Durante un recente incontro con i nostri sacerdoti di Chicago, mi è stato chiesto del motu proprio Traditionis custodes (TC), recentemente pubblicato da papa Francesco. Erano curiosi di sapere come l’arcidiocesi avrebbe risposto a esso e quali intuizioni questo documento può offrire a tutti noi sulla liturgia.
Penso che sia importante sottolineare fin dall’inizio che una lettura attenta del motu proprio rivela l’intenzione del santo padre nel promulgare questo documento. In parole povere, si tratta di ristabilire in tutta la Chiesa di rito romano un’unica e identica preghiera che esprima la sua unità, secondo i libri liturgici promulgati dai santi papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II. In altre parole, non ci sono due forme del Rito Romano, perché la parola “riforma” significa qualcosa, cioè che si lascia un modo precedente di celebrare i sacramenti e si adotta una nuova forma.
Per mettere questa parola “riforma” in prospettiva, basta ricordare alcune delle altre riforme successive al Concilio Vaticano II di cui siamo stati testimoni ai nostri giorni. Nel 1983, papa Giovanni Paolo II riformò il Codice di Diritto Canonico del 1917, per assicurare che il diritto della Chiesa fosse conforme agli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
Allo stesso modo, il santo papa nel 1993 riformò il Catechismo della Chiesa cattolica, sempre allo scopo di aggiornarlo alla luce delle intuizioni teologiche del Concilio. Anche il modo di praticare il culto è stato riformato in vista della nuova autocomprensione della Chiesa che si trova nella costituzione dogmatica Lumen gentium e degli sviluppi teologici e liturgici espressi nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium. Con le riforme del Codice e del Catechismo la Chiesa si è lasciata alle spalle le forme precedenti. Nessuno penserebbe di sostenere che le forme precedenti del Codice o del Catechismo possano essere ancora utilizzate, semplicemente perché la parola riforma significa qualcosa. E così, deve significare qualcosa anche per quanto riguarda la riforma liturgica.
Con questo punto di partenza, papa Francesco offre tre importanti principi guida per ricevere e attuare la TC.
Il primo è l’unità della Chiesa. L’arcivescovo Augustine Di Noia, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, ha detto, in un’intervista con Cindy Wooden del Catholic News Service, che “quando san Giovanni Paolo e papa Benedetto hanno ampliato la possibilità di usare la messa pre-Vaticano II, speravano di promuovere l’unità nella Chiesa e di contrastare gli abusi che erano diffusi nella celebrazione della messa post-Vaticano II”.
Questa aspirazione nel concedere la facoltà di usare la forma precedente della liturgia era quella di sanare la spaccatura con i membri della Società di San Pio X, fondata dal defunto arcivescovo Marcel Lefebvre. Purtroppo, però, questo scopo non è stato raggiunto. Invece – ha osservato l’arcivescovo – “quello che abbiamo ora è un movimento all’interno della Chiesa stessa, apparentemente appoggiato dai suoi leader, che semina divisione minando le riforme del Concilio Vaticano II attraverso il rifiuto della più importante di esse: la riforma del Rito Romano”.
Un secondo principio guida che il papa affronta in TC è che ci deve essere un solido riconoscimento inequivocabile da parte di tutti i cattolici del fatto che il Concilio Vaticano II e le sue riforme non sono solo un’autentica azione dello Spirito Santo, ma sono anche in continuità con la tradizione della Chiesa. In particolare, questo riconoscimento significa la piena accettazione che “i libri liturgici promulgati da san Paolo VI e san Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.”
Un terzo principio è il ruolo del vescovo come unico moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella sua diocesi. Papa Francesco, con la pubblicazione di TC, ha restituito al vescovo locale la competenza per la regolamentazione dell’uso come concessione eccezionale della vecchia liturgia. Di conseguenza, ogni vescovo deve decidere se e quando può essere opportuno concedere in via eccezionale l’uso di riti precedenti alle riforme liturgiche del Concilio Vaticano II (Missale Romanum del 1962 e Rituale Romanum del 1952). Nella sua lettera ai vescovi di tutto il mondo che accompagna il testo del TC, papa Francesco chiarisce che il vescovo locale ha il dovere di prendere la sua decisione in modo da promuovere nella sua diocesi il ritorno a una forma celebrativa unitaria.
