I golpe in Burkina Faso, Mali, Guinea Conakry e Guinea Bissau stanno creando nuovo scompiglio su una parte di Africa strategica sul piano internazionale, anche per quanto concerne i traffici di esseri umani e di cocaina diretti in Europa.
In nome della lotta al terrorismo islamista in Africa occidentale, Europa e Stati Uniti hanno a lungo tenuto artificiosamente in vita regimi corrotti (pronti anche ad accordi sottobanco con i jihadisti pur di restare in sella), invisi alle popolazioni impoverite che troppo spesso hanno trovato uno sbocco «lavorativo» ed esistenziale proprio nella guerra santa.
Ma ora il re è drammaticamente nudo e bisogna fare i conti con un nuovo e forte vento che soffia su Burkina Faso, Mali, Guinea Conakry e Guinea Bissau, nazioni strategiche nello scacchiere africano anche per quanto concerne i traffici di esseri umani e di cocaina diretti in Europa.
Ultimo in ordine di tempo, in Burkina Faso i militari hanno deposto lo scorso 24 gennaio il presidente Roch Marc Christian Kaboré. Un colpo di Stato che segue quelli analoghi portati a termine in Mali (nell’agosto 2020 e ancora nel maggio 2021) e in Guinea Conakry (nel settembre scorso) mentre è fallito (ma in tanti si chiedono quando è in calendario il prossimo) nella Guinea Bissau. In meno di 18 mesi, sono cambiati tutti gli assetti politici di quest’area, ritenuta sensibile dagli occidentali.
Accoglienza favorevole
Le motivazioni addotte dai militari per giustificare i golpe sono comuni in tutte queste nazioni: nessuna strategia dei governi civili nel contrasto al terrorismo che è addirittura straripato, pochi e inadeguati i mezzi forniti agli eserciti, corruzione, colpevole subalternità alle missioni militari straniere presenti sui territori. I militari insomma sono stati abili nell’interpretare il sentimento diffuso di frattura tra la popolazione e le élite al potere. E non è casuale che le sollevazioni militari siano state accolte favorevolmente dalla gente che ha manifestato a favore dei golpisti.
In Burkina Faso i partiti politici (corresponsabili con il presidente della deriva politica) si sono detti pronti a collaborare con il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba al potere per arrivare a nuove elezioni, restando per ora ai margini della scena politica.
Gli stessi vescovi cattolici burkinabè affermano di «accettare» la nuova situazione, senza dunque opporsi, perché l’insicurezza diffusa ha costretto un milione e mezzo di persone ad abbandonare le proprie case mentre l’economia esce a pezzi dal clima di violenza e dalla pandemia di Covid. Il deposto presidente Kaboré (al governo dal 2015) si presentò come l’uomo della svolta dopo l’insurrezione popolare che rovesciò il suo predecessore ma è presto inciampato nella palude di malgoverno e corruzione.
Russia e Occidente
L’altro elemento su cui riflettere è la debolezza della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao), troppo arrendevole in passato nel bloccare il terzo (e contestato) mandato presidenziale di Alpha Condè (alla guida della Guinea Conakry dal 2010 e deposto da un golpe militare nel settembre 2021) e la terza investitura di Alassane Ouattara (presidente in Costa d’Avorio dal 2010). La Cedeao ha varato sanzioni contro le giunte militari di Guinea e Mali.
Qui i provvedimenti oltre a non avere effetti hanno al contrario spinto le popolazioni ad appoggiare i golpisti, a rivoltarsi contro la Francia (accusata di proseguire nella politica colonialista), spingendo i militari stringere una pericolosa alleanza con la Russia, oggi ritornata alla ribalta sulla scena africana con la politica espansionistica putiniana. Forte forse di queste deludenti esperienze, l’organismo economico non ha comminato sanzioni al Burkina Faso, limitandosi a chiedere la liberazione del presidente Kaboré e a stabilire l’iter per nuove elezioni.
Insomma, un atteggiamento dialogante anche alla luce del consenso popolare intorno al nuovo governo scaturito dalla rabbia per le malefatte dei precedenti. Anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sfoggia una diplomatica cautela. Pur dichiarandosi preoccupato per il cambio di governo, non esprime condanna né usa le parole «colpo di Stato militare» nel documento approvato all’unanimità.
La dichiarazione (votata dai 15 Paesi che compongono il Consiglio) è chiaramente il frutto di un lungo e difficile negoziato con la Russia, decisa a ritagliarsi il ruolo di primo attore in questa area regionale, dopo l’intervento in Mali dei mercenari della società privata Wagner, legata al Cremlino. Per l’Occidente è il momento di riflettere sul diverso ruolo da svolgere in Africa e anche di una totale inversione di tendenza.
- Enzo Nucci è corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana. Apparso sul sito della rivista Confronti, 28 febbraio 2022.