Umile richiesta di perdono e centralità del pontificato nell’attuale stagione ecumenica. Il recente viaggio di papa Francesco a Cipro e in Grecia (2-6 dicembre 2021) è stato giustamente letto a partire da alcune preoccupazioni centrali come i processi migratori, la crisi della democrazia, l’Europa e il sostegno alle Chiese cattoliche locali.
Meno praticata è stata l’ottica ecumenica e il peso che l’attuale scisma, che devasta l’ortodossia, hanno avuto nel viaggio e nel prossimo futuro delle relazioni fra le confessioni cristiane. Si tratta di brevi appunti fra il non detto e il non esibito del viaggio.
Un primo segnale è nel tono diretto e quasi impositivo dei saluti che i due protagonisti ecclesiali ortodossi, Crisostomo II di Cipro e il primate Ieronymo II di Atene, hanno rivolto al papa.
Il primo, ricordano l’occupazione turca del 1974 e l’attuale divisione del paese, ha chiesto al papa di condividere «la nostra santa e giusta lotta» contro la Turchia che «il nostro popolo sofferente conduce sotto la guida dei suoi responsabili politici ed ecclesiastici». «Vogliamo avere il suo attivo sostegno» ha rimarcato il gerarca, ricordando l’esempio di Benedetto XVI.
Ieronymo di Atene nel suo ampio articolato saluto ha ricordato i 200 anni dell’indipendenza del paese. «Penso che in questo momento storico lei abbia il coraggio e l’onestà di esaminare le sconfitte e le omissioni dei suoi “padri” che non hanno sostenuto la lotta del nostro popolo per la libertà. Non ho l’intenzione di metterla in imbarazzo. Credo che fra quanti sono chiamati e vogliono essere fratelli in Cristo il linguaggio migliore è e resta l’onestà».
«Dobbiamo al sangue degli eroi e dei martiri della rivoluzione greca che lei li ristabilisca nella realtà della storia» (per una lettura più ampia cf. il contributo di Y. Spiteris, Chiesa ortodossa greca: 200 anni di indipendenza).
Il perdono e i silenzi
«Ho chiesto scusa per tutte le divisioni che ci sono fra i cristiani, ma soprattutto per quelle che abbiamo provocato noi cattolici… Per le altre, sono i responsabili che devono farlo, ma per le nostre chiedo scusa» – ha detto Francesco ai giornalisti nel ritorno da Atene.
Chiedere perdono è un atto di coraggio, ma perché i gerarchi ortodossi si sono tanto esposti? Ambedue hanno scelto temi che garantissero l’unità interna delle loro Chiese, provate non solo dalle contrapposte pratiche in ordine alla pandemia o dalle spinte anti-migranti, ma anche per lo scontro tra filo-ellenici e filo-russi dentro le comunità e fra i vescovi.
A Cipro sono tre i vescovi che non condividono la scelta di Grisostomo di riconoscere la Chiesa ucraina resa autocefala da Bartolomeo nel 2019. Il gerarca di Limassol, Atanasio, il 13 novembre ha confermato che non riconoscerà la Chiesa ucraina: «Continuo a credere come altri gerarchi della nostra Chiesa, come anche la maggioranza delle Chiese ortodosse, che l’intronizzazione di Epifanio come primate della Chiesa ortodossa ucraina è stata fatta contro i santi canoni e in contraddizione con la pratica e l’ordine stabilito nella nostra Chiesa».
Non si tratta solo di opinioni perché dalla Russia i pellegrinaggi ai luoghi di origine del cristianesimo vengono pilotati sui territori dei vescovi considerati vicini.
Anche ad Atene il clima non è stato sereno, visto che alcuni vescovi si sono esposti contro l’indirizzo filo-costantinopolitano del sinodo. Una parte del monachesimo, soprattutto dell’Athos, è contrario all’ecumenismo e alle scelte del patriarca.
