Il Rapporto prodotto dalla Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa di Francia (Ciase) è affidabile? La legittima domanda ha motivato un’analisi puntigliosa da parte di otto esperti dell’Accademia cattolica di Francia, fra cui il suo presidente, il giurista Hugues Portelli. Presentata in via riservata ai vescovi e alla Santa Sede, è rapidamente divenuta pubblica.
I dati del Rapporto sono noti (cf. SettimanaNews: Il rapporto Sauvé; Il magistero delle vittime). La stima prudenziale è di 216.000 vittime nell’arco temporale dal 1950 al 2020. Esse sono 330.000 se si comprendono anche i laici collaboratori nelle istituzioni cattoliche. I sacerdoti predatori sono stimati fra 2.900 e 3.200, su un insieme che, nel periodo, ammonta a 150.000 preti. Il 3%. Ad ogni predatore corrispondono 63 vittime. Sul piano dell’intero paese si stimano in 5.500.000 le vittime di violenza sessuali fra minori e adulti vulnerabili.
Le critiche elaborate dagli accademici riguardano sia i metodi di indagine, sia le riflessioni teologiche, sia il ruolo delle raccomandazioni finali rivolte ai vescovi. Sul metodo si eccepisce riguardo alla credibilità dell’inchiesta sociologica. Nonostante il vasto campione (28.000) il metodo on-line seleziona le persone contattate e condiziona i risultati. Le percentuali delle vittime (0,42%) non consentono un’interpretazione statistica. Inoltre, durante i lavori, è stata scartata una diversa inferenza sul numero delle vittime. Accreditando 7 vittime (e non 63) a testa per ciascun predatore si arriverebbe a 24.000, cifra ben lontana dalle 216.000 ipotizzate.
Sul metodo e sul contenuto
La fragilità del rigore scientifico rende meno credibile la conclusione dell’abuso come “fatto sistemico” nella Chiesa e meno pertinente l’idea che la Chiesa abbia bisogno essenziale di essere spinta alle riforme dall’esterno.
Ugualmente precarie sarebbero le riflessioni teologiche e filosofiche. Per esempio, l’espressione in persona Christi capitis, privilegiata nel Rapporto, non garantirebbe una minor enfasi sul ministero ordinato e la critica al celibato sacerdotale è sì indiretta, ma non meno sostanziale. La teologia morale non registra il percorso di questi decenni e riconosce ai comandamenti una centralità che non rivestono.
Dal punto di vista storico-filosofico, il Rapporto sottovaluta gravemente la legittimazione della pedofilia promossa negli anni ’70 dagli intellettuali laici più seguiti allora (Sartre, de Beauvoir, Barthes, Deluze, Foucault, Althusser ecc.).
Dal punto di vista giuridico, non si può addebitare alla Chiesa delitti compiuti da singoli, anche perché in Francia la personalità politica pubblica è delle Associazioni diocesane e non della Chiesa. Non si può addebitare al vescovo i delitti compiuti da preti che violano il mandato ricevuto. Inoltre, il segreto confessionale, anche assimilato a quello professionale, non obbliga alla denuncia. Sia la responsabilità collettiva sia la giustizia riparatrice esulano dal sistema legislativo.
La critica degli accademici avrà una argomentata risposta. Ad una prima lettura risulta difficile condividere la svalutazione del campione, quando una misura di 1.000 contatti viene considerata sufficiente. È arduo immaginare che ridurre le vittime a 24.000 significhi annullare la dimensione sistemica del fenomeno abusi.
Quanto alle critiche teologiche, potrebbero essere pertinenti se il Rapporto non avesse scelto come riferimenti vincolanti il Codice di diritto canonico e il Catechismo della Chiesa cattolica, documenti centrali che non hanno assimilato, se non parzialmente, il concilio e certo non la riflessione successiva.
Quanto alle decisioni dei vescovi prese dall’assemblea all’indomani del Rapporto, rispondono alla coerenza morale ed evangelica del loro ruolo oltre che ad alcune indicazioni del documento.
Nell’insieme le critiche sembrano invalidare la richiesta delle riforme ecclesiali, temere le rivendicazioni finanziare e criticare l’orientamento assunto dai vescovi e dai religiosi/e francesi. Ma siamo solo all’inizio di un dibattito che si annuncia molto vivace e che ha già fatto una vittima: la stessa Accademia. Si sono immediatamente dimessi sia il presidente dei vescovi, Eric de Moulins-Beaufort, sia sr. Veronique Margron, a capo dei religiosi/e francesi.
Marc Sauvé, presidente della Ciase e anche lui accademico, ha sottolineato non solo l’assenza di un dibattito previo, ma anche il ricorso di tipo clericale seguito nel documento di critica: del tutto secretato, inviato al presidente dei vescovi, al nunzio e alla Santa Sede. Diversi accademici hanno già assicurato il loro ritiro. L’annunciato (e rinviato) incontro della Ciase, dei vescovi e dei religiosi con il papa avrà molti elementi da discutere.
È giusto e improcrastinabile fare pulizia di persone, strutture e mentalità impure, clericaliste e simoniache nella Chiesa. Stiamo attenti però al “cupio dissolvi” che si sta palesando in alcuni settori clericali.
I “lapsi” vanno immediatamente affidati al braccio secolare senza omertà clericali o laicali. Nello stesso tempo essi vanno aiutati, accompagnati a quella redenzione a cui Cristo chiama tutti, anche i più biechi peccatori.