Uno studio, presentato lunedì scorso, mostra la riduzione di resilienza di ampie zone della Foresta amazzonica – ossia la perdita di capacità di riprendersi dopo eventi come siccità o deforestazione per ragioni agricole, minerarie, commerciali.
A differenza di altri studi precedenti, basati prevalentemente su modelli o simulazioni, per questo gli studiosi hanno usato dati effettivi raccolti per decenni (soprattutto attraverso immagini satellitari).
Questo indebolimento strutturale della Foresta amazzonica comporta rischi globali non solo per ciò che concerne una accelerazione del mutamento climatico, e la possibilità di contrastarlo, ma anche per quanto riguarda l’equilibrio climatico del pianeta – nel caso si raggiungesse il punto di non ritorno di una trasformazione della Foresta amazzonica in savana (con tutte le conseguenze per l’ecosistema della regione).
Circa il 17% della Foresta amazzonica è stato deforestato negli ultimi 50 anni, per favorire l’imprenditoria agricola, del legname e del turismo. Negli ultimi anni, dopo un parziale decremento, l’attività di deforestazione è ripresa con maggiore intensità – favorita e voluta dall’attuale governo Bolsonaro.
Nel medesimo giorno, la Conferenza episcopale brasiliana ha diffuso un messaggio a firma di diverse realtà ecclesiali della regione amazzonica, in cui si denunciano le politiche di appropriazione dei territori indigeni per favorire le imprese minerarie e agricole – cosa contraria a quanto affermato nella Costituzione federale del 1988.
Il documento afferma che un recente disegno di legge in merito, “propone di consentire lo sfruttamento delle risorse minerarie e di idrocarburi, nonché quello delle risorse idriche per generare elettricità, che sono presenti sui territori indigeni”. In protesta contro queste manovre del governo federale, si svolgerà oggi, mercoledì 9 marzo, una manifestazione di protesta a Brasilia, che vede confluire per la prima volta uniti fra di loro un panorama molteplice di organizzazioni e attori della società civile brasiliana.