Sospinti dalla forza di un arguto polemista ci inoltriamo nella filosofia di un pensatore che il Manzoni definirebbe «più famoso che noto». Le incrostazioni del tempo, i pregiudizi delle varie scuole, una certa a geografia edificante si frappongono tra noi e Tommaso d’Aquino al quale l’omonimo saggio di Chesterton edito da fede e cultura ridona la parola con l’esplicito intento di trasformarlo in un santo sempre più popolare.
Un santo da conoscere
Popolare è da intendersi in una duplice accezione: aiutare l’uomo provvisto di quel senso comune tanto caro alla cultura anglosassone di ogni tempo a ricongiungere pensiero e realtà tramite un retto uso dell’intelletto, diffondere la riflessione dell’Aquinate presso le genti, cioè i non cattolici proprio facendo leva sul suo universale, quindi umano, appello a una ragione nutrita da 5 porte: i sensi.
Scopriremo così un Tommaso materialista e agnostico, ma soprattutto paladino della ragione il cui uso filosofico difese ai suoi tempi dai residui di uno spiritualismo agostinista e platonizzante che vedeva in ogni realtà materiale qualcosa di radicalmente manchevole.
Per tornare a Cristo, oltre il trascendentalismo di Dionigi l’Aereopagita, l’Aquinate aveva necessità di Aristotele – un filosofo pagano – sottratto al fuorviante averroismo; proprio come Francesco d’Assisi ebbe bisogno della Natura- una divinità parimenti pagana – per far nuovamente brillare il mistero dell’Incarnazione.
Ma il recupero del realismo tomista, questo è il paradosso illuminato dal saggio, giova a noi che non conoscendone il funzionamento, non riusciamo più a servirci efficacemente della nostra stessa ragione: la logica non è solo forma del pensiero, ma potrebbe ancora divenire struttura della vita, se non fosse che nei nostri licei, affetti da idolatria del frammentario, non la si studia con la dovuta attenzione, soprattutto se di matrice aristotelico tomista.
La natura delle uova
Un realismo, non ingenuo da cui però la moderna speculazione si è allontanata involvendosi nel paradosso, per Chesterton vera cifra della umana condizione. Una separazione che emerge forse già dalla fine del Medioevo con gli sviluppi Hocamistici della Scolastica concretizzandosi in Cartesio: il dubbio mina le fondamenta stesse del mondo che diverranno sempre più labili ed incerte: il filosofo oggi pensa cose tanto assurde che nessun uomo della strada gli darebbe credito. la paradossale ironia di Chesterton si applica a una cruciale questione: quale sia la natura delle uova secondo le varie correnti della filosofia moderna.
In vano si attenderebbe qui la soluzione del maestro medioevale che, soppesati i vari argomenti a sostegno delle diverse tesi, pronunciava il suo verdetto, comunque suscettibile di ulteriori sviluppi. La disputa, ai nostri giorni, oltre il sano realismo è e resta infinita.
Per brevità, riportiamo solo due alternative, ma le sfumature sono molteplici: per Hegel le uova non sono più uova, ma una gallina in quanto stadio intermedio dell’infinito processo del divenire; mentre in un orizzonte pragmatista, volendo ottenere il massimo delle uova strapazzate, dobbiamo dimenticare che antecedentemente erano intere, focalizzando la nostra attenzione selettiva sul processo di strapazzamento.
Per Tommaso: le uova sono uova, le vedo, le tocco, le odoro, le uso, poi le penso. Detto in uno slogan che diverrà fortunato: «Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi». Un materialismo derivante dall’Incarnazione per cui la corporeità non ha valore, è un valore, un dominio, amato redento da Dio stesso, in cui la ragione è sovrana.
Tommaso e Francesco
Tommaso e Francesco due santi da riavvicinare oltre le apparenze: occorre, infatti conoscere Dio come ha fatto Tommaso e amarlo come ha fatto Francesco.
