L’episodio è piccolo, trascurabile con un’alzata di spalle, se si vuole, come quei raffreddori da cui si guarisce con uno starnuto.
Se si volesse invece isolarlo, è prova di una crisi profonda, di un’infezione che è ha passato gola e bronchi ed è arrivata ai polmoni e di lì sta infestando tutto il corpo.
Si tratta della Lega, parte della maggioranza, che nei giorni scorsi si è opposta alle recenti misure sul Covid assentandosi con la sua delegazione dal consiglio dei ministri. Il premier Mario Draghi, come si fa con i bambini capricciosi, ha semplicemente detto – pare – «è così», ed è passato oltre. Uno starnuto, insomma.
Disertare il governo
Ma forse non è tutto qui. In altri tempi la diserzione di un partito perno della maggioranza avrebbe significato crisi di governo. Oggi non lo è stato perché la Lega voleva solo un gesto tracotante da mandare sui tweet – e perché di fatto il governo non si regge sul sostegno dei partiti ma sull’appoggio dell’appena riconfermato presidente Sergio Mattarella.
Bene per il governo, per la missione immediata del Paese, ma qui anche la malattia profonda. Il governo dovrebbe essere scelto dall’assemblea di deputati e senatori, e non dal capo dello stato, il quale dovrebbe essere l’arbitro ultimo.
Nei fatti però i partiti hanno rieletto Mattarella al Quirinale per non eleggere Draghi, quasi in odio a Draghi, di cui però non possono fare a meno perché altrimenti il Paese crollerebbe sotto la montagna dei debiti.
Quindi i partiti non sanno come gestire i debiti, come rilanciare il Paese. Non amano il premier ma lo temono per quello che rappresenta, l’incomprensibile finanza internazionale, e hanno dato un enorme potere a un uomo che spesso non hanno amato ma che capiscono e con cui parlano, Mattarella, in grado a sua volta di dialogare con Draghi.
Cioè Mattarella ha un potere straordinario, testimoniato dalla sua rielezione, perché ponte tra due mondi che non si capiscono o non vogliono capire, i partiti, concentrati sulle loro lotte, e l’economia globale, staccata dalle beghe interne e attenta ai conti.
Il ruolo di Mattarella
La situazione del Paese è drammatica. Antonio Spadaro scrive: «Siamo certamente di fronte a un tempo di crisi. In questa fase turbolenta e magmatica della vita politica del nostro Paese, l’elezione di Mattarella a capo dello Stato rappresenta una garanzia. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare sé stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione (Un cronoprogramma serio per lo sviluppo dell’Italia, in www.censis.it)».[1]
Inoltre, padre Spadaro nota che il Paese è spaccato in due, con il Nord che funziona e il Sud che non ingrana.
Tutto ciò deve essere affrontato e risolto in qualche modo, e certamente l’equilibrio tra i vari mondi è oggi incarnato dal ruolo essenziale di Mattarella. Ma questa assunzione di fatto di potere del presidente, quasi da Costituzione albertina, forse stira la Costituzione repubblicana al limite. Ciò è testimoniato dalla sua stessa rielezione non a termine, cosa senza precedenti nell’Italia repubblicana.
Franco Monaco nota: «Non si può dubitare della sincerità con la quale a più riprese Mattarella aveva motivato la sua ferma indisponibilità. Egli è stato costretto a cedere alle pressioni e alla larga volontà del parlamento a fronte di uno stallo che rischiava di reiterarsi contro ogni limite di decenza. Faremmo tuttavia un torto a lui se esorcizzassimo le solide ragioni di rango costituzionale che lo facevano (e lo fanno) convinto che l’eccezione del bis non possa e non debba assurgere a regola. Contro la palese volontà dei padri costituenti che, non a caso, fissarono in ben sette anni la durata del mandato, a scavalco delle legislature e delle maggioranze politiche contingenti».[2]
La democrazia italiana è in effetti al collasso. I partiti non rappresentano la realtà del Paese, spesso sono irresponsabili e hanno delegato i doveri di governo al capo dello Stato o al premier.
Può essere un modello, può avere senso e funzionare ma siamo già in un’amministrazione diversa da quella pensata quasi 80 anni fa dalla Costituente. Quella di allora si basava sulla centralità dei partiti. Oggi c’è nei fatti la centralità del presidente.
La responsabilità della deriva non è del presidente, certo, che ha cercato e cerca di tappare i mille buchi, ma dei partiti. Essi non si attrezzano per amministrare il Paese.
La responsabilità dei partiti
Ciò oggi significherebbe pensare come affrontare il PNRR, il Covid, i problemi internazionali, i divari tra Nord e Sud, non delegare a Draghi e poi criticarlo o applaudirlo a seconda degli umori della giornata.
Tutti sono complici nei fatti qui, anche quelli che sono all’opposizione come Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni. Questo partito vuole amministrare l’Italia o no? Se lo vuole fare, deve assumere un ruolo in uno spazio internazionale, presentare alternative concrete e fattive ai piani del PNRR del premier. Se non lo fa, congela i suoi consensi attuali e futuri, rinuncia a governare e delega le grandi decisioni ad altri. Può essere giusto così, basta saperlo.
C’è stato già uno slittamento della Costituzione fattuale con la fine del grande centro DC e lo sblocco di destra e sinistra agli inizi degli anni ’90. Oggi questo potrebbe essere l’inizio di un ulteriore slittamento. Vista l’incapacità dei partiti, si è andati a un semi-presidenzialismo parlamentare.
Tale ruolo può essere una garanzia nel prossimo futuro, che arriva con una serie di incertezze di politica internazionale e con una seria re-definizione del parlamento, prossimo a passare a 600 tra deputati e senatori. Ma forse, se il nodo non viene esplicitato, si creano cortocircuiti di comprensione e comunicazione tra Italia ed estero, ma anche tra elettori e partiti. Essi oggi hanno abdicato alle loro prerogative, ma se domani qualcuno volesse riprendersele?
Non sono domande retoriche, sono questioni reali che evidenziano la grande fragilità e instabilità del sistema politico italiano al di là dei conti.
L’Italia è popolata di macerie. Oltre la debolezza dei partititi, le imprese si sono estraniate dal dibattito pubblico o ad esso si sono supinamente subordinate. I sindacati sono esili o irrealisticamente ultra-radicali. La magistratura, motore del cambiamento degli anni ’90, è percorsa da scandali che ne hanno minato la credibilità. La burocrazia è pletorica e spesso a servizio dei suoi interessi particolari e non del pubblico. I media sono concentrati su questioni domestiche spesso oscure ai non addetti ai lavori.
Rimane il Quirinale, ma è un argine sottilissimo.
Quello che ci viene incontro
Ciò si innesta su due questioni di medio termine. Il prossimo parlamento avrà rappresentanze molto diverse da quelle attuali, e sarà appunto ridotto del 40%. Ciò era previsto, e già avrebbe gettato un’ombra sul prossimo presidente, chiunque fosse stato. Altra cosa però è aggiungere a questa ombra l’eccezionalità del secondo termine presidenziale.
A ciò vanno poi sommate le preoccupazioni di breve periodo, perché i prossimi mesi saranno infuocati dalle polemiche fra partiti e non è chiaro fino a quando il governo Draghi potrà reggere tali crescenti pressioni.
Contro questi caveat, vale comunque di più la garanzia di continuità e stabilità che Mattarella dà all’interno e all’estero. Mai forse come oggi il compito di un presidente della Repubblica italiano è stato difficile.
Ci sono due eventi significativi occorsi negli ultimi quattro anni da cui partire. Questa legislatura ha segnato la fine politica definitiva del berlusconisno, dominante per 30 anni, e l’esaurimento della spinta propulsiva dei populismi, spesso riflesso e imitazione al contrario di quella fase. Sono due cambiamenti importanti, buoni o cattivi, a seconda dei punti di vista, avvenuti sotto l’occhio di Mattarella.
Ma una fine non è automaticamente un inizio. Bisogna ricostruire, e forse lo si può fare solo a cominciare dalla centralità del parlamento, come sottolineato dal capo dello Stato.
[1] https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-rielezione-del-presidente-mattarella/
[2] http://www.settimananews.it/politica/luci-e-ombre-del-bis-al-quirinale/
C’è un patto di ferro fra forze sovranazionali, Mattarella (che ha astutamente orchestrato il suo bis), magistratura politicizzata e PD. Nessuno di loro è stato eletto dal popolo (il PD è un partito di minoranza) eppure hanno in pugno l’Italia. Se questa è una democrazia!
Sono numerose le citazioni del nome “Mattarella” in questo articolo. Eppure l’Italia è (o dovrebbe essere) una Repubblica parlamentare e non presidenziale. Noto un’eccessiva e generale sopravvalutazione del ruolo e delle aspettative che si hanno riguardo al presidente della Repubblica. Il fatto stesso che l’attuale governo sia considerato come il “governo del presidente”, che sostiene il presidente del consiglio a cui il Parlamento da’poi la ratifica, è piuttosto eloquente. Non è garantendo lo status quo (o la “stabilità” nel politichese) che si possono realmente affrontare le attuali difficoltà/tensioni strutturali del Paese, difficoltà che si riscontrano in modo evidente anche a livello politico e istituzionale. Fosse solo il problema politico della Lega sarebbe facile trovare una soluzione, ma temo che non sia così scontato.
Forse le numerose citazioni “Mattarella” sono proprio un indice della crisi sistemica descritta dall’articolo. D’altro lato, non dobbiamo dimenticare ruolo e centralità della funzione del presidente della Repubblica nella Costituzione – che sono decisivi per l’equilibrio politico e istituzionale del paese proprio perché non siamo una Repubblica presidenziale. E non mi sembra che l’autore si soffermi solo sulla crisi della Lega, ma prende in considerazione il sistema-partiti che costruisce la scena politica italiana.