L’inutile strage rappresentata dall’invasione della Russia in Ucraina avrà pesanti ripercussioni sul potere del presidente russo Vladimir Putin. Ma anche sul suo fedele scudiero, il patriarca di Mosca, Cirillo. Tanto da indurre alcuni a ipotizzare una possibile successione. Potrebbe toccare al primate Onufrio, vescovo metropolita dell’Ucraina e della locale Chiesa filorussa. È stato l’unico a prendere netta distanza dalle decisioni dello zar e a denunciare la guerra, seguito dal suo sinodo (in rappresentanza di un centinaio di vescovi per 52 diocesi ucraine). Mentre l’intero episcopato russo è stato silente (cf. SettimanaNews, qui e qui).
L’ipotesi di una simile successione nella sede di Mosca è assai improbabile, ma il solo fatto che abbia corso sui media è un indizio significativo. Uscita nei commenti del sito russo (dissidente) Meduza, è stato ripreso da altri, fra cui Parlons d’Orthodoxie che è normalmente filorusso.
Il teologo ortodosso francese Jean-François Colosimo non esita a chiedere la destituzione del patriarca: «È nel diritto del trono di Costantinopoli, a cui compete l’esercizio della primazia (…) di riunire i responsabili delle Chiese locali, fortemente danneggiate da Cirillo, per deporlo con un atto collegiale. Cioè destituirlo, mettendo in atto una scomunica che lui stesso ha provocato».
Onufrio è credibile
Pur qualificando l’ipotesi come «inverosimile», l’estensore dell’articolo di Meduza, Andrey Pertsev, raccoglie le parole di Cirillo Chapnin, ex collaboratore del patriarca di Mosca: «Sarebbe il candidato numero uno. Il popolo russo ha bisogno di una personalità capace di difendere la Chiesa di fronte allo stato. Il metropolita Onufrio è al riguardo poco conformabile. Egli promuove una Chiesa non mondana, chiaramente “altra” rispetto al potere. Vi è una domanda diffusa in merito».
Nell’arco di una notte, all’indomani dell’invasione, Onufrio ha denunciato con forza l’accaduto, garantendo agli altri vescovi e ai preti la libertà di aderire alla ribellione anti-russa delle loro comunità. Si parla ormai di una ventina di diocesi che hanno sospeso la memoria di Cirillo nella celebrazione liturgica.
Ma Onufrio è anche intervenuto dopo diverse giornate di guerra per non demonizzare i russi: «La nostra santa Chiesa ortodossa ucraina ha sempre insegnato, auspicato e predicato l’amore fra i popoli. Abbiamo soprattutto augurato la pace e l’armonia fra russi e ucraini. Vorremmo che questi popoli vivessero in buon vicinato, nel rispetto reciproco, nella pazienza e nell’amore. Siamo stati e siamo ancora insultati per questo, trattati con ogni sorta di insulti e di espressioni oscene. Ma non ne teniamo conto. Ancora oggi desideriamo che il popolo russo e il popolo ucraino vivano insieme, in pace».
L’ipotesi di una successione a Cirillo è affiancata da una più credibile piena autonomia della sua Chiesa rispetto a Mosca. Facilmente condivisa fra i suoi, magari con un iniziale memoria liturgica del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. Non sembra avere consensi un’eventuale fusione con la Chiesa autocefala già presente in Ucraina e rappresentata dal vescovo Epifanio. Non solo perché quella di Onufrio è ancora la Chiesa più numerosa, ma anche per le tensioni che in questi anni recenti hanno diviso le due comunità. La decisione per un’autonomia da Mosca dovrà in ogni caso passare da un concilio dei vescovi locali.
Isolamento di Mosca
Le bombe, le innumerevoli morti, la distruzioni e il fiume dei profughi hanno distrutto in Ucraina ogni rispetto per il patriarca di Mosca che si è schiacciato sulla posizione di Putin.
Alexander Soldatov, ex direttore del sito web Credo del patriarcato di Mosca sottolinea: «La Chiesa ortodossa russa molto probabilmente si ritroverà isolata nell’insieme del mondo cristiano in ragione della giustificazione della guerra operata dai dirigenti della Chiesa». La decisione di non farne più memoria liturgica non è solo delle diocesi e delle parrocchie, ma anche di alcuni fra i più prestigiosi monasteri ucraini.
