Spesso si richiama l’importanza della formazione continua nella vita consacrata, mentre più raramente ci si dà l’occasione di condividere esperienze che le diverse famiglie progettano e vivono, anche sperimentando nuove modalità, con lo scopo di dare maggiore concretezza ad aspetti come la docibilitas e la fraternità-sororità, che sempre più vengono indicati come centrali.
Questo testo nasce dal desiderio di condividere un’esperienza – vissuta nell’anno 2020/21 dalle sorelle della realtà italiana di un ramo di vita consacrata di un’Associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano: le Carmelitane minori delle Case della carità (Reggio Emilia)[1] – e alcune riflessioni che ne sono scaturite.
L’esperienza
Già nel precedente anno pastorale (2019/20) si era fatta la scelta di pensare la formazione continua con l’obiettivo di aiutare le persone a rielaborare e integrare l’esperienza quotidiana in cui ciascuna sorella si trovava immersa.
Proseguendo la riflessione, e proponendosi di ascoltare le sollecitazioni provenienti dalle sorelle più giovani, è nato il desiderio di avviare un confronto tra le responsabili della formazione iniziale e continua. È emersa in modo sempre più chiaro l’esigenza che la formazione continua potesse creare dei «luoghi di incontro» che fossero:
- luoghi di pensiero «circolari», in cui tutte le sorelle potessero partecipare «alla pari» e ascoltarsi, conoscere le diversità di pensiero, aiutarsi a riconoscere l’essenziale;
- luoghi di confronto piccoli, ma collegati tra loro e agli organi di governo, per creare una «circolazione» di pensiero e di esperienze che consentisse di sostenere, proporre, contribuire alle scelte, rimotivarsi.
Per gli incontri e la condivisione, le sorelle sono state raggruppate riunendo 2 o 3 comunità (o case), senza seguire il criterio della vicinanza territoriale, trasformando il vincolo della necessità di realizzare gli incontri formativi in video-collegamento in un’opportunità che ha consentito di «incontrarsi», raccontarsi e condividere anche fra comunità geograficamente molto distanti (da Reggio Emilia a Roma … fino all’Albania e al Brasile).
Il tema scelto – La relazione tra persona e comunità – era ripetutamente emerso dal confronto tra le sorelle. Lo si è affrontato partendo da un’«esplorazione ampia», attingendo sia a brani della Parola di Dio sia a riflessioni provenienti da altre fonti e autori.
Le tappe
Il primo giro di incontri ha portato una grande ricchezza di contenuti: la traccia comune ha fatto risuonare nelle persone i più diversi aspetti, generando anche una certa eterogeneità fra i gruppi rispetto ai temi ripresi. Proprio questa eterogeneità è stata un elemento sul quale soffermarsi, per poterlo riconoscere e accogliere, visto che si poneva evidentemente in linea con l’obiettivo di allenarsi a un ascolto aperto e plurale.
Era infatti la chiara percezione che il lavoro nei piccoli gruppi stesse aiutando in tre direzioni.
- Offriva la possibilità di imparare uno stile di confronto diverso, arrivando a far sì che nessuno si sentisse sotto giudizio: né chi proponeva aspetti di possibile novità; né chi continuava a riconoscersi in quanto si era vissuto finora, senza avvertire particolari esigenze di novità. Provando così a uscire da una mentalità che spesso porta a cercare chi ha ragione e chi torto.
- Insegnava ad accettare di rimanere in ricerca, ossia a vivere la fatica di lavorare contemporaneamente su più livelli: personale, comunitario, di Ramo, di Famiglia… Un lavoro complesso, rispetto al quale ciascuna deve trovare una propria «sintesi» per poterci «stare dentro» personalmente, insieme alle altre.
- Aiutava a dare priorità a una condivisione profonda, intima del vissuto, innanzi tutto fra sorelle. I piccoli gruppi cominciavano a rivelarsi come una «tappa condivisa» di quel «lavorio interiore» che ciascuna cerca di mantenere vivo dentro di sé, a partire dalla preghiera e dalla «liturgia continua» della vita comune.
La seconda tappa ha proposto due ulteriori «passi nell’ascolto».
Anzitutto, sono stati ripresi e messi in dialogo fra loro i contenuti usciti nei piccoli gruppi. Per fare esperienza di come si può stare nell’esercizio di un ascolto «aperto» (che non richiede di arrivare a conclusioni nell’immediato) e plurale, ossia che offre possibilità di esprimersi a tutti i punti di vista che emergono.
Il secondo passo, invece, era pensato in modo specifico per ciascun gruppo, tenendo conto di quanto era emerso nel gruppo stesso e di quelli che erano stati segnalati come temi da riprendere.
«È stato arricchente»
Il percorso di tre incontri per ciascun gruppo, da novembre 2020 a giugno 2021, è risultato innanzi tutto un’esperienza di incontro piacevole e non forzata, mantenendo un metodo di lavoro comune a tutti i gruppi: le sorelle si sono date reciprocamente la libertà di entrarci e condividerla se e nella misura in cui a ciascuna era possibile.
«È stato arricchente ascoltare come ognuna entra nello stesso tema da porte e finestre completamente diverse, proprio perché la vita di ognuna è davvero unica. È stato un luogo di confronto schietto e intimo su questioni della nostra vita che continuamente ci troviamo ad affrontare, spesso senza avere la possibilità di tornarci sopra insieme, inclusa la nostra esperienza di vita consacrata. Abbiamo provato a scoprire la bellezza del cercare, anche in opinioni diverse dalla propria, quel piccolo aspetto su cui posso ritrovarmi, o che mi illumina a vedere qualcosa che io non avevo visto, oppure a sforzarmi di capire perché un’altra pensa così…».