È particolarmente temuta la possibile saldatura fra una tradizionale corrente scismatica interna e gli interessi divisivi di Mosca: i “veterocalendaristi”. Essi affermano che il riconoscimento (parziale) del calendario gregoriano da parte dei gerarchi all’inizio del ’900, costituisce un vulnus della tradizione e non accettano l’autorità della gerarchia ortodossa. I contatti da parte dei russi e degli ucraini filo-russi potrebbero mettere in difficoltà la Chiesa di Grecia.
I timori di Cirillo
Un effetto indiretto della disputa intra-ortodossa è visibile anche nell’imbarazzo russo in seguito alla disponibilità del papa per un incontro con il patriarca di Mosca. Nella conferenza stampa sull’aereo al ritorno da Atene il papa ha detto: «È in un orizzonte non lontano l’incontro con il patriarca Cirillo. Credo che la prossima settimana venga da me Hilarion per concordare un possibile incontro».
Hilarion, presidente del dipartimento per le relazioni internazionali del patriarcato moscovita, ha risposto che «né il luogo, né la data dell’incontro sono stati ancora decisi», senza negare che sia previsto. Tuttavia ha sottolineato che l’impegno per un viaggio in Finlandia, che ha la precedenza, è congelato «per la situazione intra-ortodossa».
La martellante accusa di papismo verso Bartolomeo mal si concilia con una esibita vicinanza a Roma. Oltretutto la Russia, secondo il patriarca, ha oggi la leadership del mondo libero, «siamo liberi dalle influenze esterne più potenti, stiamo sviluppando il nostro proprio cammino e spero che, in Dio, il nostro percorso abbia successo. La Russia può servire ad esempio per gli altri». Rispetto alle fragilità delle Chiese in Occidente basta citare un caso: «la Chiesa ortodossa rigetta e rigetterà sempre l’idea alla moda sulle relazioni di coppia: la coabitazione praticata oggi da persone dello stesso sesso è un peccato grave».
Quanto a Bartolomeo, Cirillo denuncia «l’autocomprensione assolutamente falsa del patriarca, che si considera il capo del mondo ortodosso. Dal punto di vista ecclesiologico, lui è il primo tra eguali, mentre egli si considera non il primo tra uguali, ma il primo sopra gli altri. Cioè è tentato dalla stessa idea che ha portato alla divisione del cristianesimo fra Oriente e Occidente. E ora – non ho paura di dirlo – proprio per iniziativa personale del patriarca la stessa questione del potere ha già diviso la Chiesa ortodossa».
Posizione a cui Bartolomeo è stato “obbligato” da forze politiche internazionali ed esterne all’ortodossia (USA), prigioniero com’è del contesto liberale occidentale. Il superamento è ormai possibile solo a partire dalla coscienza ecclesiale delle comunità ortodosse in Ucraina.
Me ne infischio
Durante il suo apprezzato viaggio negli USA (23 ottobre-3 novembre), il patriarca Bartolomeo ha risposto: «Come sapete, negli ultimi anni (il primo trono – Costantinopoli) è stato messo alla prova da un atteggiamento ignorante della Chiesa ortodossa russa nei confronti della sua Chiesa madre. Siamo la Chiesa madre perché abbiamo dato loro il cristianesimo. Li abbiamo illuminati. Abbiamo dato loro l’alfabeto cirillico attraverso il quale volevamo aiutarli a promuovere la loro cultura. E come si dice nel linguaggio liturgico, hanno voltato le spalle al benefattore. Arrabbiati con noi perché abbiamo concesso l’autocefalia alla Chiesa ucraina». «Perché non farlo, come abbiamo fatto con Russia, Serbia, Bulgaria, Grecia, Polonia, Romania, Albania? È privilegio esclusivo del patriarcato ecumenico concedere l’autocefalia… Perché non fare lo stesso con l’Ucraina e i suoi 40-50 milioni di abitanti?
