Medio Oriente: il ritorno dell’Isis

di:
medio oriente

Baghouz

Per capire cosa stia accadendo di nuovo in Medio Oriente bisogna cercare sulla cartina geografica Baghouz, un piccolo centro siriano al confine con l’Iraq, non troppo distante da quello con la Giordania.

È là che si nascosero nel 2019 i resti dell’esercito in rotta dell’Isis.

cartina1Posti sotto un interminabile assedio da parte delle forze curde e della coalizione internazionale condotta dagli Stati Uniti, migliaia di uomini, si arresero, quindi, prima della conquista dei loro acquartieramenti da parte delle unità delle Syrian Democratic Forces guidate dai curdi.

Cosa sia accaduto quando il campo base dell’Isis fu espugnato, non è mai stato chiaramente raccontato. Il capo dell’Isis – al-Baghdadi – allora non si trovò. Riuscì a fuggire, sottraendosi all’assedio di una pletora di operativi, in un territorio non certamente boschivo.

Ma così come il presidente Obama riuscì a scovare e ad eliminare bin Laden, così il presidente Trump riuscì a scovare e ad eliminare al-Baghdadi, ma all’altro capo della Siria: al-Baghdadi aveva trovato rifugio al confine con la Turchia, in territori sotto lo strettissimo controllo dei miliziani islamisti di Tahrir al-Sham, finanziariamente e militarmente sostenuti dal turco Erdogan per evitare che i russi coi siriani di Assad riprendessero il controllo di quel lembo del Paese in cui i confini della Siria si incuneavano nella Turchia.

Per arrivare sin dove è stato scovato da Baghouz – dove era per certo – al-Baghdadi non poteva che essere passato attraverso i territori siriani controllati da Assad.

al-Baghdadi fu eliminato a una ventina di chilometri dal punto in cui, nei giorni scorsi, il nuovo capo dell’Isis dal nome di battaglia al-Qurayshi è stato individuato e si è fatto saltare con l’esplosivo della cintura – suicidandosi e determinando la morte della famiglia compresi i bambini! – dando così adito al corrispettivo per Biden dei successi delle azioni di intelligence di Obama e di Trump.

Raid americano

Il raid ha avuto luogo nei pressi del piccolo centro di Atmah, a ridosso della Turchia proprio all’altezza di Aleppo. Che le cose siano andate così lo attestano le immagini, diffuse dalla Casa Bianca e il corredo delle stanze bagnate di sangue, immediatamente rese disponibili.

Il sedicente al-Qurayshi si trovava dunque a pochissima distanza dal confine turco, in uno spazio devastato e popolato da milioni di profughi, in precedenza battuto dai bombardamenti dei russi, causa di migliaia di morti tra la popolazione civile, ora sotto controllo – per quanto possibile e con ogni premura militare – da parte delle autorità di Ankara.

Come al-Baghdadi, anche il nuovo capo dell’Isis si trovava in quel territorio della provincia siriana di Idlib che le milizie di Tahrir al-Sham, sostenute da Ankara, sorvegliano palmo a palmo. Difficile pensare che i militari statunitensi vi siano giunti senza il consenso di chi resta sul posto, stante che non si è verificato alcuno scontro coi miliziani. Difficile pensare inoltre che siano entrati nel territorio senza che i russi e i siriani – fedeli di Assad – ne fossero informati e, in qualche modo, consenzienti.

Non si è mai saputo, appunto, come al-Baghdadi abbia fatto a scomparire da una zona sotto assedio da parte di curdi e di americani, passando da un capo della Siria e ricomparendo all’altro capo, attraversando i check-point dell’esercito siriano. Probabilmente non si saprà mai neanche chi ha informato della posizione del capo dal nome di battaglia al-Quraishy. Ma si possono fare delle ipotesi.

Infatti, non sto sostenendo che nel “caso di al-Quraishy” sia stato ordito un complotto mondiale tra parti decisamente avverse. Anzi, sebbene la fonte siano ex terroristi oggi detenuti, la loro affermazione che gli americani avrebbero già tentato di catturarlo in due operazioni di cui nulla abbiamo saputo confermerebbe che la caccia era in corso e da tempo.

Dunque, i miliziani jihadisti di Tahrir al-Sham potrebbero aver coperto l’uomo forte dell’Isis ma anche aiutato gli americani.  Nella guerra che da dieci anni insanguina la Siria le connivenze oblique sono assai probabili: tutti possono servire a tutti – anche i terroristi! – nell’intricato gioco a fini di propaganda e di conservazione del potere.

Per approfondire va detto che la zona ove il successore di al-Baghdadi è stato identificato e poi trovato è da anni al centro di feroci combattimenti tra turchi e miliziani filoturchi da una parte, russi e regime di Assad dall’altra. Si trova a ridosso di un confine – quello turco – che Erdogan ha sbarrato con un muro, su cui sono andati a sbattere gli ultimi milioni di siriani deportati dai territori riconquistati da Assad. In quel posto si arriva solo per via militare, o miliziana. I posti di controllo siriani sono infiniti.

