Superficie: 2.724.900 kmq; popolazione: 18.632.200 abitanti; capitale: Nursultan 1.136.000 abitanti.
La repubblica è diventata indipendente il 16 dicembre 1991 dall’ex Unione Sovietica. Il potere è sempre rimasto nelle mani di Nursultan Nazarbayev, già segretario del partito comunista kazako fino al 2019, quando si dimise a favore di Qasym-Jomart Toqaev (Nur Otan), mantenendo il controllo del paese come capo del Consiglio di sicurezza nazionale. Nel 1997 trasferì la capitale da Almaty ad Aqmola (Astana) e poi a Nursultan, dal nome di Nazarbayev.
Con i vecchi tedeschi
Entrai la prima volta in Kazakistan, a Kustanaj, nell’ottobre 1990: una delle 15 repubbliche, che formavano il vasto impero sovietico. Fui ospite di un francescano conventuale, p. Alessandro Ben, che dal 1939 seguiva i cattolici tedeschi inviati a lavorare nella zona del Volga, del Caucaso, della Crimea e dell’Ucraina dalla zarina Caterina II. Fecero fortuna, ma la loro vita cambiò del tutto nel 1941, quando Stalin iniziò a temere l’invasione tedesca di Hitler. Li riteneva dalla parte del Fuhrer, li fece deportare nelle sconfinate regioni siberiane.
Rimasi a Kustanaj un po’ di giorni con i vecchi tedeschi, che mi raccontavano storie drammatiche: il viaggio lunghissimo, la neve, il freddo pungente, i morti lungo il percorso, i bambini con i piedi congelati. In una notte ne morirono 300. Conservarono la fede e le tradizioni religiose. Il prete li visitava di nascosto; mamme e nonne battezzavano e insegnavano le preghiere dell’infanzia.
Un’area in fermento
Mantenni vivo il desiderio di ritornare in Kazakistan per incontrare nella metà del 2006 persone di Chiesa, vescovi e missionari, gente di grande coraggio. Mi spostavo con ogni mezzo. Partecipavo a liturgie domestiche, ascoltando canti di soffusa nostalgia. Un girovagare stressante e affascinante, dalla steppa alle montagne.
L’Asia centrale era in fermento. L’opposizione politica era brutalmente soppressa in Turkmenistan; era di fatto vietata in Uzbekistan; tenuta sotto ferreo controllo in Kazakistan e Kirghizistan; silenziosa in parlamento in Tagikistan. La violazione dei diritti umani era all’ordine del giorno.
La situazione dell’Asia centrale era caotica. Diminuiva il tasso di natalità; l’economia soffriva di mali strutturali; trionfava la criminalità; cresceva la mobilità della popolazione, che si spostava da un capo all’altro delle repubbliche; peggioravano le condizioni sanitarie; aumentava l’uso di droghe e l’alcolismo era una piaga come la prostituzione. Ma c’era anche una grande voglia di riscatto, a partire dai piani per rilanciare il turismo. A 15 anni dall’indipendenza, le repubbliche asiatiche ex sovietiche iniziavano a ritrovare una nuova identità.
La presenza dei cristiani
La presenza del cristianesimo lungo la via della seta risale al III secolo. Vi erano cristiani nestoriani con due patriarcati nell’Asia centrale. Nel 1200 francescani e domenicani percorsero la via della seta con i mercanti, costruirono monasteri e conventi. Nel 1334 vi erano missionari cattolici ad Almaty, in Kazakistan.
Nel 1338, papa Benedetto XII nominò Riccardo di Borgogna, un francescano, vescovo di Almalik, regione dell’attuale Almaty. Il khan Alì distrusse il monastero di Almalik, mandò a morte il vescovo Riccardo, sei frati e un mercante italiano.
Il cristianesimo nell’Asia centrale era destinato a scomparire. Risorse sei secoli e mezzo più tardi, quando il Kazakistan fu annesso alla Russia nel 1700 e la zarina Caterina prese a cuore la situazione dei tedeschi, che lavoravano nelle remote zone dell’impero.
I cattolici nel 1847 furono aggregati all’arcidiocesi di Tiraspol, nella Russia europea. Con la rivoluzione bolscevica i cattolici soffrirono persecuzioni e deportazioni. In tutto il Kazakistan erano circa 500 mila: tedeschi del Volga, ucraini, polacchi e altre nazionalità. In gran numero furono deportati. Tra loro un nutrito numero di sacerdoti, qualche vescovo e un certo numero di suore.
Nel 1965, Yuri Patereiko, un redentorista greco-cattolico, imprigionato ai tempi di Stalin, al quale era stato vietato di lavorare in Ucraina, si recò ad Almaty e, come orologiaio, esercitò una discreta attività clandestina tra i cattolici. Nel 1975 venne ufficialmente registrata la comunità cattolica tedesca e la piccola casa, dove si celebrava la liturgia, divenne la chiesa della Santa Trinità.
Nel 1980 i cattolici di Almaty si costruirono una grande chiesa e, nel 1989, un giovane frate francescano lituano, fra Michele, con tre suore, si dedicò alla cura dei cattolici.
Nel frattempo venivano registrate altre comunità nei pressi della capitale Almaty. Nel 1991 la Santa Sede eresse le amministrazioni apostoliche nella Russia europea, in Siberia e nell’Asia centrale. Nel 1999 fu firmato un accordo bilaterale tra la Santa Sede e il Kazakistan.
Il 17 maggio 2003, ad Almaty fu eretta la sede dedicata alla Santissima Trinità, suffraganea di Maria Santissima ad Astana. Almaty è diocesi e conta circa 41 mila cattolici. È retta da mons. José Luis Mumbiela Sierra, uno spagnolo dell’Opus Dei. La diocesi di Karaganda conta circa 15 mila cattolici ed è retta dall’italiano Adelio Dell’Oro dal 2015.
L’amministrazione apostolica di Atyrau, con quasi 3 mila cattolici, è retta da mons. Peter Sakmar.
Ritorno in Asia centrale nel marzo 2010. Sul tappeto nella riunione plenaria della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici del Kazakistan il problema del rilascio dei visti, che rendeva precaria la presenza dei missionari stranieri. Se ne occupò lo stesso papa Giovanni Paolo II che, nel corso della sua breve visita in Kazakistan (settembre 2010), parlò di rinascita della Chiesa: «I lunghi anni della dittatura comunista, durante i quali tanti credenti furono deportati nei gulag costruiti in queste terre, hanno seminato sofferenze e lutti. Quanti sacerdoti, religiosi e laici hanno pagato con sofferenze inaudite e anche con il sacrificio della vita la loro fedeltà a Cristo».
Incontrai l’arcivescovo di Astana, Tomash Bernard Peta, fiero che il papa avesse affidato ai cattolici, parlando nella cattedrale, il compito di «ricostruire il tempio del Signore».
Il dramma attuale
Ora il Kazakistan è in fiamme. La repressione è violenta, sostenuta da Russia, Cina e Turchia. La popolazione è in fermento nelle vaste aree dello sterminato territorio. Il paese, ricchissimo di risorse energetiche (petrolio, gas, uranio, ferro, manganese, rame, amianto, bauxite…), dipende dall’esportazione dei prodotti e soffre per il calo dovuto alla pandemia del Covid-19. Da tempo si parlava della necessità di diversificare i prodotti. Tardivamente il governo ha introdotto agevolazioni per l’industria manifatturiera, non legata al settore petrolifero. Gli investimenti cinesi hanno campo libero.