Con il suo amore per la filosofia l’Aquinate ci ha salvati dal rischio di restare platonici, con quello per gli animali il Poverello di Assisi ci ha tutelati da quello di divenire Buddisti. Il nobile placidamente pingue e l’inquieto figlio di mercanti, l’amante del pensiero che, servendosi preferibilmente della prosa, componeva inni eucaristici durante le pause dello studio e l’autore di versi sublimi a cominciare dal Cantico delle Creature, lo scrittore di due summe e colui che fu costretto a scrivere per obbedienza, il più focoso dei missionari e il più mite dei professori, in realtà cooperarono a un solo scopo.
Volevano, dalla strada o dallo scrittorio, costruire un cristianesimo autenticamente e ottimisticamente riformato. Si perché, altra iperbole pregna di ironia, tra Tommaso e Lutero fu il primo a rinnovare la chiesa egli infatti: ammetteva anche il senso spirituale delle Scritture, mentre l’agostiniano «tedesco» si fermava a quello letterale, esaltava il dovere sociale del lavoro, mentre il suo successore negherà il valore delle opere, coniugava fede e ragione, mentre l’autore delle novantacinque tesi esalterà gli aspetti irrazionali del credere. Ermeneutica paradossale che, se dipinge correttamente la riflessione del filosofo medioevale, rischia di rendere caricaturale quella del fondatore della Chiesa luterana.
Gli autentici innovatori sono simili a una pianta che con le proprie forze spinge le foglie verso Dio simboleggiato dal sole, mentre spesso i movimenti ereticali vogliono far confluire i raggi di luce nel chiuso di una stanza.
Il posto più umile
Nato nei dintorni di Napoli da famiglia di obbedienza imperiale attorno al 1226, Tommaso si fece frate scegliendo di occupare sempre il posto più umile, nonostante i parenti lo volessero monaco.
Per prevenire incidenti diplomatici e spiacevoli episodi, come quello del suo sequestro da parte dei fratelli che lo rinchiusero in una torre, l’Ordine dei Predicatori lo inviò a Parigi dove scrisse la grandiosa confutazione agli avversari di Aristotele. Da allora in poi la sua vita, in quell’età della pietra e dell’oro che fu il medioevo, si dipanerà su un duplice registro: peregrinazioni spirituali che lo portano a leggere – più di quanto allora usasse –, gli avversari del cristianesimo, primi fra tutti gli aristotelici arabi, e spostamenti fisici tanto da poter parlare di un professore europeo che insegnò in «Italia» «Francia», «Germania» e visitò la stessa «Inghilterra».
Un professore che in un periodo inquieto sfidò l’ortodossia agostiniana, proprio lui che per secoli sarebbe divenuto il campione di quella cattolica con la problematica nozione di filosofia perenne alla quale dobbiamo una certa astoricità che, avvolgendo il pensiero dell’aquinate rischia di ottunderne la stessa comprensione.
Lo Svevo Alberto, chiamato Magno, per alcuni rispetti può essere considerato antesignano della scienza moderna: se infatti in termini morali si limitò a un aristotelismo cristiano, valorizzò lo stagirita come naturalista.
Sarà un suo studente – inizialmente incontrato a Colonia – dai suoi stessi compagni soprannominato bue muto, a estendere le dottrine del filosofo greco all’ambito antropologico, imprimendo al pensiero occidentale una svolta rivoluzionaria che occorre esaminare non solo nella sua portata genetica, ma anche nella sua valenza attuale.
Alberto, vecchio professore, vide subito la genialità che l’umiltà di quel timido discepolo celava tanto da dire che i mugiti del bue muto avrebbero, di lì a pochi anni, fatto tremare il mondo intero e da porre, al momento del suo trasferimento a Parigi, una sola condizione quella di poterlo portare con sé.
