La complessa vicenda degli abusi segna la vita ecclesiale di quest’epoca e ci interroga profondamente. La vastità delle questioni in gioco pone domande radicali, non solo riguardo all’origine di questo male, alla cura per le vittime e al bisogno di redenzione, ma anche all’esercizio del potere e alla connessione così odiosa tra l’abuso dei corpi e l’abuso delle coscienze.
In tale complessità vi è, però, un’evidenza: la vicenda epocale rimette in discussione un modo superficiale di declinare la tensione evangelica tra il pensiero del mondo e il pensiero di Dio: quello che identifica il primo con la cultura laica e secolarizzata e il secondo con la Chiesa cattolica che, divenuta minoritaria, avrebbe con ciò il compito di ergersi a principio critico della contemporaneità e di continuare, così, la sua opera di evangelizzazione.
Tale semplificazione ha una storia antica, ma mostra oggi tutta la sua ambiguità. Proprio attorno alla vicenda degli abusi compiuti da membri del clero su minori, emerge come sia stata la pressione esercitata dal mondo a spingere la Chiesa cattolica a dover fare chiarezza al suo interno e a rendere conto pubblicamente della sua opera.
Il paradigma mondo/Chiesa si trova così, in qualche modo, capovolto: ragioni apparentemente laiche, ma in realtà radicalmente umane (coltivate con passione anche da molti cattolici di ogni stato di vita), come il bisogno di giustizia, la cura per l’infanzia, l’indignazione nei confronti di chi la tradisce, hanno mostrato alla Chiesa cattolica un male che la riguarda e hanno avviato un cammino di conversione di fronte a cui (benché ancora ai primi passi) non può più tirarsi indietro.
Ciò che tutti noi, oggi, guardiamo con doloroso stupore, è proprio l’incapacità del corpo ecclesiale (in particolare nella sua componente ministeriale) di accorgersi del male e di farvi fronte. Le ricadute di questa scoperta sono ancora tutte da comprendere e, come teologi e teologhe, non verremo meno a questo compito.
Una, tuttavia, è da subito evidente: la Chiesa cattolica deve oggi guardare con gratitudine quella parte della società civile e della cultura contemporanea che, con responsabilità, la mette di fronte al suo peccato e alle sue incoerenze. Nonostante tutti i limiti evidenti dell’epoca, scopriamo la sua capacità di evangelizzarci proprio mentre, umilmente, cerchiamo di annunciare il Vangelo di Gesù.
Di questo sguardo di giudizio, abbiamo ancora bisogno. Proprio per questa ragione riteniamo che la scelta di attingere a componenti interne al mondo ecclesiale per comprendere il fenomeno, non sia in alcun modo in grado di rispondere ai «segni dei tempi». Non si tratta solo della saggezza di fugare fin da principio l’ombra di qualsiasi vischiosa commistione fra chi indaga e chi è indagato: si tratta, invece e in primo luogo, di un’occasione persa per interpretare l’emergere di un nuovo paradigma della contemporaneità, in virtù del quale la Chiesa stessa si mette in ascolto del mondo delle donne e degli uomini, per poter essere più fedele al Vangelo di Gesù.
Al contrario, il coraggio con cui alcune conferenze episcopali hanno umilmente riconosciuto l’autorevolezza di uno sguardo indipendente, ha una forza profetica che annuncia una conversione irrevocabile. Per questo motivo, chiediamo ai vescovi italiani di istituire una commissione che attinga a competenze esterne, della cui credibilità non si possa dubitare e che sappiano assumersi un compito di intelligente ascolto delle vittime e di responsabile cura nei confronti delle ferite del corpo ecclesiale, quelle che noi abbiamo per molto tempo nascosto ai nostri stessi occhi.