Diverse sorelle sono arrivate a esplicitare e condividere un passo di responsabilità personale, per la propria vita e quella della propria comunità. La restituzione finale ha dato conto dei cammini dei gruppi, senza entrarci in modo esaustivo: non si trattava di «arrivare a delle conclusioni» quanto di sperimentare come il riflettere, l’interrogarsi e il cercare insieme possa alimentare, sostenere e arricchire le dimensioni della sororità e della comunione.
Sono quindi usciti alcuni temi che potranno essere ripresi a livello di Ramo a partire da quanto è stato condiviso: fedeltà e perseveranza, docilità e docibilità; «ascolto in comunità» e «novità», il rischio di rimanere ancorate a un modello «standardizzato», a una vita concreta simile per tutte le sorelle o ad abitudini consolidate di cui talvolta si fa fatica a dare ragione; conoscere sé stessi non per mettersi al centro, ma per capacità di dono e il binomio sacrificio-dono; vivere relazioni libere e mature, anche in relazione alla paura del nuovo e dei possibili cambiamenti che il Capitolo di Ramo avrebbe potuto portare.
Formazione «esplorativa»
Per offrire alcune prime note di lettura dall’esterno di questa collaborazione, ci sembra si possa sottolineare come essa abbia consentito di sperimentare alcuni risultati, che potremmo riassumere come segue:
– un lavoro a più livelli: personale, nel piccolo gruppo con il quale si condivide, insieme alla possibilità di riprendere a livello di comunità e di ramo (o famiglia religiosa).
– un lavorare su di sé che si sforza di tenere insieme preghiera, vissuti e pensiero. Perché possano essere ripresi, accolti (sia i propri vissuti e pensieri, sia quelli delle sorelle, anche quelle con le quali si vive in disaccordo, magari da tempo) e riletti alla luce della Parola.
– una proposta formativa che offre temi e contenuti, ma più che cercare risposte conclusive si propone di aprire piste di ricerca e riflessione, che ciascuna delle sorelle può poi seguire a livello personale e che per alcuni aspetti può generare anche un lavoro condiviso da più persone, alimentando la dimensione comunitaria;
– l’itinerario ha contribuito innanzi tutto a recuperare, ricostruire, riconciliare il tessuto delle relazioni interpersonali che stanno alla base della vita fraterna e della comunità: senza questo recupero e riavvicinamento, i contenuti della formazione rischiano di rimanere idee astratte, che non entrano a toccare il vissuto e la vita delle persone, la rilettura della quotidianità e della storia personale e comunitaria.
Valutazione
Ci domandiamo se, nella valutazione di esperienze formative di questo genere, possa risultare utile tenere presente un’interessante distinzione che Matteo Cavani propone in relazione all’educazione.
Partendo dalla considerazione che «la coscienza non è solo un luogo di applicazione ma di elaborazione», Cavani afferma: «Il modello applicativo dell’educazione vuole trasmettere al soggetto una serie di contenuti, appresi i quali si attende che il nuovo sapere acquisito significherà un nuovo modo di operare del soggetto stesso, eventualmente rimuovendo comportamenti devianti. Il metodo ermeneutico, invece, più che essere preoccupato di trasmettere una dottrina da rispettare, ha un Vangelo da annunciare e che chiede di essere riconosciuto come rilevante, qui ed ora. È, dunque, un’educazione che lavora sulla coscienza rendendola progressivamente più idonea ad appropriarsi dei significati del Vangelo, cosicché quando il soggetto lo sceglie sa che attraverso quella scelta risignifica la propria vita ma anche se stesso»[2].
Riportandolo queste considerazioni all’ambito della formazione, ci sembra di poter dire che anche qui è possibile distinguere tra due metodi:
- Un metodo «trasmissivo», o applicativo, nel quale si dà per acquisito che una volta «conosciuti» certi contenuti, diventa quasi automatica la loro acquisizione nella vita e nelle scelte di tutti i giorni.
- Un metodo «esplorativo» o ermeneutico, nel quale i contenuti proposti vengono utilizzati per interrogare la realtà, metterla in discussione, condividere le domande che nascono dal confronto fra questa e i contenuti stessi, e aprire piste di ricerca per la propria vita quotidiana, a livello individuale e comunitario, o di famiglia.
Metodi che non necessariamente vanno posti in contrapposizione, ma richiederebbero di essere maggiormente integrati fra loro, come ci sembra si sia cercato di fare nell’esperienza che abbiamo qui brevemente illustrato.
Un tentativo per molti aspetti simile è in corso nell’Istituto delle Suore di carità delle sante B. Capitanio e V. Gerosa (Suore di Maria Bambina), che negli ultimi anni ha fatto la scelta di allargare agli incontri di animazione e formazione continua il metodo che era stato elaborato e messo a punto nel corso del lavoro di ridisegno[3].
Giorgia Gariboldi e Sorelle della formazione permanente e iniziale
delle Carmelitane minori delle Case della carità di Reggio Emilia
[1] Sito ufficiale: www.casadellacarita.it. L’esperienza è stata progettata e coordinata da un gruppo composto dalle responsabili della formazione permanente e iniziale delle Carmelitane minori, insieme con Giorgia Gariboldi dello Studio Diathesis di Modena (www.diathesis.it).
[2] Matteo Cavani, «Educare: dal modello applicativo a quello ermeneutico», TreDimensioni 11(2014), pp. 180-186
[3] Cf. G. Gariboldi-Consiglio generale SCCG, «Per uno stile di governo più sinodale e interculturale», Testimoni 3(2021).