Il gruppo di lavoro dei teologi ortodossi operanti in Germania hanno sottolineato: «Crediamo fermamente che causare sofferenza e distruzione non possa essere teologicamente giustificato e non sia nel segno del Vangelo».
La storia di Vladimir Michajlovič Gundjaev (nome civile di Cirillo) è meno banale di quanto di pensi. Figlio e nipote di preti che hanno conosciuto i gulag staliniani, Cirillo è prete a 22 anni dopo solo tre anni nel seminario di Leningrado. A 25 anni è rappresentante del patriarca di Mosca al Concilio ecumenico delle Chiese. Scopre l’Occidente e coltiva le passioni sportive (come quella per lo sci) e delle macchine di grossa cilindrata. È un informatore dei servizi segreti. Di orientamento liberale, traduce in russo alcune opere di Rahner e von Balthasar.
Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica rientra e, dopo un breve soggiorno a Smolensk per dissapori con il direttore del KGB, Pavolov, torna a Mosca e presiede il dipartimento delle relazioni estere del patriarcato.
Le stagioni di Cirillo
È patriarca di Mosca dal 2009 e la sua elaborazione del «mondo russo» (cf. SettimanaNews, qui), cioè la responsabilità pastorale di Mosca su tutti i territori ex Unione Sovietica, sposa le attese imperiali di Putin. Gli anni successivi si possono distinguere in tre stagioni.
Nella prima, di stampo liberale, acconsente allo sviluppo di elementi democratici, all’apertura ecumenica, al dialogo teologico con la tradizione occidentale. Poi, in parallelo allo sviluppo della politica putiniana, chiude progressivamente gli spazi di libertà e guida in modo poco sinodale la sua Chiesa, arricchendola di soldi, di edifici, di rilievo istituzionale. Largamente favorito da Putin.
Con lo scisma dell’autocefalia ucraina (Bartolomeo-Epifanio) e la sorprendente resistenza della Chiesa filorussa arriva a pensarsi come l’insieme dell’Ortodossia, come una Chiesa universale. Si apre all’intera Africa, allo spazio asiatico (Cina e Giappone) e manda i suoi preti in Turchia e Grecia, tenendosi legati i patriarchi d’Oriente con i proventi dei pellegrinaggi russi e la tutela politica dello zar.
Va segnalata una singolare divagazione del suo collaboratore, Hilarion Alfeyev (suo successore alla guida del dipartimento per le relazioni estere), che in un dialogo televisivo ha affrontato la memoria discussa di Gregory Rasputin (1869-1916). Figura inquietante di starez alla corte imperiale, influentissimo sulla moglie dello zar, ucciso in una congiura di palazzo.
A giudizio di Hilarion «molti dei consigli che Rasputin diede allo zar erano corretti. Lo zar molto spesso non ascoltava questi consigli; forse, se li avesse ascoltati, il destino della Russia sarebbe andato diversamente». Allude, in particolare, al suo parere di non entrare in guerra.
Il nuovo «Holodomor»
Un mese di guerra sta cambiando radicalmente il clima sociale del paese ucraino. «Se la storia ha potuto contribuire a forgiare un’esperienza comune fra i due paesi (Russia e Ucraina), il presente sta dividendo ucraini e russi per sempre. La favola dei Vladimir Putin di un unico popolo, con le azioni belliche successive, ha reso assurde le sue asserzioni. La memoria storica degli ucraini sta cambiando. Quelli che condividevano l’idea di un attraversamento comune delle prove del passato tendono ora a percepire le relazioni in senso opposto: la resistenza ucraina contro l’oppressione russa» (V. Kulyk).
Non è casuale che l’attuale guerra sia additata come un nuovo Holodomor (la grande carestia degli anni Trenta, provocata da Stalin per piegare i kulaki, contadini ucraini). Sta montando un odio profondo verso il popolo russo. Le molte famiglie che hanno membri sui due fronti non si parlano più. I legami si sono spezzati.
Nell’auspicata ricostruzione futura il compito delle fedi e delle Chiese sarà enorme.
Uniti nella sinfonia e nella cacofonia…
Via uno via l’altro.