Firmatari
Roberto Maier (Università Cattolica del Sacro Cuore); Andrea Grillo (Pontificio Ateneo S. Anselmo); Cristina Simonelli (ISSR San Zeno, Verona – Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale); Marcello Neri (Istituto Superiore di Scienze dell’Educazione e della Formazione “Giuseppe Toniolo”, Modena); Sergio Tanzarella (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale); Giuseppe Ruggieri (Studio Teologico di Catania – Università Milano Bicocca); Antonio Sichera (Università di Catania); Ernesto Borghi (ISSR Guardini, Trento – Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale); Umberto Rosario del Giudice (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale); Maria Cristina Bartolomei (Università Statale, Milano);Ursicin Derungs (Pontificio Ateneo S. Anselmo); Selene Zorzi (Istituto Teologico Marchigiano); Enzo Biemmi (Pontificia Università Lateranense); Claudio Margaria (ISSR STI, Fossano); Luca Margaria (ISSR STI, Fossano); Marco Gallo (ISSR STI, Fossano); Ivo Seghedoni (ISSR dell’Emilia Romagna, Modena); Luca Palazzi (ISSR dell’Emilia Romagna, Modena); Massimo Faggioli (Villanova University, USA); Marinella Perroni (Pontificio Ateneo S. Anselmo); Giuseppe Savagnone (LUMSA, Palermo); Fabrizio Mandreoli (Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Bologna); Gaia De Vecchi (Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale); Alberto Maggi (Centro Studi Biblici Vannucci, Montefano); Vittorio Berti (Università di Padova); Brunetto Salvarani (ISSR dell’Emilia Romagna, Modena); Riccardo Saccenti (Università degli Studi, Bergamo); Simone Morandini (Istituto Studi Ecumenici San Bernardino, Venezia); Basilio Petrà (Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, Firenze); Serena Noceti (ISSR della Toscana); Antonio Autiero (Università di Münster, Germania); Donata Horak (Studio Teologico Alberoni, Piacenza); Matteo Cavani (ISSR dell’Emilia Romagna, Modena); Silvia Zanconato (Scuola di Teologia Laura Vincenzi, Ferrara); Leonardo Paris (Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà Teologica del Triveneto); Paolo Gamberini (Cappella Universitaria La Sapienza, Roma); Anna Carfora (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli); Alessandro Cortesi (ISSR della Toscana Santa Caterina da Siena); Gianni Criveller (Studio Teologico Missionario del PIME, Monza); Giuseppe Noberasco (Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale); Alessandro Picchiarelli (Scuola Interdiocesana di Formazione Teologica, Foligno); Riccardo Battocchio (Facoltà Teologica del Triveneto); Grazia Tagliavia (Università di Palermo); Marco Campedelli (ISSR San Pietro Martire, Verona); Lucia Vantini (ISSR e Studio Teologico di Verona); Simona Segoloni Ruta (Istituto Teologico di Assisi); Gilberto Borghi (ISSR Sant’Apollinare, Forlì); Martin M. Lintner (Studio teologico accademico di Bressanone).
Su questo argomento ho già scritto il mio parere. In sintesi riguardo agli abusi, disservizi, mancanze perpetrate da chi amministra il culto trovo efficace esporre nelle chiese una targhetta con su il nr di telefono della segreteria del Vescovo penso che sia un modo utile poiché è insita una discreta deterrenza x i sacerdoti e stimolerebbe i fedeli a farne un sollecito uso quando si palesano questi episodi.
mario
Condivido la richiesta di una commissione indipendente per la verità e la giustizia e pertanto anche poi per il risarcimento e la riconciliazione (ma quanto potremo fare su quest’ultimo punto?). Il riferimento alle relazioni chiesa-mondo lo trovo pertinente e insieme secondario rispetto all’etica generale. La mancanza di alcune firme cosiddette eccellenti si potrebbe spiegare meglio conoscendo l’elenco degli interpellati. Chi ha richiesto l’adesione? A chi è stata richiesta? Qualcuno lo potrebbe dire?
