Oggi – 9 gennaio secondo il nostro calendario – ricorre il 140° anniversario della nascita di Pavel Alexandrovic Florenskij. Ne parliamo con Silvano Tagliagambe tra i curatori di una nuova collana editoriale – edita da Mimesis – dedicata al poliedrico pensatore russo.
- Professore, perché una nuova collana editoriale su Pavel Florenskij, oggi?
Assieme a Lubomir Žák, Natalino Valentini e Vincenzo Rizzo ho pensato di allestire una collana di testi di e su Pavel Florenskij all’indomani del convegno promosso in occasione dell’80° anniversario della sua morte nel 2017.
Il volume che ne ha raccolto gli atti è stato presto pubblicato dalla Pontificia Università Teologica della Sardegna, a cura mia e dei colleghi Andrea Oppo e Massimiliano Spano, con l’eloquente titolo, in risposta alla domanda: “Il pensiero polifonico di Pavel Florenskij, una sfida per i problemi del presente”.
Florenskij è un pensatore di grande attualità, da conoscere e da approfondire – nella sua vasta interezza – precisamente per il nostro tempo.
Un pensiero attuale
- Quali sono le ragioni di attualità del pensiero di questo intellettuale russo degli inizi del secolo scorso?
Le ragioni sono diverse e provo qui ad enunciarle in sintesi.
Florenskij era un matematico. È stato allievo della prestigiosa scuola di Mosca, il cui capofila è stato Nikolaj Bugaev, una scuola che ha anticipato tendenze solo in seguito affermatesi nella matematica europea: faccio riferimento, ad esempio, alla cosiddetta teoria delle catastrofi, una matematica fondata sull’idea che alle funzioni classiche continue si debbano abbinare funzioni discontinue per studiare fenomeni, appunto, discontinui.
Ciò ha molto a che fare oggi, ad esempio, col digitale. L’approccio matematico della scuola di Mosca – “aritmologia” – ha indotto Florenskij a studiare con molta profondità il rapporto tra finito e infinito. Ritengo che questa sia una delle ragioni che lo hanno portato dalla matematica alla teologia. Il suo interesse fondamentale – nel passaggio – è rimasto quello di indagare, con tutti gli strumenti a disposizione, il modo in cui l’infinito si manifesta nel finito.
Sappiamo che la sua opera teologica più importante – e nota – è “La colonna e il fondamento della verità”. Ebbene quest’opera prende le mosse proprio dalla teoria dei due mondi: il mondo visibile e il mondo invisibile. Questi non sono mondi staccati. Secondo il nostro autore, lo dimostrerebbe il fatto che, ad esempio, nella nostra vita quotidiana facciamo continuo riferimento all’infinito: basti pensare ai concetti geometrici di linea e di segmento che, pur nella loro finitezza, sono pensati nell’idea di una serie infinita di punti. Con ciò torniamo al rapporto tra il discreto – ossia il contenuto limitato – e il continuo, di per sé illimitato: tema di grande attualità.
Un secondo motivo di grande attualità è da rinvenire nell’atteggiamento di Florenskij nei confronti della tecnologia. All’inizio degli anni ’20 Florenskij aveva scritto un saggio dal titolo “Organoprojekcija”- ovvero la “proiezioni degli organi” – che muoveva dalle riflessioni di Vladimir Vernadskij, il pensatore a cui oggi attribuiamo la paternità del concetto di antropocene. Ebbene, per quella via, Florenskij ha anticipato lo spostamento della tecnologia dall’ambito tradizionale della fisica e della meccanica a quello della biologia.
Ha messo in evidenza il fatto che la tecnologia classica e la biologia non sono affatto ambiti diversi di studio. Anzi, l’una è la chiave della migliore comprensione dell’altra e viceversa. La tecnologia aiuta a capire come funziona il corpo umano mentre la comprensione del funzionamento del corpo umano mette in condizione di affinare continuamente la tecnologia. Ciò ha chiaramente a che fare oggi col rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale.
Una terza pista florenskijana – molto attuale per la teologia contemporanea – attiene al rapporto tra la teologia e le scienze naturali. Il Florenskij teologo non è passato infatti da una disciplina all’altra: il Florenskij teologo e filosofo è rimasto pure il Florenskij matematico e tecnologo. Ne “La filosofia del culto” – una delle sue opere più importanti, non solo dal punto di vista teologico puro ma anche applicato, se così si può dire – Florenskij fa confluire e interagire tutte le sue molteplici competenze scientifiche e teologiche.
Un ultimo aspetto di attualità mi sta a cuore qui segnalare per la sua particolare rilevanza: riguarda la sua concezione della verità come antinomia. Già ne “La colonna e il fondamento della verità” Florenskij enunciava il carattere antinomico della verità, intesa come conciliazione di poli tradizionalmente considerati mutualmente esclusivi, ossia tra l’intuizione – quale approccio istintivo ed immediato alla verità – e il discorso – quale approccio argomentativo o frutto di calcolo -.
Il carattere antinomico della verità percorre poi l’intera sua opera. Intuizione e discorso vengono mantenuti coesistenti e fatti costantemente interagire. Solo nella interazione della intuizione col discorso ci si può approssimare alla verità.