Riscoprire Aristotele
A Parigi – nel Monastero di San Giacomo – Tommaso incontrerà san Bonaventura e, nonostante le rivalità tra i rispettivi ordini – l’autore del cammino della mente verso Dio era Francescano – i due fecero amicizia difendendo insieme dal conservatorismo del clero secolare la libertà di insegnare dei Frati oltre alla stessa filosofia.
Al tempo di Tommaso la mentalità platonica con i suoi benefici palesi e i suoi rischi tanto occulti da non essere avvertiti neppure dai migliori dei suoi campioni doveva essere qualcosa di non troppo dissimile – al netto delle ovvie diversità su cui non è certo il caso di indugiare all’odierno politicamente corretto: un atmosfera che dai remoti tempi dei primi Padri greci si respirava in una conciliazione problematica tra i semi del Verbo sparsi dal Mosè attico e quelli definitivamente rivelati nella Parola fatta Carne.
Per ragioni storiche e geografiche la riscoperta di alcuni testi dello stagirita operata dai filosofi arabi poneva il problema di conciliare la sua antropologia con la fede cristiana. Aristotele non era più solo un logico, ma aveva una sua fisica e – cosa forse ancor più problematica – una sua metafisica: l’eternità del mondo nel primo ambito e un Dio motore immobile incapace di amare nel secondo, erano per i filosofi cristiani del tempo i bocconi più indigesti, soprattutto dopo le riletture arabe di queste dottrine. Come in ogni tempo tumultuoso i timori sopravanzavano di gran lunga le speranze e un sistema nuovo, quello aristotelico, catalizzava tutte le paure più ancestrali.
Lo Stagirita era, infatti un filosofo pagano per giunta venerato dagli infedeli. Oltre a lui conservatori del tempo avversavano la mendicità dei frati contrapposta alla laboriosità dei monaci e la dottrina averroista della doppia verità che sottraeva alcuni ambiti dello scibile al loro dominio.
La materia, il corpo, il mondo
In questo quadro la vittoria di Alberto e, soprattutto di Tommaso, capace di trasformarsi da timido studente in personaggio storico, non è un’affermazione personale: con lui è l’intera filosofia greca e non solo una sua, pur rilevante corrente, ad entrare nell’orbita della riflessione cristiana. Ma, soprattutto, circostanza che sfugge agli interpreti moderni, a farsi strada è una più positiva valutazione della materia, del corpo, del mondo non più ridotti, a mero involucro dell’anima in un’atmosfera rinnovata da un temperato ottimismo.
Il Platonismo e più ancora i suoi sviluppi successivi condividono la tesi che per tornare ad essere beata la psiche debba sganciarsi dal corpo abitando nuovamente nel mondo delle idee, donde originariamente proviene: ciò che si vede, si ode, si tocca, è per i seguaci dell’autore della Repubblica illusione e parvenza, frutto dell’azione del Demiurgo, un «Dio minore» e malvagio.
La rivoluzione aristotelica prima e il suo rinnovato recupero tomista poi, rivaluteranno, anche tramite il concetto di partecipazione, ogni singola realtà a partire da quella materiale.
Rivoluzione fraintesa
Per comprendere come un simile mutamento possa essere stato scambiato per secoli con una rivolta di stampo reazionario vanno fatte alcune premesse. Quando dalla cupa cortina dell’oscurantismo fu decretata l’irrilevanza di tutto ciò che era avvenuto prima del Rinascimento e della Riforma, si condannò Aristotele come un arcigno tiranno, rispolverando Platone alla stregua di una delizia pagana, non pienamente gustata dai cristiani. Chi fa una simile affermazione però, dimentica che – essendo Aristotele noto solo come logico – la Chiesa nacque platonica.
Per questo il ritorno rinascimentale all’autore del «Timeo», rappresenta il recupero di una filosofia già nota da secoli, a scapito di quella più nuova dello Stagirita. Se certamente Chesterton esagera quando definisce Agostino più pericoloso come platonico che come manicheo, lasciandosi travolgere dalla vis polemica, va sottolineato che, come autorevolmente attestato dal medievista Etienne Gilson questa tesi è storicamente vera.
