Tempo fa – era il finire degli anni ’90 – a Pavia l’incontro con l’artista frate Costantino Ruggeri (1924-2007) fu l’occasione per sostare insieme a lui nel suo atelier, la bellissima soffitta sopra la Chiesa di Santa Maria di Canepanova, nel centro storico della città. E sentirci partecipi delle sue gioiose visioni di cui ci lasciò immagini profonde, non solo stampate su carta.
Nell’ascoltare il racconto del suo lavoro abbiamo avvertito gentilezza, semplicità e vivace cordialità; nella nostra memoria si sono depositati colori accesi e brillanti come quelli delle sue vetrate illuminate dal sole. In seguito, ci è capitato di sostare in qualche spazio architettonico da lui creato e riconoscere il suo stile tra i disegni di vetrate, altari e altri oggetti liturgici sparsi per l’Italia.
A 14 anni dalla sua scomparsa, lo scorso luglio incontriamo sempre a Pavia l’architetto Luigi Leoni, presidente della Fondazione Frate Sole, già voluta da frate Costantino e tutt’oggi volta a far memoria e a proseguire la sua missione. Ci guida la lettura del libro C. RUGGERI, Soltanto un fiore. Genesi di un artista cristiano, Marietti 1990 (che ci aveva regalato proprio frate Costantino e che venne riedito nel 2001 per le edizioni Dies, Milano).
L’artista e l’architetto
In quelle pagine si snoda l’autobiografia del frate artista nella lunga intervista di padre Nazareno Fabbretti. È la storia di una vita in cui “mi è toccata la grazia e la gioia di aver identificato la mia fede nell’arte e la mia arte nella fede”. Così lo stesso Costantino ben riassume un’incessante ricerca di forme e immagini per abitare il sacro. Una ricerca che parte dallo sguardo curioso e attento di un bambino nato e cresciuto in una povera e laboriosa famiglia di radicata fede cristiana nella Franciacorta, “terra forte e dolcissima” della provincia bresciana.
Lo sguardo di quel bambino non si è mai cancellato: all’origine spaziava rapito sui muri delle chiese della natia Adro e dei paesi vicini. Ma anche sui volti dei suoi cari – il papà operaio, il nonno fabbro, entrambi amanti dell’opera lirica – sui colori dei campi e dei monti dove, dopo la scuola, egli portava le bestie al pascolo. Poi ritroviamo tale sguardo nelle stilizzazioni essenziali che l’artista francescano ripropose tra echi di soggetti dipinti nelle catacombe o disegnati da Matisse.
Le sue opere oggi contano più di trenta chiese in più continenti, in circa 12.000 metri quadrati di vetrate, nelle realizzazioni di moltissime sculture e arredi liturgici. La sua vita fu anche segnata da incontri con i principali artisti, soprattutto lombardi, degli anni ’50 (tra cui Sironi, Fontana e gli architetti Figini, Giò Ponti, Gardella), e da incomprensioni sia interne che esterne all’ambiente ecclesiastico. Fu difficile per molti capire e contenere il suo entusiasmo e la sua libera creatività.
Ritroviamo la stessa semplicità francescana e l’accoglienza di frate Costantino nella persona che egli stesso definì “un dono di Dio alla mia vita e alla mia vocazione”. Gigi Leoni ci racconta che era tredicenne quando nel 1959 il frate si stabilì nel convento di Santa Maria di Canepanova in cui risiedette fino alla morte. Una “stabilitas loci”, propria della Regola benedettina ma assai rara per quella francescana. Il giovanissimo Gigi coglie e si appassiona alla forza creativa di quell’uomo che della città di Pavia sarà sempre più innamorato. Gli sguardi infantili dei due si incrociano e si alleano.
La scelta di diventare architetto e di affiancare l’artista nei viaggi anche più impegnativi (ci dice di essere stato ben 12 volte in Giappone per l’edificazione della chiesa di Yamaguchi voluta e frequentata da una vivace comunità cristiana guidata da padri gesuiti) la deve al suo amico fraterno con cui ha condiviso scelte professionali e artistiche. Ci mostra gli spazi in cui oggi la Fondazione ha raccolto testi, disegni, bozzetti appartenuti a Ruggeri, ma anche cataloghi e modelli di opere vinte da prestigiosi architetti – tra i quali Tadao Ando e Richard Meier – per il quadriennale Premio Internazionale di Architettura Sacra che la stessa Fondazione bandisce dal 1996. La Fondazione premia – ogni due anni – anche progetti di giovani laureandi sempre relativi all’architettura sacra.
Piccoli spazi mistici
Nelle stanze che erano dell’appartamento del vescovo (la Fondazione è sita in un’ala del Palazzo Broletto di Pavia, già Palazzo vescovile) sacro e profano si incontrano per promuovere e continuare una sfida secolare volta a edificare spazi sacri e immaginare luoghi e segni in cui la voce e la presenza di Dio possa avvicinarsi a quella degli uomini e delle donne di tutto il mondo. Dalle problematiche costruzioni dell’antico tempio di Gerusalemme alle inequivocabili parole del Cristo che denuncia i mercimoni del sacro proprio sulle soglie del tempio (Mt 21,12-16), la riflessione su cosa sia la casa di Dio continua anche oggi ed era stata certamente nota a padre Costantino.
Leggendo e visionando immagini e cataloghi delle sue opere ci sembra che la sua ricerca si sia mossa su due poli dialettici: i “piccoli spazi mistici” e le vetrate. I primi sono le cappelle che invitano al raccoglimento e alla preghiera; queste entrano in dialogo con l’apertura alla luce che grandi e piccole finestre restituiscono nei colori più vari. La luce solare rimbalza e si colora variamente tra spazi e superfici, su muri e coperture.
Le parole umane nel loro storico e concreto muoversi incrociano la Parola che è Luce e si insinua negli anfratti più bui dando vita a forme e colorazioni inattese.
Prima di salutarci l’architetto Leoni ci mostra il laboratorio con tavoli e scaffali dove riposano disegni, modelli e oggetti liturgici disegnati da frate Costantino. Molteplici, colorati campioni di vetri – dalle dimensioni pari a quegli specchietti rettangolari che una volta le signore portavano nella borsetta – sono appoggiati alle ampie finestre.
Utili per scegliere le vetrate – che ancora oggi vengono eseguite o riparate – colorano l’ambiente con la tavolozza che più piaceva a Frate Costantino, quella vibrante della luce del giorno, nelle sue varie tonalità. Ora fioca e uggiosa come nei brumosi inverni di Pavia, ora vivida e intensa come quando il sole illumina il fiume Ticino che scorre in città.
Ma sempre lume segno di un’altra Luce capace di rivelare senso e direzione alle opere e ai giorni degli uomini e delle donne di ogni tempo. E capace di inverare la bellissima strofa poetica scritta dal famoso “giullare di Dio” che certamente Costantino ha più volte recitato nel suo cuore, sede prima, privilegiata e foriera di ogni spazio sacro: Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Ho conosciuto Padre Costantino presso il laboratorio Bertagnini Sauro di Avenza. Un laboratorio di scultura dove io esercitavo la mia professione artistica. Il maestro Sauro è stato il realizzatore di molte opere in marmo idee di Padre Costantino.