L’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto M. Redaelli, l’aveva promesso concludendo l’ultima assemblea diocesana (cf. Settimana News, 26 luglio 2016). Tra i quattro i propositi che egli aveva in animo vi era quello di scrivere una lettera «semplice e non troppo lunga al “cristiano della domenica”», da diffondere e da distribuire a coloro che sono presenti alla messa domenicale. Ed eccola la lettera edita da Voce Isontina, 34 pagine, agile, moderna nel linguaggio.
Essa è indirizzata ad alcune categorie di persone che, simbolicamente, dovrebbero rappresentare l’intera comunità. Abbiamo così come destinatari un signore sui 60 anni, un professionista di 50, un papà sulla quarantina con la moglie, un’anziana signora, una ragazza di vent’anni.
Chi è il “cristiano della domenica”?
Niente di riduttivo o di offensivo, si affretta a precisare il vescovo. Con quella definizione, egli intende rivolgersi al cristiano “normale”, che frequenta regolarmente o quasi la messa domenicale e che non ha impegni specifici (lettore, catechista, volontario Caritas…). Non per questo «un cristiano di serie B», ma «un cristiano a tutti gli effetti».
Però nessuno si allarmi: la lettera non è stata scritta per esortare tale cristiano ad assumersi degli incarichi nella comunità parrocchiale. E allora, perché? «Per proporle di prendere coscienza di essere – e, nel caso, di diventare ancora di più – un “cristiano impegnato”», cioè una persona che si assume la sua responsabilità di credente, che cerca di mettere in pratica il Vangelo, dove vive e lavora. «Ciò che conta è che lei si consideri cristiano».
Il cristiano consapevole – secondo l’arcivescovo – è colui che ha creduto che «quell’uomo Gesù, vissuto duemila anni fa, è il Figlio di Dio che ci ha svelato il senso della vita», che siamo cioè frutto dell’amore di Dio Padre e che siamo chiamati a vivere questo amore dentro le piccole e grandi vicende della vita.
«Grazie, perdonami, aiutami»
Se questo è il cuore dell’essere cristiano, è possibile che molti, più o meno consapevolmente, vivano di fatto il loro battesimo. Come? Risponde mons. Redaelli: trattando le persone da… persone, cioè rispettandole, ascoltandole, sopportandole e magari… amandole e vivendo con coerenza i valori posti a fondamento del proprio agire.
A questo punto è possibile che il “cristiano della domenica” confessi che frequenta la chiesa più per abitudine che per convinzione e che, comunque, durante la settimana, preso e travolto da tante cose, non ci pensi più. L’arcivescovo accoglie la sua obiezione e gli suggerisce alcuni rimedi, utilizzando «i tempi morti che ci sono nella giornata», ad esempio, affidando a Dio, nel viaggio di andata al lavoro, gli impegni che lo attendono, le persone che incontrerà, il futuro dei propri figli, dicendo al Signore: “Dammi una mano” e, al rientro, al termine della giornata lavorativa, ripensando a quanto è accaduto: “Grazie, perdonami, aiutami”.
È un modo per restare con il Signore e con se stessi, oltre la messa domenicale. E poi, non bisogna dimenticare che è la pratica delle opere di misericordia la cartina di tornasole di un vero cristiano.
In quali ambiti?
In quali ambiti il cristiano è chiamato ad esercitare la sua responsabilità di discepolo di Cristo? L’arcivescovo ne indica quattro. Anzitutto la famiglia, dove spesso anche nelle famiglie cristiane c’è «silenzio, nelle parole e nei gesti, a proposito dell’aspetto religioso». E questo nuoce ai bambini, fatti battezzare e iscritti al catechismo, ma privati di «una prima esperienza di Gesù».
Poi, l’ambito del lavoro, dove il cristiano è chiamato a trattare gli altri come persone e a vivere con coerenza i propri valori.
Quindi, la società. Qui è facile scappare dalle proprie responsabilità o criticare coloro che hanno assunto qualche impegno. Il cristiano è chiamato ad “esserci”, facendo la propria parte «con uno spirito di servizio, del dono e della gratuità e non con una logica di potere».
Infine, l’ambiente, «che è un dono da rispettare, condividere e da valorizzare», praticando “l’ecologia della vita quotidiana” (papa Francesco).
La messa e la comunità
Un altro aspetto toccato dalla lettera è la dimensione comunitaria della messa domenicale. Ciò significa che il cristiano non deve ridurre tutto alla sola celebrazione ma dare spazio anche all’accoglienza, all’incontro, alla festa, alla fraternità.
Tra i frequentanti domenicali ci può essere anche qualche “irregolare”, come lo sono i divorziati risposati. Una signora che vive questa situazione si definisce «una cristiana a metà». Non esistono “cristiani a metà”, risponde l’arcivescovo, perché «si è semplicemente cristiani» e le ricorda che «il Signore ci vuole bene come siamo, non butta via niente della nostra vita, anche le pagine più oscure, quelle più dolorose o anche quelle più meschine», per cui «lei fa bene a continuare a partecipare alla messa domenicale, senza sentirsi esclusa». Mons. Redaelli approfitta di questo caso per esortare la signora a intraprendere la «strada» suggerita da papa Francesco, facendo «un vero lavoro di discernimento sulla sua situazione, aiutata da un sacerdote o comunque da una guida spirituale», dal momento che «ogni situazione non è un “caso” astratto, ma ha il volto di persone concrete».
Nell’ultimo paragrafo l’arcivescovo ipotizza che la sua lettera possa capitare fra le mani di chi non frequenta affatto. In questo caso, egli si augura che le sue parole «possano ridare voce a quelle domande profonde che sono nel cuore di ognuno, in quel mistero di ogni persona cui solo a Dio è dato di entrare».