Penso che sia necessaria una commisione di inchiesta indipedente sul fenomeno degli abusi sessuali nella chiesa italiana. Bisogna aprire gli archivi diocesani per capire quante accuse sono state prese in esame, quante accuse sono state occultate, quante condanne sono state date, quanti preti accusati sono stati spostati senza essere processati ecc. La chiesa è stata molto indulgente con questo fenomeno per non essere messa in discussione.
Le regole canoniche severe contro i preti pedofili esistevano già nel Codice di Diritto Canonico del 1917, poi passate nel Codice di Diritto Canonico del 1983 e poi ulteriormente inasprite negli ultimi venti anni, ma i vescovi non le hanno applicate come dovevano. Dopo venti anni da quando gli scandali sono venuti alla luce, provo ancora scandalo perchè le regole canoniche non vengono ancora applicate sino in fondo.
Rilevo in questo documento un errore concettuale irreparabile. Gli estensori – evidentemente impegnati in servizio permanente effettivo nella estenuante querelle post conciliare – interpretano il problema abusi come innervata nel dualismo Chiesa-mondo. Non vedono, eppure dovrebbero, che gli abusati non sono “mondo” ma sono membra doloranti della Chiesa. Non è il mondo a giudicare la Chiesa ma sono i suoi stessi figli. Quei laici, quelle pecorelle, che invece di incontrare pastori conformati al Cristo si sono imbattuti in mercenari, ladri, lupi travestiti da pastori. No, è troppo facile buttarla in polemica teologica, farne occasione dell’ennesimo “redde rationem” tra teologi. Le spiegazioni sociologiche basate sul patriarcato e via discorrendo non riformeranno questa Chiesa. Bisogna tornare a Dio e al vangelo. Bisogna mettersi in ginocchio, per primi i preti clericalisti che sono ben diffusi tra progressisti e non. E ben vengano commissioni terze, a patto che lo siano per davvero.
Personalmente nutro perplessità riguardo allo strumento delle commisioni d’indagine esterne. Il caso francese mostra come non sia uno strumento privo di criticità in merito sia alle procedure che vengono adottate (non sempre chiare ed efficaci) e sia alle conclusioni (che rischiano di sembrare piuttosto sentenze di accusa senza contraddittorio). Pur tenendo conto di ciò, non si può però non notare il contropoducente atteggiamento attendista della gerarchia ecclesiastica italiana, arroccata a difesa della propria “autonomia di giudizio”. Posizione discutibile e anacronistica a fronte di un dramma di proporzioni storiche come quello delle violenze sessuali. Temo finirà come in Spagna con l’intervento della giustizia civile, il clamore mediatico e il totale discredito della gerarchia ecclesiastica che (mi duole dirlo) sembra essere in questo momento in forte “disallineamento” con la realtà storica
Trovo che sia un appello intelligente e da condividere pienamente.
Complimenti ai teologi che l’hanno sottoscritto. E’ un buon esempio di come i teologi possono e devono essere partecipi della vita della chiesa non solo con articoli accademici che solo loro leggeranno, ma anche con iniziative che raggiungano la gente e tentino di dare una parola per l’orientamento concreto delle decisioni ecclesiali.
Le firme sono anche di teologi conosciuti, mancano alcune firme eccellenti forse perchè non sono d’accordo, ma forse anche perchè quando un teologo firma un documento di questo tipo è automaticamente depennato dalla lista delle nomine dei vescovi. Onore a tutti coloro cui non interessa fare carriera e non hanno messo il proprio cervello- e la coscienza-sott’olio.
