Etiopia: tra guerra e pacificazione

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Il rilascio di alcuni esponenti politici dellopposizione e di alcuni religiosi, incarcerati nei giorni successivi allentrata in vigore dello stato demergenza, hanno fatto ben sperare nellinizio di un percorso teso ad una soluzione pacifica del conflitto che dal novembre 2020 insanguina il paese, in particolar modo la regione del Tigray.

Un percorso ad ostacoli quello avviato dal Primo Ministro Abiy Ahmed, che oggi si trova a fronteggiare il Tplf e la sua leadership, ancora operativa, la resistenza dellesercito di liberazione oromo (OLA) e crescenti malumori in seno alla coalizione politica denominata Prosperity Party, determinati – questi ultimi- dalle richieste delle leadership ahmara ed afarche spingerebbero invece per un epilogo scevro di fraintendimenti, semmai ce ne fosse bisogno, con leliminazione definitiva della dirigenza del Tigray Peoples Liberation Front e lazzeramento di ogni istanza politica tigrina .

Quando tempo fa, proprio su queste pagine, scrivevamo delle pressioni interne ed esterne al governo di Abiy, sottolineammo come le componenti ahmara ed afar avrebbero preteso nuovi equilibri allinterno della coalizione, facendo pesare il ruolo avuto sul campo di battaglia e i danneggiamenti nelle rispettive regioni dovuti ai combattimenti.

L11 Gennaio, mentre il PM Abiy Ahmed si intratteneva a colloquio con il Presidente Biden in merito all apertura di una finestra per la pace a medio lungo termine nel Tigray, 57 persone venivano uccise da un bombardamento aereo. Un drone sganciava i propri missili su un campo rifugiati nel nord del paese, mietendo numerose vittime e lasciando sul terreno decine di feriti.

Nelle stesse ore un missile si abbatté su un mulino nella città di Mai Tsebrì, uccidendo sul colpo 17 persone, ferendone a dozzine. Un video comparso sui social, girato da alcuni operatori umanitari, rimasti anonimi per paura di ritorsioni da parte delle forze di sicurezza, mostrava decine di persone morte o ferite (in gran parte donne) probabilmente nei pressi del mulino per la macina dei cereali.

Secondo le stime contenute in un documento preparato dalle agenzie umanitarie e condiviso con Reuters questa settimana, almeno 146 persone sono state uccise e 213 ferite in attacchi aerei nel Tigray dal 18 ottobre a oggi. C’è da presupporre che molte altre siano morte nei mesi precedenti.

Non è di certo una novità. Come più volte riportato, droni di fabbricazione cinese, turca ed iraniana sono stati ampiamente utilizzati in questa fase bellica, hanno cambiato nella sostanza le sorti del conflitto, svolgendo un ruolo drammaticamente fondamentale in una serie di vittorie sul campo da parte delle forze governative.

Alcuni analisti che tracciano i voli internazionali da e per lEtiopia, hanno più volte rilevato come si siano intensificati i cargo provenienti dagli Emirati, e negli ultimi tempi anche i voli diretti dalla città di Chengdu, dove viene prodotto il drone cinese Wing Loong.

Non è un caso che il nuovo inviato americano per il Corno dAfrica, David Setterfield, attualmente ambasciatore in Turchia, abbia più volte affrontato il tema dellutilizzo dei droni con i funzionari turchi.

Una guerra, quella dei droni che fa il paio alle nuove azioni militari portate avanti dallesercito eritreo. Tra il 27 Novembre ed il 2 Dicembre i militari eritrei sono stati impegnati in battaglie campali contro i militari sudanesi nel triangolo di Al Fashaga, a est del fiume Atbara, operazioni coordinate dal governo etiope per il controllo di oltre 260 km quadrati di terra fertilissima, da sempre disputa fra i due stati, terra nella quale oggi trovano riparo quasi 9000 rifugiati tigrini. Terre contese da decenni tra lo stato sudanese e quello etiope, nelle quali sin dai primi anni 80, i contadini sudanesi convivono con una comunità ahmara piuttosto consistente, più volte al centro delle cronache per conflitti con gli autoctoni.

Il 10 Dicembre, il portavoce del Tplf ha accusato lesercito di Isaias Afwerki di aver attaccato le truppe tigrine a confine tra i due stati. Notizie che non hanno ricevuto conferme né un grande risalto ma che verrebbero confermate e dal gran numero di truppe ammassate a confine da parte eritrea e da una presenza stabile su suolo etiope.

È molto verosimile che Isaias Afwerki non lasci il paese né molli la presa sul Tigray fino a quando non avrà determinato la scomparsa definitiva del Tplf e di tutte le sue istanze politiche. Forse, da abile giocatore qual’è, si spingerà oltre, manterrà la presenza sullarea, a copertura della sua incolumità e della sicurezza del paese, garantendo linfluenza di Pechino nella regione.

Dopo la visita del 30 Novembre in quel di Addis Abeba, il 4 Gennaio il Ministro degli Esteri cinese si è recato ad Asmara. dove ha parlato di potenziamento delle relazioni bilaterali, consolidamento di unamicizia storica, individuazione della direzione della cooperazione.

Pur non premendo sullacceleratore, come da consuetudine, la Cina pressa gli alleati pur mantenendo una certa distanza. La Repubblica Popolare Cinese necessita di stabilità nellarea, questo è ovvio, a garanzia degli innumerevoli interessi economici e strategici. Ma specularmente agli Usa, anche se in maniera evidentemente diversa, non disdegna affatto di far vedere al mondo che peso abbia nelle dispute internazionali.

Pressioni politiche e strategiche che arrivano sullo sfondo di una crisi umanitaria che coinvolge oltre 9 milioni di cittadini etiopi e che metterebbe a rischio di morte oltre 400mila persone. Il blocco imposto agli aiuti umanitari nel Tigray, sta mettendo a serio rischio centinaia di migliaia di persone. Oltre la mancanza di cibo e denaro, più volte negli ultimi giorni le agenzie internazionali hanno lanciato un appello affinché sia permesso linvio di forniture sanitarie per le decine di ospedali della regione.

Tra Luglio 2020 e Dicembre infatti, solo il 12% degli aiuti è riuscito ad arrivare a destinazione, causando la mancanza totale di farmaci per il cancro, per il diabete e di presidi sanitari come i guanti sterili.

“Stiamo solo contando i decessi che accadono per cause totalmente prevenibili”, ha detto in una e-mail inviata al The New York Times, Mussie Tesfay, amministratore dell’Ayder Referral Hospital. “È così straziante vedere i nostri amati pazienti morire uno per uno.

Pressioni che minano fortemente la possibilità di intavolare un dialogo tra le parti e di una soluzione pacifica del conflitto.

Ciò che scorgevamo allorizzonte qualche mese fa, è oggi una triste realtà. La crisi umanitaria in atto potrebbe risultare ben presto di proporzioni inimmaginabili e potrebbe avere conseguenze ben più sconvolgenti di quelle avute con la crisi afghana.

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