Una veridicità che l’insigne studioso estende al nostro saggio nella sua interezza in cui lo stile divulgativo e accattivante non toglie nulla all’acribia scientifica. Ma torniamo alla nostra rivoluzione fraintesa: perché tacere, visto che la Chiesa è fatta di uomini peccatori che i frati con il loro nuovo filosofo pagano venerato dagli infedeli, minacciavano l’establishment culturale del tempo, costituito dal clero secolare i cui frequenti appelli al Papa per far condannare Aristotele erano volti anche a non perdere potere.
Appelli non privi di effetto: l’aristotelismo aveva già collezionato al suo arrivo parziali censure e lo stesso pensiero di Tommaso prima di affermarsi sarà più volte stigmatizzato. L’Aquinate vedeva nello stagirita un progresso rispetto a Platone che lo rendeva, contrariamente a quanto ritenevano gli Agostiniani, più compatibile con il cristianesimo. Egli infatti postulava all’origine del mondo due principi: il già citato motore immobile, capace di muovere senza essere mosso perché perfetto, e dio inteso come pensiero di pensiero che riflette su se stesso non avendo altro su cui pensare perché nulla gli è estraneo.
Per Platone invece i principi che costituiscono il mondo sono tre: le idee di vario genere, la materia increata e il demiurgo, autore del cosmo fisico. Vero è che il cristianesimo ammette un solo Dio, creatore del cielo e della terra e che questo, come tale, è estraneo alla mentalità greca: ma i due principi dello stagirita sono meno lontani, anche solo numericamente oltre che essenzialmente, dei tre postulati dell’autore della VII lettera.
Eredità
Nella brillante lettura del polemista Chesterton nonostante alcuni eccessi Tommaso emerge come una figura che, sebbene il pensiero moderno si sia snodato per altre vie, ci lascia alcune eredità.
Dal punto di vista gnoseologico afferma il valore della conoscenza deduttiva che, muovendo da premesse vere, giunge a conclusioni veridiche, mentre oggi si privilegia l’induzione in cui il nostro autore, non senza forzature, vede solo un affastellamento di congetture. Resta però vero che spesso ai nostri giorni ci si vanta di essere pratici perché non si è logici, il che equivarrebbe a dire che i cassieri sono forti nella contabilità perché non eccellono in aritmetica: la logica, introducendoci al funzionamento del pensiero umano, resta il primo, fondamentale gradino della scala del sapere.
Rimane valida anche l’esigenza di costruire un ponte tra il pensiero e la realtà in modo da rendere questo sistema il più accessibile all’uomo della strada: per abbracciarlo non si debbono sacrificare né le percezioni sensibili né le convinzioni di cui ogni giorno ci serviamo per vivere. Tanto gli uni quanto le altre partecipano limitatamente di quella perfezione che, qui contratta, si dispiega in Dio stesso.
Una folgorante immagine, più e meglio di tante parole si attaglia a concludere queste riflessioni: «Nel mondo del grande Santo girava una ruota di angeli, di pianeti, di piante e di animali, e quel mondo conteneva anche l’ingranaggio di un giusto e chiaro ordinamento di tutte le cose terrene: una sacra autorità, una dignitosa libertà e cento risposte a cento questioni sollevate dalla morale».
- Dal sito della Pastorale della cultura della Diocesi di Palermo (qui), 28 gennaio 2022. Gilbert Keith Chesterton, Tommaso d’Aquino, Fede e cultura, Verona 2015, pp. 112, 13,50 euro.
Forse sono io che interpreto male, ma se il sito della pastorale della cultura di Palermo propone un libro allora anche voi lo proponete? Di libri interessanti ce ne sono a prescindere dalle proposte del sito della pastorale della cultura di Palermo. Senza offesa e con stima.