Non mi sembra il caso di fare polemiche in questa sede a riguarda di un documento, che in alcune sue parti, seppure sia condivisibile, trovo generico, ma mi sfugge la “ragione” che c’è dietro. Se ho ben capito si desidera una commissione indipendente che indaghi sui casi di abuso in Italia, ma dirlo subito, all’inizio in maniera esplicita senza tanti giri di parole no? Un altro aspetto che trovo critico riguarda l’affermazione “ciò che tutti noi, oggi, guardiamo con doloroso stupore, è proprio l’incapacità del corpo ecclesiale (in particolare nella sua componente ministeriale) di accorgersi del male e di farvi fronte”. L’affermazione di per sé la sottoscriverei … peccato, però, che la maggior parte di coloro che hanno firmato il documento sono ministri. Infine si dice “teologhe e teologi” … beh, con franchezza, i firmatari sono per la maggior parte maschi – quindi più teologi che teologhe – e a ben vedere tra i firmatari, dove mancano peraltro firme eccellenti, una parte considerevole sono consacrati. Ergo … i laici (donne e uomini) dove sono? Infine il documento è frutto di una riflessione a margine di qualche convegno o di una discussione all’interno dell’ATI? Questo non lo si intende anche perché se i teologi scrivono un tal documento è qualcosa di carattere accademico in teoria …
N.B. La mia “critica” è fatta con rispetto e affetto verso tanti firmatari sulle cui opere mi sono formato e che conosco.
Le critiche sono sempre bene accette, quando sono costruttive e contribuiscono a portare più a vanti, o più a fondo, la questione. Non credo invece che ci sia tutto questo disequilibrio tra laici, preti e consacrati/e – ma non conosco lo stato di vita di tutti i firmatari. Poi tra i firmatari, quelli che sono preti riconoscono quella incapacità del corpo ministeriale di cui si fa cenno nell’appello. Non mi sembra un dato irrilevante. Le firme eccellenti, evidentemente, non condividono quello che si chiede nell’appello – e anche questo dovrebbe fare riflettere. L’appello è il frutto di una condivisione di idee e sensibilità tra coloro che lo hanno firmato; e si è deciso di farlo perché la Chiesa italiana non si è ancora mossa in merito come, a nostro avviso, avrebbe dovuto fare. Per quanto riguarda il cenno alla commissione indipendente esterna messo alla fine, non credo che tutto quello che ci sia prima sia un semplice “giro di parole” – forse merita di essere letto con più attenzione. Cordiali saluti, Marcello Neri
Cerco di spiegarmi meglio perché non vorrei che la mia critica passasse per distruttiva quando, al contrario, non lo è affatto. Inizio dall’ultimo punto. Se fossi un teologo firmatario del documento avrei proposto un documento in cui all’inizio si chiedeva la commissione indipendente e poi se ne offriva la ragioni. Della serie: “Chiediamo x per a), b), c)”. Schema di più facile lettura ed eventualmente condivisibile anche da chi non è così addentro a certe “tematiche”. Secondo aspetto che vorrei chiarire. Se alcuni ministri sentono che i loro confratelli stanno facendo poco o nulla, mi verrebbe da chiedere loro: “ma hanno tentato di sensibilizzare il proprio presbiterio in seno al quale si trovano? se sì come?”. Perché il rischio è una critica ai confratelli senza aver fatto nulla (cosa di gran lunga peggiore). E poi: questi ministri hanno cercato di sensibilizzare il proprio vescovo aiutandolo e sostenendolo nella ricerca della verità nella propria diocesi o, come temo, hanno lasciato solo il vescovo? Perché dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – esserci una corresponsabilità nell’esercizio del ministero. Terzo ed ultimo chiarimento: mancando “firme eccellenti”, viene a mancare un apporto decisivo: si sono chiesti i firmatari come mai? Perché il rischio è che un gruppo voglia “prevalere” (o peggio farsi notare) sulla moral suasion che sono certo diversi teologi stanno già facendo. Con affetto e stima F. C.
Sono molto contenta di questo appello, aspettavo con ansia che qualcosa si muovesse. Condivido tutto quello che è scritto. Se si potesse farlo firmare dal popolo di Dio penso che saremmo in tanti a sottoscriverlo. Grazie! Non vi fermate, continuate su questa linea!