che sia questo il motivo per cui la Chiesa sta assistendo ad un abbandono adolescenziale sempre più in aumento. Certamente non sto affermando che la Chiesa debba buttare i propri principi e idee nella spazzatura, disconoscendo le fondamenta scritte e orali su cui si è basata da duemila anni a questa parte.
Le mie parole non sono indirizzate a ogni singola figura ecclesiastica che può avere, legittimamente, un pensiero più o meno tollerante, quanto piuttosto alla Chiesa intesa come istituzione che presenta le linee guida da seguire se si vuole continuare a farne parte.
Forse è proprio questo il punto, che vi siano troppe idee contrastanti nonostante ciascuno segua le indicazioni date dalla Chiesa. Mi viene in mente quando, in risposta al GayPride tenutosi a Modena, vi è stata una sfilata di alcuni cattolici con l’intento di “riparare con la preghiera” quello che loro ritenevano fosse scandaloso e peccaminoso.
Mi sembra che questa sia un’esplicita e ben chiara manifestazione di un pensiero personale un po’ troppo estremista, che magari non rappresenta l’intera comunità cattolica.
Chi è la Chiesa?
Eccoci di fronte ad un bivio: la Chiesa appoggia il pensiero e la modalità di risposta di tali cattolici, ritenendo doveroso e giusto proclamare, secondo la loro visione, il fatto che omo e transessuali siano contro natura, evidenziando un’idea di oscenità, oppure la Chiesa condanna questo modo di divulgazione cattolica, accettando nel mondo attuale ciascun individuo, indipendentemente dal sesso e dal genere, e di conseguenza sostenendoli a livello sociale, civile e giuridico?
Mentre nel primo caso prevale soprattutto la PARTE, comunque sostenuta dal TOTALE; nel secondo caso il TOTALE si impone sulla singola PARTE, facendo in modo che il punto di vista personale non sfugga al proprio controllo. Se la PARTE manifesta apertamente e pubblicamente una determinata posizione, ciò deve quantomeno essere in sintonia con quanto affermato dalla Chiesa (TOTALE). Altrimenti si rischia che nascano e si diffondano opinioni eterogenee, e quasi inevitabilmente contrastanti, su un medesimo argomento all’interno di una comunità, in tal caso religiosa, che dovrebbe aver già presentato un proprio parere in merito.
Perciò ciascun membro di questa organizzazione religiosa dovrebbe sottostare alle raccomandazioni, o per meglio dire, principi imposti per poter farne parte.
Vi è però un “ma”, perché qualcuno potrebbe criticare quanto scritto precedentemente, dichiarando che, se si seguisse tale approccio, si rischierebbe di annullare e negare il pensiero, e di conseguenza l’identità della PARTE (se si crede che ciò che si pensa contribuisca alla formazione della nostra identità). Io potrei rispondere a tale critica, riprendendo un caro vecchio amico greco, a cui vanno i più sentiti riconoscimenti per aver contribuito alla nascita del pensiero filosofico occidentale, ossia Aristotele, il quale scrive nel suo trattato Metafisica che «tutte le cose hanno molte parti, il cui insieme non è un ammasso».
Il tutto e il frammento
Questa affermazione vuole proprio sottolineare che il non essere un ammasso equivale a dire che vi è una relazione reciproca tra le parti, che devono comunicare le une con le altre, all’interno di un sistema architettonico calibrato. Aristotele ha fornito le basi per poter giungere ad una conclusione più moderna, ritenuta quasi indiscutibile, ossia che «il totale è la somma delle sue parti, l’intero no».
Quindi il totale e l’intero diventano due aspetti separati in quanto l’intero non può essere oggetto di operazioni matematiche, quali l’addizione, perché non somma tutto ciò che lo rappresenta e perché tutto ciò che lo rappresenta non è addizionabile, non essendo l’addizione il procedimento matematico che permette di dare senso all’intero.
Perciò la relazione tra le parti deve essere fondamentale per poter arrivare al totale e la relazione sottintende il dialogo e il confronto, i quali si ottengono tramite l’espressione ed esternazione delle proprie idee e riflessioni.
Quindi, dichiarando che la Chiesa debba essere considerata il totale, a cui bisogna sottostare, ciò non esclude a prescindere la negazione delle opinioni delle parti, anzi esse sono essenziali per la formazione di un’opinione unica.
Se non si sono ancora definite le basi, come si potrà comprendere la posizione della Chiesa riguardo a qualsiasi argomento? Da qui viene il dubbio che sia un approccio proprio per evitare che la Chiesa si esponga pubblicamente.
Insomma l’esposizione ti può portare direttamente al rogo, se non viene approvata…
Cosa si dovrebbe pensare di te, Chiesa? Vuoi continuare a far finta che il mondo non sia cambiato, continuando a proclamare gli stessi valori novecenteschi che ti spinsero a collaborare insieme a governi politici maggiormente inclini alla guerra piuttosto che alla solidarietà tra popoli, oppure vuoi prendere coscienza dei sempre più evidenti cambiamenti, accettandoli nell’ordine delle cose ma non per forza inserendoli nel proprio ordinamento?
Concludo affermando che io personalmente desidererei un atteggiamento coerente e di paterna fermezza non giudicante da parte della Chiesa per permettere anche un maggior ingresso di figure giovanili nelle proprie comunità parrocchiali.
Credo che i giovani, e ciò vale anche per tutte le altre classi di età, debbano essere sempre ascoltate. Ma temo che l’analisi abbia alcuni punti deboli. In primo luogo sembra che il paradigma valoriale del brano poco si richiami alle Scritture ed al Magistero. I riferimenti sembrano essere solo quelli prevalenti nei movimenti globalizzati contemporanei. In secondo luogo temo che ad allontanare i nostri giovani dalla Chiesa non sia tanto lo scarso attivismo politico della Chiesa quanto la divaricazione sempre più marcata tra i valori cristiani e quelli secolari informati all’edonismo più spinto. Parliamoci chiaro e fuori da ogni retorica “woke”: quanti degli attuali attivisti delle cause à la page sarebbero disposti ad accettare le beatitudini come programma? Non so…
Il giovane afferma che il problema base consiste nel fatto che fra i cattolici esistono “troppe idee contrastanti nonostante ciascuno segua le indicazioni della Chiesa”. Ora, fra le “indicazioni”, esistono livelli molto diversi: altro è un dogma, altro è un principio etico, altro è un discorso, magari a braccio, del Papa. Quindi il grado di adesione può essere legittimamente diverso. Comunque è evidente che meno chiaro e unitario è l’insegnamento della Chiesa, più facilmente i fedeli, non solo i giovani, perdono fiducia nei suoi riguardi.
La domanda interessante è: chi è un giovane? Fino a quando si è giovani?? Una risposta chiara non c’è. Per cui ritengo che prima di fare parlare i giovani bisogna chiarire chi sono. Altrimenti è un “parla-parla” generalizzato e neanche tanto convincente dal mio punto di vista. Ogni giovane può dire la sua ma a che titolo, con quale esperienza alle spalle? D’accordo fare voce ai giovani ma meno banalità e più profezia. Se volete posso dire anche io la mia.