I nostri fratelli ucraini volevano non solo adesso ma molto prima e ora più intensamente avere una proprio indipendenza e non appartenere a Mosca, non dipendere, non essere oppressi da Mosca. Lo abbiamo fatto con senso di responsabilità verso la storia e verso l’Ucraina e il suo popolo. Si sono arrabbiati e hanno tagliato i legami eucaristici con il patriarcato ecumenico. Hanno cancellato il mio nome dai Dittici. Me ne infischio».
E domenica 5 dicembre, durante una celebrazione, ha sottolineato: «Con la grazia di Dio, le singole Chiese che non hanno ancora riconosciuto (il tomo dell’autocefalia) lo faranno in futuro». Vi ritorna sopra qualche giorno dopo, parlando con un gruppo di giornalisti ucraini: «Il sogno dei nostri fratelli russi è di prendere il comando dell’ortodossia. Ma questo non accadrà. Perché, secondo i canoni e le regole della Chiesa ortodossa, approvati dai concili ecumenici molti, molti anni fa, questo ruolo e privilegio spettano al trono ecumenico».
Quanto “serve” l’ecumenismo?
Il centro del moto tellurico, l’Ucraina, conosce una certa stabilizzazione fra le due comunità ortodosse. Quella filo-russa è ancora maggioritaria. Secondo i dati più recenti, la Chiesa filo-russa è la maggiore: 53 diocesi, 12.374 parrocchie, 255 monasteri, 12.456 preti, 108 vescovi. Ha cominciato a operare in sede civile attraverso un’associazione laicale, Miriane.
La Chiesa autocefala di Epifanio ha 7.000 parrocchie, 44 diocesi, 80 monasteri, 4.500 preti, 60 vescovi. È maggiormente sostenuta dal governo e dall’amministrazione e, nei media, gode di un consenso maggiore. Ma la preoccupazione più grave del governo e della popolazione, dopo l’occupazione russa della Crimea, è la guerra nel Donbass (l’area al confine con la Russia) che ha già fatto 14.000 morti. Nelle ultime settimane sono cresciuti i timori di un’invasione militare. La Russia ha raccolto ai confini 175.000 soldati. E chiede all’Occidente di essere garantita da un attacco militare Nato, rifiutando all’Ucraina di entrare nell’alleanza militare.
Tensioni intra-ortodosse sulla questione autocefala sono registrate dall’Australia all’Asia. In Europa i conflitti in atto, congelati o temuti (Ucraina, Georgia, Bosnia-Erzegovina, Armenia – Azerbaigian), hanno tutti una forte impronta religiosa. Per un osservatore esperto come il tedesco Christoph Strack, l’auspicabile incontro con Cirillo, fa parte della tela di buoni rapporti e di pace che Francesco cerca di costruire.
La Chiesa cattolica, che è stata lenta ad acquisire positivamente l’orizzonte ecumenico, è diventata il centro di resistenza alla sua evacuazione. Un gesto di fedeltà al Vangelo che è anche un significativo servizio all’unione del continente europeo e alla pace nel mondo.
Un concetto affascinante quello della sinodalita’ ma piuttosto problematico nella sua concreta applicazione storica, almeno per come appare oggi nell’Ortodossia. I rapporti tra le gerarchie ortodosse sembrano in realtà essere piuttosto tesi e ambigui, e forse pure “inquinati” dalla mai del tutto superata tentazione dell’alleanza tra trono e altare, tra cioè alcuni patriarcati e i detentori del potere politico delle diverse nazioni ortodosse. Questi sono elementi che andrebbero tenuti presenti quando nella Chiesa latina si invoca la sinodalita’ presentandola come prospettiva assoluta per l’avvenire ecclesiastico. Non è tutto oro quel che (sembra) luccicare da Oriente
anche perchè gli stati e la nazioni sono realtà che hanno delle durate di vita limitate, e adattare tutta la struttura ecclesiastica in ragione della loro esistenza può dare seri problemi quando esse scompaiono