Prima di avviare queste riflessioni, vorrei dichiarare la mia consapevolezza di essere di fronte ad una massa di problemi talmente complessi, che pretendere di avere l’asso nella manica per risolverli sarebbe frutto di una inaudita presunzione: non sono uno stratega né un politico, non ho nessuna competenza nella questione. Intendo solo dire a voce alta pensieri che mi frullano in testa, nulla di più.
«Che ci siano fondate condizioni di successo»
Sono impressionato del fatto che oggi, in una pur estesissima condanna della guerra e di chi l’ha voluta, con l’iniqua aggressione di un popolo confinante e fratello, persista nell’opinione pubblica una certa mistica della difesa armata: quanto è ardente la sacrosanta indignazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tanto diventa esaltante l’eroica reazione degli ucraini e sacro dovere ogni sostegno alla loro difesa armata. Chi potrebbe negare a un popolo aggredito il diritto di difendersi anche con le armi?
Eppure non posso evitare di domandarmi: quando? sempre? a quali costi? con quali previsioni? Sono questi interrogativi che non è possibile scavalcare. Sono andato a rivedermi il Catechismo della Chiesa Cattolica e osservo che vi si raccomanda di «considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale». Fra queste se ne chiarisce una: «Che ci siano fondate condizioni di successo» (n. 2309).
Penso che non sarebbe facile contestare il buon senso e la ragionevolezza di questa condizione. L’Ucraina aggredita ha davvero davanti a sé «fondate condizioni di successo»? La immolazione collettiva di un popolo per una causa, che si teme, con buone ragioni, sia destinata al fallimento, non può avere nessuna giustificazione. Quando lungo la storia la si è giustificata, questo è accaduto grazie ad un’opera di sacralizzazione di un ideale politico divinizzato e diventato oggetto di fede.
«Fiat iustitia, pereat mundus!»
Di fronte alla gravissima flagrante ingiustizia di un’aggressione armata è incontenibile, per ogni coscienza sana, lo scoppio dell’indignazione, la protesta e la volontà di mettere in atto ogni azione possibile per il ristabilimento della giustizia.
Non ugualmente ragionevole l’insorgenza di un certo qual triste entusiasmo, che viene a circondare la difesa armata dell’alone di una giustizia che incombe in una sua trascendenza, anche al disopra di qualsiasi prezzo, da pagare in vite umane e innumerevoli sofferenze, per vederla riaffermarsi sovrana.
Sembra di sentir risuonare l’antico adagio: «Fiat iustitia, pereat mundus!». L’accendersi di una simile passione può essere comprensibile. Non è comprensibile, invece, un progetto politico che voglia acriticamente soddisfarla.
Al di là delle propagandistiche proclamazioni della propria futura vittoria da ambedue le parti, è ben difficile pensare che l’esercito ucraino possa prevalere sull’enorme potenza militare della Russia. Stati Uniti e Comunità Europea stanno fornendo di armi l’Ucraina, più che di viveri, di medicinali, di ospedali da campo, contribuendo così, senza alcun dubbio, a prolungare il conflitto e aumentare il numero dei morti, da ambedue le parti, e con non pochi dubbi sull’esito della guerra.
A quale costo?
È anche prevedibile, infatti, che non si riesca affatto a salvare l’Ucraina dall’occupazione russa, e che l’attuale guerra si trasformi in seguito in una guerriglia destinata a durare per decenni. Con una bella soddisfazione dei produttori di armi. Lo insegnano i dieci anni dell’occupazione russa e i vent’anni di quella statunitense dell’Afghanistan, con la loro litania di morti, feriti e distruzioni senza fine.
Vien da pensare che tutto vada a finire solamente in una lezione da dare alla Russia di Putin, un’opera di dissuasione dai suoi imperialistici progetti.
Tutto questo, naturalmente, al prezzo di migliaia di morti e di immani sofferenze della povera gente dell’Ucraina. Un modello che tristemente si ripete: i grandi che si fanno la guerra sul territorio a spese dei piccoli.
- Apparso sul blog Il Sismografo, 8 marzo 2022.
Siamo poi certi che la resa all’invasione di un dittatore comporterebbe sofferenze e perdite minori di quelle derivanti dalla resistenza? Pensiamo a quello che sta passando il martoriato popolo del Myanmar, di cui fatichiamo persino a ricordarci, dove la dittatura militare sta bombardando Chiese e conventi…
Sono ben d’accordo con i rischi di sacralizzare e ideologizzare la resistenza (ne sappiamo qualcosa anche in Italia…), ma mi sembra che molti sottovalutino troppo le conseguenze che deriverebbero dal lasciare campo libero ad un tiranno che non trovasse nessuno a porre chiari limiti al suo delirio di onnipotenza. Lo stesso Mattarella mi pare abbia pronunciato parole molto posate ma inequivocabili in merito. Nessuno considera la totale illegittimità di atti gravissimi assunti dal solo Putin senza nessun tipo di passaggio vagamente “democratico” nemmeno all’interno del proprio Paese. In questa vicenda vi è un chiaro problema di psicopatologia che nessuno sembra prendere veramente sul serio. Detto in altre parole: come si difende l’ordine democratico faticosamente raggiunto in Europa, con tutti i suoi limiti, di fronte allo strabordare della violenza di un tiranno che nemmeno gli stessi Russi sanno più come fermare??
Non sono d’accordo con questa riflessione di Severino Dianich. La resistenza opposta dall’Ucraina all’invasione russa è condotta in primo luogo dall’esercito, la cui ragion d’essere è proprio la difesa del Paese, ed è sostenuta anche da una forte partecipazione popolare, segno di una coscienza viva dell’importanza di difendere la propria libertà, la propria autonomia, la propria terra. La resistenza opposta alla prepotenza di Putin è un segno prezioso, rivela l’enormità della violazione del diritto internazionale compiuta da Putin e rivela anche la sua incapacità di capire l’animo del popolo ucraino, la maturità della sua affermazione di indipendenza. La resistenza ucraina sta rendendo sempre più palese, agli occhi del mondo, l’intollerabilità della violenza messa in atto dal governo di Putin. E sta rendendo possibile che nel tavolo negoziale che si dovrà pur aprire i diritti del popolo ucraino siano considerati in tutta la loro forza.