Domenica 13 marzo, nel giorno in cui si celebrava la domenica dell’Ortodossia, che ricorda la vittoria sulla iconoclastia, ossia sul divieto delle immagini sacre, considerate idolatriche, con la scelta di continuare a venerare non le immagini-idoli, ma le icone, tanto care all’Oriente cristiano, su iniziativa dell’Accademia per gli studi teologici di Volos è stato diramato un messaggio dal titolo: Una dichiarazione sulla dottrina del «mondo russo» (Russkii mir).
Contro l’ideologia del «mondo russo»
Il testo, inizialmente sottoscritto da 65 teologi ortodossi, ad oggi registra oltre 500 firme di intellettuali, prevalentemente teologi e ortodossi, di ogni parte del mondo (qui il testo italiano; qui la versione inglese).
Questa singolare e significativa iniziativa nei suoi contenuti in primo luogo conferma l’interpretazione in chiave metafisica, anzi propriamente teologica, dell’aggressione armata perpetrata dalla Russia contro l’Ucraina.
Ad offrire tale interpretazione era stato il patriarca Kirill nel suo sermone del 6 marzo scorso (qui). Ma siamo di fronte a una visione diametralmente opposta da quella del patriarca russo, il quale adotta la dottrina del «mondo russo» chiamato ad evangelizzare gli altri popoli e l’Occidente, ormai in preda alla corruzione e alla perdita della propria identità cristiana (l’esempio addotto del gay pride, che la cultura occidentale imporrebbe, è sintomatico a riguardo).
Con toni meno apocalittici, il patriarca ha ribadito la sua posizione nella lettera di risposta al segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese (qui), puntando il dito contro la russofobia dilagante (omogenea rispetto alla cristianofobia occidentale), che può essere un rischio, ma non il motivo per cui si scatena una guerra.
Il precedente di Barmen (1934)
In secondo luogo, si potrebbe, come fa il collega Fulvio Ferrario nella sua pagina Facebook, porre questa posizione in analogia a quella della dichiarazione teologica del sinodo di Barmen (31 maggio 1934) in cui, professando la propria fede, un buon numero di teologi evangelici intendeva prendere le distanze non solo dal regime nazista, bensì anche, se non soprattutto, dai cristiano-tedeschi, che intendevano essere contemporaneamente fedeli al Führer e all’Evangelo.
Le differenze sono macroscopiche, ma dipendono anzitutto dal diverso contesto e le analogie storiche sono sempre claudicanti. Mi preme sottolineare il fatto che il sinodo tedesco di allora non contestualizzava in maniera determinata la propria posizione, come opposizione al nazismo (tra l’altro non nominava l’antisemitismo), e per questo la dichiarazione poté essere accolta anche da diversi uomini di Chiesa che non la interpretavano in tal senso. Ma ciò si giustifica per il fatto che diversamente sarebbe stato impossibile dare pubblicità alla dichiarazione e avviare il movimento della «Chiesa confessante», decisamente meritevole, non solo per l’adesione di Dietrich Bonhoeffer, ma in genere per la sua opposizione al regime.
La storia non si fa con i se, tuttavia immagino che, se la dichiarazione odierna fosse stata elaborata e sottoscritta da teologi ortodossi russi, forse il risultato sarebbe stato molto più vicino a quello di Barmen, anche perché i firmatari di oggi (forse tranne qualcuno) non corrono alcun rischio di persecuzione da parte politica (Putin) ed ecclesiastica (Kirill).
Il metodo e gli anatematismi
Infine, è interessante notare come ogni punto della dichiarazione si concluda con una chiara e netta presa di distanza dalla dottrina del “mondo russo”, con le parole: «Condanniamo come non ortodosso e rifiutiamo…» o simili, che ricordano gli anatematismi dei Concili cattolici fino al Vaticano I.
Tra questi anatematismi mi preme sottolineare quello che afferma:
«Condanniamo come non ortodosso e rifiutiamo qualsiasi insegnamento che incoraggi la divisione, la sfiducia, l’odio e la violenza tra i popoli, le religioni, le confessioni, le nazioni o gli stati. Inoltre, condanniamo come non ortodosso e rifiutiamo qualsiasi insegnamento che demonizza o incoraggia la demonizzazione di coloro che lo stato o la società considera “altri”, compresi gli stranieri, i dissidenti politici e religiosi e altre minoranze sociali stigmatizzate. Rifiutiamo qualsiasi divisione manichea e gnostica che elevi una santa cultura orientale ortodossa e i suoi popoli ortodossi al di sopra di un “Occidente” svilito e immorale. È particolarmente malvagio condannare altre nazioni attraverso speciali petizioni liturgiche della Chiesa, elevando i membri della Chiesa ortodossa e le sue culture come spiritualmente santificati in confronto agli “eterodossi” carnali e secolari».
Mi sembra altresì interessante sottolineare il metodo teologico seguito nella stesura della dichiarazione, che si articola in sei momenti, ciascuno dei quali è preceduto da una citazione neotestamentaria, in modo che sia la Parola di Dio ad illuminare il presente e i suoi drammi. Lascio al lettore percorrere i singoli momenti, limitandomi a segnalare il terzo di essi, ove, alla luce dell’insegnamento paolino, si afferma:
«“Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio e femmina; perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28). Affermiamo che la divisione dell’umanità in gruppi basati sulla razza, la religione, la lingua, l’etnia o qualsiasi altra caratteristica secondaria dell’esistenza umana è una caratteristica di questo mondo imperfetto e peccaminoso, che, seguendo la tradizione patristica sono caratterizzate come “distinzioni della carne” (san Gregorio di Nazianzo, Orazione 7, 23). L’affermazione della superiorità di un gruppo sugli altri è un male caratteristico di tali divisioni, che sono completamente contrarie al Vangelo, dove tutti sono uno e uguali in Cristo, tutti devono rispondere a lui delle loro azioni, e tutti hanno accesso al suo amore e al suo perdono, non come membri di particolari gruppi sociali o etnici, ma come persone create e nate ugualmente a immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,26). Pertanto, condanniamo come non ortodosso e rifiutiamo qualsiasi insegnamento che attribuisca istituzione o autorità divina, sacralità o purezza speciale a qualsiasi singola identità locale, nazionale o etnica, o caratterizzi qualsiasi cultura particolare come speciale o divinamente ordinata, sia essa greca, rumena, russa, ucraina o qualsiasi altra».
La libertà del cristiano
Il cristianesimo non è né può essere una religione etnica, ma fondata sulla libertà della fede, che si genera e si sviluppa nel cuore e nella mente dei credenti in Cristo, che, come in un altro passaggio si afferma, insegnava a chiamare le cose col loro nome, senza eufemismi, né edulcorazioni della realtà a fini ideologici e politici, sicché non siamo di fronte a un’«esercitazione militare», ma, come papa Francesco ha detto sia domenica 6 che domenica 13 marzo all’Angelus, a una «guerra» e a una vera e propria «aggressione armata», che nessun fedele cristiano può sostenere con le proprie parole e con il proprio agire, perché, questa sì, decisamente immorale, ancor più che la presunta immoralità dell’Occidente.
«Condanniamo come non ortodosso e rifiutiamo qualsiasi insegnamento che incoraggi la divisione, la sfiducia, l’odio e la violenza tra i popoli, le religioni, le confessioni, le nazioni o gli stati Il cristianesimo non è né può essere una religione etnica, ma fondata sulla libertà della fede».
- Pubblicato sul sito di Famiglia Cristiana il 15 marzo 2022.