- Può soffermarsi sul concetto di verità nel pensiero di Florenskij?
Da matematico, oltre che da teologo Florenskij sapeva benissimo che tutte le definizioni di verità che erano state date sino al suo tempo, non erano soddisfacenti. Possiamo aggiungere che non lo sono sino ad oggi: da Aristotele a Tommaso, a Hilbert, a Popper ecc.
Florenskij ha avuto la capacità di dire che non abbiamo nessuna possibilità di realizzare un processo di approssimazione alla verità, se non per intuizione e per argomentazione o discorso. L’intuizione è la capacità umana di capire istintivamente. Se non c’è l’intuizione, non c’è possibilità alcuna di approdare alla verità – o anche semplicemente di approssimarla – con la sola argomentazione.
A questo punto del suo lavoro, sul concetto di verità subentra il suo essere pope cristiano ortodosso. Questo vuol dire che matematica e fede, o ragione e fede, così come altri poli dell’antinomia radicale, nel suo pensiero non sono mai mutuamente esclusivi, bensì si sostengono a vicenda.
Senza l’intuizione donata dalla fede, dunque, l’umano non è razionalmente in grado di dire quale sia la verità, sia in ambito propriamente teologico che filosofico, piuttosto che scientifico o etico. Senza l’intuizione della fede non siamo né in grado di dire quale tra due teorie sia più vicina al vero, così come non sappiamo quale tra i possibili comportamenti morali sia quello più vicino alla verità dell’umano.
Finito e infinito
- Anche l’umano e il divino costituiscono dunque poli dell’antinomia inscritta nella verità?
La questione entra nell’ampio rapporto tra finito e infinito, tra mondo visibile e invisibile. Come ho accennato, i due mondi sono distinti ma non sono affatto separati. La separazione è uno dei principali bersagli critici di Florenskij.
Ad esempio, ne “La filosofia del culto”, Florenskij prende a bersaglio polemico la filosofia kantiana proprio perché questa non è riuscita a mettere in relazione il noumeno e il fenomeno, considerati poli opposti e mutuamente esclusivi. Mentre, per il nostro autore, è altresì cruciale cogliere l’invisibile che si manifesta – senza mai esaurirsi – nel visibile e quindi nel vissuto umano quotidiano.
Sono da evidenziare due riferimenti in proposito.
Il primo è lo spazio intermedio. Tra mondo visibile e mondo invisibile esiste per Florenskij uno spazio intermedio che collega nella distinzione. Perciò la cultura – che per Florenskij è l’espressione laica del culto – non è altro che il modo in cui il genere umano cerca di occupare, senza mai riuscire completamente, tale spazio intermedio, cercando di colmare quello iato che sussiste tra il visibile e l’invisibile, tra l’umano e il divino. La cultura è e può essere intesa come una crescita continua del mondo visibile verso l’invisibile, così come l’invisibile – diciamo naturalmente – tende a manifestarsi nel visibile.
Il secondo riferimento è il confine. Evidentemente c’è una linea di confine tra i due mondi. Il finito non è l’infinito. Il visibile non è l’invisibile. L’umano non è il divino. Ma per Florenskij il confine è anche un ponte, uno strumento che pone in relazione e che unisce. Non divide. Il confine è precisamente ciò che consente di mantenere la distinzione ma, nello stesso tempo, di entrare in relazione, in contatto, specie per alcuni brevi e speciali attimi.
- L’immagine “sacra” – l’icona orientale – è, per Florenskij, uno dei possibili punti di contatto…
Dell’icona Florenskij tratta nell’opera “La prospettiva rovesciata” e in altri numerosi scritti. Sulla scorta della tradizione del monachesimo della Chiesa orientale, Florenskij ritiene che l’icona non sia soltanto un’espressione artistica dell’umano. L’icona è la riproposizione e la manifestazione concreta della luce taborica, con riferimento alla trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor.
In tal senso su quel monte non è avvenuta una trasfigurazione da intendere quale rivelazione della natura divina di Gesù che, sino a quel momento, si sarebbe manifestato agli apostoli soltanto nella sua natura umana. Per Florenskij e per la tradizione orientale Gesù si è sempre manifestato sulla terra nella sua duplice natura umana e divina unite, mai disgiunte.
Solo lo sguardo umano non era stato in grado di cogliere la natura divina in quella umana di Gesù. Sul Tabor è pertanto avvenuta una dilatazione dello sguardo degli apostoli che hanno visto ciò che fino a quel momento non erano stati in condizione di vedere o di percepire.
L’icona dunque – opera di monaci il cui sguardo è stato dilatato sino a cogliere la luce taborica – mette in condizione di dilatare lo sguardo di chi guarda, spalancando una finestra dall’umano sul divino, nella luce.
L’icona promuove l’estasi umana. Ci sono momenti della vita – sostiene il nostro autore – in cui l’umano quasi vede il divino. L’icona rappresenta bene uno di questi.
- Che cosa altrimenti avviene – secondo Florenskij – quando l’umano e il divino vengono divisi?