La tempistica del raid

Consideriamo ora la tempistica della eliminazione. L’Isis nei giorni trascorsi aveva assalito un carcere controllato dai curdi al confine con l’Iraq, ove si trovavano circa cinquemila detenuti ritenuti terroristi. Gli stessi cinquemila che si erano arresi nel 2019, ai tempi della battaglia di Baghouz.

L’assalto dell’Isis contro il ‘penitenziario’ è durato una settimana. Poi i curdi e gli americani hanno dichiarato di aver vinto la battaglia e ricondotto i prigionieri al loro posto. Pochi giorni dopo è scattato il raid che ha portato alla morte del sedicente al-Quraishy, ma al capo opposto della Siria.

La battaglia per conquistare un carcere – combattuta con razzi e mortai tra Isis e curdi – merita di essere meglio raccontata. Quel penitenziario che ospitava, appunto, secondo le stime ufficiali, cinquemila detenuti, ora, secondo le stesse fonti ufficiali curde e della coalizione, ne rinchiude tra le tremila e le cinquemila. Dunque, non si dà il caso che alcune centinaia – forse migliaia di detenuti – siano fuggiti? E poi, chi sono veramente costoro? Sono davvero tutti miliziani dell’Isis? Al tempo si diceva che l’Isis trattenesse con sé migliaia di ostaggi: dove sono finiti?

Secondo l’Unicef nel penitenziario in questione si trovavano anche centinaia e centinaia di minori, la gran parte degli 850 minori detenuti nel nord-est della Siria. A loro carico non c’era e non c’è alcuna ipotesi di reato di terrorismo. Il fatto reale è che non li vuole nessuno: sono bambini e ragazzi iracheni che l’Iraq non vuole, bambini e ragazzi siriani che la Siria non vuole. E vengono tenuti in quel penitenziario – e alcuni in altri – ormai da anni. Per l’Unicef questo è un crimine di guerra.

Arriviamo allora a stringere il fuoco del cannocchiale sul territorio ove tutto ciò accade. È una fascia lunga e ricca di terre siriane e irachene, dove tutti sono – o sarebbero – schierati contro l’Isis: ma tutti sono pure certamente schierati contro tutti gli altri. I curdi, gli iraniani, gli americani, i turchi, i russi, i siriani di Assad, le milizie: sono tutti immersi in un gioco spettrale sulla pelle di comunità messe ormai in odio l’una contro l’altra.

Le milizie khomeiniste vanno alla conquista di territori in miseria da donare a piene mani per tenere in pugno la popolazione. Le milizie jihadiste, sostenute dai turchi, portano analogamente odio e miseria. Altrettanto fanno i loro alleati.

In questo contesto di guerra di tutti contro tutti, i posti di controllo dell’un presidio distano poche decine di chilometri dall’altro. In mezzo crescono i traffici clandestini di esseri umani, di soldi sporchi, di droga e di tanto altro. È il terreno perfetto per lasciar incubare ogni tipo di organizzazione terroristica, le cui azioni possono essere poi usate da numerosi soggetti, singolari e collettivi, amici o nemici che siano tra loro.

Le decisioni degli USA

Il ritiro americano non ha prodotto nulla di diverso da ciò che già produsse l’invasione del 2003, quando le truppe USA resero terra di nessuno tutto l’Iraq. La differenza è che ora il problema è ancora più serio, perché il numero dei soggetti coinvolti e belligeranti si è esteso. Ci troviamo di fronte a veri e propri Stati falliti, capaci solo di fare la guerra, traendo le risorse dalla economia illecita.  Mentre ovviamente cresce il ‘nichilismo’ islamico che non crede più a nessuno: né ai leader islamici ‘consacrati’, né ai leader arabi, né, tanto meno, alla cosiddetta comunità internazionale, né all’Occidente.

Gli effetti sono sotto gli occhi di quanti vogliano effettivamente vedere dietro la propaganda e le apparenze: il prezzo che viene pagato ogni giorno dalle popolazioni – senza soluzione alcuna – è  una catena di ‘piccoli’ o grandi genocidi.

La forza di un tale nichilismo si riproduce ormai del tutto spontaneamente: basta un vessillo nero al vento per dare l’illusione di far udire più forte il proprio urlo aggressivo in tutto il mondo.

Un sondaggio condotto in questi giorni in tutti i Paesi arabi dimostra che, pur nelle differenze e specificità di ogni Paese, la stragrande maggioranza dei giovani chiede ovunque e con forza sorprendente libertà di espressione, libertà di organizzazione politica, riforme economiche e dei costumi.

Dai pozzi della disperazione umana ingenerata dalla politica efferata dei despoti, ma anche, consapevolmente, dai grandi ‘imperi’ mondiali – si diffonde il veleno che brucia la sete di libertà e di democrazia dei giovani arabi. Possiamo continuare – anche dalle nostre parti – a fingere di non vedere e non di sapere?

Papa Francesco ha appena detto: “o siamo fratelli, o crolla tutto”. Anche il nostro piccolo mondo.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto