Partecipazione, comunione, missione: sono le parole d’ordine di papa Francesco ai suoi collaboratori nel tradizionale incontro per gli auguri natalizi (23 dicembre). Un’occasione che merita attenzione per il rilievo che la curia ha nell’esercizio pastorale del primato papale. Prima di presentare i tratti essenziali del discorso vale la pena sottolineare le cose che non ci sono nel testo, il non detto.
Anzitutto non vi è traccia della costituzione apostolica Evangelium praedicate, il documento di riforma organica della curia, già annunziato più volte e che gira solo in bozze. La riforma della curia è stata fortemente richiesta nel conclave che ha eletto papa Francesco e alla curia è stata rivolta molta attenzione da parte sua. I tratti maggiori della riforma sono già in opera: la centralità della Segreteria di stato (riconfermata dopo molte titubanze, e persino ampliata nei suoi compiti), le due nuove segreterie (per la comunicazione e l’economia, variamente rimaneggiate), i dicasteri dei vescovi, del clero, dei laici, per lo sviluppo umano integrale e della vita consacrata, che hanno visto accorpamenti e diversificazioni dei loro compiti.
Il rapido cambiamento di alcuni ruoli apicali, più o meno coincidenti con i cinque anni di servizio, dal card. Pell al card. Piacenza, dal card. Becciu al card. Müller, dal card. Sarah al card. Stella, fino alla recente decisione relativa al card. Turkson, testimoniano di una certa difficoltà a modificare la “macchina”. In particolare, si sottolineano le difficoltà legate alle mansioni degli uffici, al loro coordinamento, alla gestione del personale.
Non sempre sono evidenti le linee di forza della riforma e cioè il rafforzamento delle conferenze episcopali rispetto ai dicasteri (lo scoglio è rappresentato dall’Apostolos suos) e la prevalenza della dimensione evangelizzante su quella gestionale e di sorveglianza.
Quello che manca
Una seconda assenza è relativa alla progettazione delle attività papali. Affrontata in uno dei primi discorsi in occasione del Natale è poi sparita dai successivi appuntamenti. Una mancanza che alimenta il mugugno e il chiacchiericcio.
Si addebita al papa di agire senza una squadra affidabile, ricorrendo volta a volta a competenze e a personaggi che non sempre si rivelano all’altezza. Con una comunicazione pubblica in cui capita che si annuncino progetti importanti sui media laici prima della comunicazione interna. Difficile seguire tutti i meandri del malcontento, ma risulta evidente che papa Francesco chieda con priorità una conversione interiore, spirituale e morale, ai suoi collaboratori prima e in corrispondenza di ogni mutamento gestionale.
Una terza assenza è l’annuncio delle sue dimissioni. Francesco non le ha mai escluse, ma neppure mai annunciate come imminenti. Ma talora le voci si rincorrono, obbedendo più alla logica mediale che ai dati di fatto.
Entrando dentro testo si potrebbe titolare: il mistero del Natale e la via dell’umiltà. L’immagine biblica evocata è quella di Naaman il Siro (cf. 2Re 5), generale valoroso dell’esercito arameo che si rivolta al profeta Eliseo per la guarigione dalla lebbra e impara, nel rapporto con lui, la virtù necessaria all’approccio al Dio di Israele: l’umiltà. Servono poco i titoli di onore, le armature raffinate, la ricchezza esibita.
«Naaman comprende una verità fondamentale: non si può passare la vita nascondendosi dietro un’armatura, un ruolo, un riconoscimento sociale… Arriva il momento nell’esistenza di ognuno, in cui si ha il desiderio di non vivere più dietro il rivestimento della gloria di questo mondo, ma nella pienezza di una vita sincera, senza più bisogno di armature e di maschere». Fuori metafora: «Ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” – il peccato del “si dovrebbe fare” – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele».
«L’umiltà è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità, questa umanità amata e benedetta dal Signore. L’umiltà è comprendere che non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità». L’umile sa ricordare, legato alle proprie radici, e sa generare aprendo germogli di fecondità.
Naaman
La curia è un organismo di testimonianza più che un’organizzazione aziendale, uno strumento del Vangelo prima di un organismo efficiente. Francesco suggerisce tre modi per rendere concreto l’invito all’umiltà.
Il primo è la partecipazione: «sarebbe importante che ognuno si sentisse partecipe, corresponsabile del lavoro senza vivere la sola esperienza spersonalizzante dell’esecuzione di un programma stabilito da qualcun altro» e incoraggia alla creatività e la partecipazione attiva alla missione.
Il secondo strumento è la comunione: «Non avremo mai uno stile evangelico nei nostri ambienti se non rimettendo Cristo al centro, e non questo partito o quell’altro, quell’opinione o quell’altra: Cristo al centro». La comunione è reale nella diversità che è dono dello Spirito, con quell’atteggiamento di magnanimità e generosità che il popolo santo di Dio riconosce.
Il terzo criterio è la missione: «Essa è ciò che ci salva dal ripiegarci su noi stessi». «Solo un cuore aperto alla missione fa sì che tutto ciò che facciamo ad intra e ad extra sia sempre segnato dalla forza rigeneratrice della chiamata del Signore».
E il papa conclude: «Cari fratelli e sorelle, facendo memoria della nostra lebbra, rifuggendo le logiche della mondanità che ci priva di radici e di germogli, lasciamoci evangelizzare dall’umiltà del bambino Gesù. Solo servendo e solo pensando al nostro lavoro come servizio possiamo davvero essere utili a tutti».
Certo è vero che, seppure ad experimentum, la riforma della Curia è già in atto. Certo è inoltre vero che ogni riforma è una riforma in membris et in capitis per cui, come il papa sta facendo, si deve insistere sulla riforma spirituale dei curiali (e non solo è evidente). Tuttavia quello che a me pare manchi, al di là delle chiare e definite competenze di ciascun dicastero, è il prevedere che ci possano essere materie comune per cui occorre creare dei coordinamenti tra dicasteri, un meccanismo di autoriforma – l’efficacia si misura anche nella capacità di dirsi “così non va, occorre cambiare” – , una riforma del codice di diritto canonico (l’ultimo risale al 1984 e siamo in un cambiamento d’epoca!!!) complementare a quello della riforma della Curia. Del discorso del Papa trovo interessante la citazione finale, quella tratta da “Meditazione sulla Chiesa” di Henri del Lubac che guarda caso ha scritto un’opera sulla riforma della Chiesa. Su de Lubac ispiratore del Papa.
La Curia romana è una corte, che nel rinascimento era modernissima, ma nel XXI secolo è autoreferenziale e problematica. Una persona sola, il Papa in carica, non può controllare tutta la burocrazia vaticana, che è cresciuta molto nel corso dei secoli. Già Benedetto XVI tentò di intraprendere una timida riforma della curia romana e trovò una grossa opposizione e si fermò. Papa Francesco, con qualche suo errore, ha portato avanti progetti di riforma , alcuni attuati, altri incominciati ed altri ancora non attuati. Papa Francesco è stato attaccato in tutti i modi e le resistenze nell’applicare le riforme e nel fare arenare un progetto di riforma complessivo è evidente a tutti. Fin quando la Curia romana non dovrà rispondere ad un ente terzo, come il Sinodo dei vescovi o della Chiesa, ma solo a una persona sola tenterà sempre di resistere. La curia romana tenterà con il prossimo Papa di rovesciare le riforme fin qui fatte.