In lingua russa la parola che può essere detta in italiano con scisma, oppure scissione, oppure divisione, è raskol’. Non a caso il protagonista di “Delitto e castigo” di Dostoevskij si chiama Raskol’nikov. In Florenskij è evidente l’influenza di Dostoevskij, attraverso e oltre la figura di un altro grande teologo quale Solov’ëv. In questi autori l’azione tipica del diavolo è la divisione. Il diavolo divide ciò che di per sé è unito.
Florenskij condivide pienamente questa idea – peraltro appartenente a tutto il cristianesimo – ben presente in quello russo ortodosso. Il peccato è divisione – scissione – della vita umana in una dualità o pluralità perniciosa, mentre la vita, l’esistenza, la persona umana è, di per sé, cel’nost’, ossia interezza, integrità, unità senza rotture. Cel’nost’ significa perfezione umana o qualcosa di molto vicino alla stessa.
La radice della parola indica appunto la totale integrità della persona umana. Se questa viene scissa anche concettualmente – ad esempio in anima e corpo – l’umano perde la sua massina potenzialità, si indebolisce, si isterilisce e in tale divisione ha buon gioco il diavolo. Questi esercita la sua attività in forma di scissione dell’originaria e propria integrità dell’umano.
Il diavolo, per Florenskij, agisce anche in ambito prettamente epistemologico o di pura conoscenza. Perciò in Florenskij è centrale il simbolo che promuove la ricomposizione, la ri-unificazione delle parti scisse. Il simbolo è la chiave della ricomposizione anche di un sapere ormai suddiviso in varie branchie iper-specialistiche.
I classici
- Florenskij ha usato anche la letteratura classica per esporre il suo pensiero. Può dire dell’Amleto di Shakespeare?
Sin dalla giovinezza Florenskij ha dedicato sue riflessioni alla figura di Amleto. È stato assorbito dallo stato di crisi – blocco o paralisi – in cui precipita Amleto nel dramma di Shakespeare. È uno stato di crisi che lui interpreta alla luce della sua idea di antinomia. Amleto è in crisi perché non sa decidersi tra i due poli dell’antinomia che considera ancora antitetici e mutuamente escludentesi.
Amleto rimane perciò paralizzato – storicamente – tra due epoche: quella che sta finendo e quella che sta iniziando. Lo stato di crisi può essere sciolto, per Florenskij, soltanto ponendo in relazione i due poli dell’antinomia – nel caso le due età tra cui si viene a trovare Amleto – nella continuità. Non si tratta di decidersi per l’una o per l’altra in maniera esclusiva, bensì di segnare il passaggio dall’una all’altra nella continuità.
- Questo passaggio è molto importante anche per la nostra epoca?
Direi proprio di sì. Anche il nostro tempo è da “rimettere in carreggiata” come nel dramma di Shakespeare. Studiosi contemporanei di economia e di organizzazione aziendale e sociale rimangono stupiti nell’apprendere il pensiero di Florenskij.
L’idea del passaggio da un tempo all’altro, dall’epoca industriale a quella post-industriale, non può comportare un’alternativa e un’esclusione dualistica: la logica che deve guidare non può essere quella traumatica o persino distruttiva dell’or, bensì quella dell’atque, ossia quella della relazione, della congiunzione, del passaggio, della continuità, quanto più serena.
Un’impresa editoriale
- Quali sono le principali critiche al pensiero di Florenskij?
Florenskij è stato accusato di primitivismo. In effetti la sua idea di intuizione oppure la sua idea di estasi – dinanzi all’icona – possono mettere un certo disagio. In quella forma di contatto privilegiato col mondo celeste alcuni autori russi – ma anche italiani – hanno intravvisto una sorta di idolatria. Nella sua teologia è stata da alcuni ravvisata la pretesa di fare a meno della gnoseologia. A mio avviso queste critiche non sono giustificate.
Le cose non stanno affatto così. Oggi le neuroscienze ci dicono che esistono varie potenzialità della nostra mente: una di queste è l’estasi, intesa quale forma di contatto col sovra-sensibile. Se questo sia reale o fittizio – chiaramente – le neuroscienze non lo dicono. Ma neppure lo possono negare. Florenskij ha riconosciuto questa possibilità, non solo da teologo e da uomo di fede, ma anche da uomo di scienza. Francamente accusare di primitivismo un’intelligenza scientifica del suo calibro mi sembra fuori luogo.
- Ci dica ancora qualche parola del nuovo programma editoriale che lei sta curando.
Di Florenskij sono già usciti i volumi “Gli immaginari in geometria” e “Lezioni sulle origini della filosofia occidentale”.
È in programma la pubblicazione in prima traduzione in italiano di ciò che lo stesso Florenskij considerava il coronamento del suo pensiero filosofico, ossia “Agli spartiacque del pensiero”, su cui si innesteranno saggi interpretativi di Natalino Valentini, Lubomir Žák e altri specialisti. È uscito il mio saggio “Chiralità. La vita e l’antinomia: gli eroi dei due mondi”.
Su Florenskij si veda SettimanaNews: A 80 anni dalla morte; Una memoria.