Nel nuovo anno le istituzioni statali ed ecclesiali saranno chiamate a sfide di grande rilievo. Ciò accadrà, come è naturale, secondo l’intreccio differenziato con cui lo Stato democratico e la Chiesa di Cristo si muovono nella storia, con la sintesi di autorità e di libertà che caratterizza il primo come la seconda.
Vorrei dire che il “regime del consenso”, con cui gli stati democratici si muovono negli ultimi 200 anni, e la “autorità gerarchica”, che domina invece la esperienza della Chiesa cattolica nello stesso periodo, implicano sfide diverse, ma convergenti nel loro senso complessivo.
Proviamo a vedere nel dettaglio due tra di esse, che riguardano da un lato la comunità civile, e dall’altro la comunità ecclesiale, facendole precedere da una piccola premessa.
La tensione tra gerarchia e consenso
Il principio democratico, che regge gli stati moderni, non ha corrispondenza nella esperienza ecclesiale. Anzi, potremmo dire che al principio di libertà, che caratterizza i primi, corrisponde il principio di autorità, che qualifica la seconda. Questa differenza, tuttavia, non deve essere spinta fino alla ideologia.
Se il principio democratico conosce, inevitabilmente, logiche di autorità (ad es. nella amministrazione della giustizia), il principio ecclesiale fa i conti con il consenso, sebbene in modo non diretto. Che all’inizio stia la libertà o la obbedienza del soggetto non implica che il libero arbitrio debba essere negato o che la autorità debba sempre essere presupposta. Per questo è utile mettere in luce, all’inizio di questo anno, due tensioni interne, al principio democratico e al principio gerarchico, che potranno riservare, nei prossimi giorni, alcune gradite o sgradite sorprese.
Il libero consenso e il “mercato delle vacche”
Il principio della “elezione dal basso” costituisce un grande sistema di attribuzione di autorità che le istituzioni democratiche hanno stabilito al posto del “principio monarchico”. Anche nella prossima elezione del Presidente della Repubblica Italiana avremo a che fare con questo meccanismo “democratico”.
Nel nostro paese non vale la “elezione diretta”, ma quella mediata da un numero considerevole di rappresentanti del parlamento e delle istituzioni locali. La garanzia democratica, tuttavia, non è messa al riparo da “buchi”. Il populismo, nel caso della elezione diretta del Capo dello Stato, o la “compravendita di consensi”, nel caso della elezione mediata, possono svuotare il consenso del suo valore. Ogni meccanismo di elezione “dal basso” subisce questa pressione.
Chi ha visto il film “Lincoln” di S. Spielberg ha scoperto, forse con un certo scandalo”, che anche il primo superamento delle leggi razziste negli USA è passato attraverso un grandioso “mercato delle vacche”. Questo potrebbe accadere anche nella prossima elezione del Presidente della Repubblica italiana. Ma il voto sulla Presidenza della Repubblica non può essere comprato come una legge sulle televisioni o una sfiducia al governo.
Il rischio è che chi da venticinque anni è abituato a lasciarsi comprare, possa essere tentato di assimilare la più alta carica dello stato con il retrobottega del padrone. La qualità delle forze politiche sta nel saper discernere i livelli della dignità e della autorità. La democrazia potrebbe essere capace di produrre in questo caso una autorità formale priva di ogni autorevolezza politica. Chi ha già regalato frigoriferi per avere il voto alle elezioni, o ha rimesso debiti a parlamentari per ottenere il salto della quaglia, potrebbe convincersi – e convincere – che anche il Quirinale sia solo un palazzo in vendita.
Il servizio gerarchico e la asfissia curiale
Anche il mondo ecclesiale conosce, in forme diverse, le medesime sfide. La fatica di elaborare un modello di “chiesa sinodale” sembra a volte più preoccupato di evitare le similitudini con le pecche della democrazia che di riflettere seriamente sulle analoghe forme di svuotamento non della libertà senza autorità, ma della autorità senza autorevolezza. Un aspetto rilevante riguarda le relazioni complesse tra “centro” e “periferia”.
La rivalutazione del “periferico”, che con il papato di Francesco ha trovato un lessico singolarmente efficace, fatica talvolta a trovare un canone di esercizio coerente. In particolare questo riguarda il modo con cui vengono scelti e nominati i pastori della Chiese particolari. Accanto a molti esempi di nomine coraggiose, profetiche e lungimiranti, permangono talora i segni di un modo di concepire l’episcopato come “coronamento di carriera”, come “approdo di cursus honorum”, come “premio”, o anche come “rimozione” di ufficiali di curia, che vengono “spostati” sulla pastorale “particolare”.
Queste scelte sono spesso poco lungimiranti. Soprattutto perché non di rado rimandano alla periferia quello che era stato un problema al centro. Questa è una delle forme peggiori di clericalismo, assicurata dal principio antievengelico e cinico che suona “promoveatur ut amoveatur”. Non è né giusto né dignitoso scaricare su una diocesi i problemi che un soggetto ha creato in un ufficio romano.
Chiunque si presti a questi giochetti burocratici si macchia di una forma gravissima di autoreferenzialità clericale, in cui la ecclesiologia del Vaticano II, ma anche quella del Vaticano I e dello stesso Concilio di Trento, vengono ufficialmente ridicolizzate e ridotte a “quantité nèglieable”.
Potere diviso, potere indiviso e rischio autoreferenziale
Come è evidente, il sistema civile parte della divisione del potere, mentre il sistema ecclesiale cattolico muove dal potere indiviso. Questa differenza, che è sicuramente grande e importante, rischia però di distrarre dal punto-chiave. Entrambi i sistemi producono pace e giustizia se sanno mediare tra autorità e consenso.
I modi sono diversi, ma l’obiettivo è il medesimo. Proprio su questo siamo sfidati nell’anno che inizia, come cittadini e come cristiani. Non essere clericali significa, in questo caso, non prestarsi né al mercato delle vacche (tipica degenerazione elettiva) né alla indifferenza verso i terzi (tipica degenerazione gerarchica).
Se sul piano civile sapremo eleggere una persona degna e autorevole come Presidente di tutti gli italiani, e se sul piano ecclesiale sapremo nominare vescovi come servizio alle diocesi e non come “onorificenze ad personam”, questo nuovo anno sarà promettente. Istituzioni davvero di servizio (civile ed ecclesiale) non si lasciano né comprare per un piatto di lenticchie né strumentalizzare nel ministero al Vangelo per logiche di ordine pubblico o di sistemazione personale: solo in questo modo e a questo prezzo esse possono restare istituzioni autorevoli, capaci di parole e di azioni credibili.
- Pubblicato sul blog dell’autore Come se non.
Egregio Professore, secondo Lei la cosiddetta “Mafia di san Gallo” con tutte le ramificazioni ecclesiastiche, culturali, economiche, liturgiche, canoniche, ecc. è stata o è tuttora una forma ecclesiale del “Mercato delle vacche” di italica memoria?
Articoletto interessante. Sulle nomine dei vescovi da un lato è vero quello che lei dice, dall’altro occorre anche dire che forse anche loro avrebbero bisogno di una sana e robusta formazione continua o permanente (non solo dei preti più o meno giovani). Una revisione della procedura di nomina dei vescovi aiuterebbe e non poco nella scelta di candidati migliori.