Per realizzare pastoralmente gli obiettivi della TC sarà necessario che noi, come pastori, accompagniamo le persone a comprendere il legame tra il modo in cui pratichiamo il culto e ciò in cui crediamo, tenendo presente il desiderio del santo padre che i pastori conducano i fedeli all’uso esclusivo dei libri liturgici riformati.
L’accompagnamento può assumere la forma di visitare i fedeli che hanno frequentato regolarmente la messa e celebrato i sacramenti con i riti precedenti per aiutarli a comprendere i principi essenziali del rinnovamento richiesto dal Concilio Vaticano II. Deve anche comportare l’aiutare le persone ad apprezzare come la messa riformata li introduca a un maggiore uso delle Scritture e delle preghiere della tradizione romana, così come un calendario liturgico aggiornato delle feste che include i santi recentemente canonizzati.
Accompagnare può anche significare includere creativamente nella messa riformata dal Concilio elementi che le persone hanno trovato nutrienti nella celebrazione della forma precedente della messa, che è già stata un’opzione: per esempio, movimento e gesti riverenti, uso del canto gregoriano, latino e incenso, e lunghi periodi di silenzio nella liturgia.
Credo che possiamo usare questa opportunità per aiutare tutto il nostro popolo a comprendere meglio il grande dono che il Concilio ci ha fatto nel riformare il nostro modo di adorare. Prendo seriamente l’obbligo di andare avanti in modo da promuovere un ritorno a una forma celebrativa unitaria in accordo con le direttive del TC, ma nel frattempo, dobbiamo tutti pregare, come fece Gesù la notte prima di morire, affinché tutti siano uno.
- Reprinted in translation with permission of Pray Tell blog.
Questi articoli dimostrano l’odio profondo e insanabile dei neomodernisti per il Rito Romano patrimonio della Chiesa di Cristo da oltre un millennio e mezzo. L’ansia di distruggere il Rito Romano “vero” non sarà coronata da successo, perché la vera giovinezza e la primavera della Chiesa di Roma risiede non nelle follie e deviazioni mentali dello “spirito” del Concilio Vaticano Secondo, ma nella conservazione dello splendido Rito della Messa, consegnato a noi dalle generazioni precedenti. Proprio il furore generato dalla constatazione della fecondità della Liturgia “antica” ha ispirato questo documento al perito chimico Bergoglio, un documento che è una autentica falsità storica, perché cerca di cancellare il vero Rito Romano, facendo iniziare la Chiesa Cattolica Apostolica Romana dal 1969. Volete sostituire la Chiesa di Cristo con una setta AVVENTISTA di rito argentino.
Il motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI ha creato confusione per cui era necessario mettere un po’ di ordine. Solitamente, ma non sempre chi segue assiduamente la messa secondo il vecchio rito rigetta il Concilio Vaticano II. Solitamente i Concilii che hanno lasciato il segno hanno bisogno di molto tempo per essere assimilati e non tutti li accettano in ogni caso. Dire che un Concilio è eretico perchè non è condiviso da alcuni non è molto ecclesiale. Il punto non è vivere la messa secondo il vecchio rito ma è l’accettazione del Vaticano II, perchè la Chiesa secondo la Lumen gentium permette di stare tutti dentro la Chiesa, compresi i tradizionalisti.
comunque c’è un certo atteggiamento del Cardinale che mi infastidisce: il voler imporre il Nuovo Rito a tutti quelli che per vari motivi non si trovano bene con esso e preferiscono quello Vecchio, e questo per una superiorità del primo sul secondo. di fatto è una riproposizione della tesi post-tridentina del Ritus Praestantior, solo con un rito diverso: e chi conosce un po’ di storia sa quanto male ha fatto questa tesi alla Chiesa tutta… ed è una tesi che è comparsa in più di un documento pontificio.
molti tradizionalisti (non tutti purtroppo) hanno fatto uno sforzo intellettuale e di onestà e hanno abbandonato questi tesi e si sono aperti a un ‘pluralismo liturgico della Tradizione’ , ma molti progressisti si sono fatti eredi di chi voleva uniformare tutto