Tutti ci stiamo domandando cosa fare per difendere l’Ucraina, ignobilmente aggredita. Se ci imbattiamo in una persona – si dice – che sta subendo la violenza di un aggressore armato, è dovere di coscienza difenderla e, chi possiede un’arma, ha il diritto di sparare e di uccidere, mentre anche altri che possa farlo ha il dovere di intervenire.
La guerra è diversa
È vero, ma non è vero che il conflitto fra le nazioni con i loro eserciti sia la stessa cosa. Nella difesa armata di una o più persone, la potenziale vittima della difesa armata è l’aggressore. Nella guerra, invece, muoiono a migliaia, a decine di migliaia, a centinaia di migliaia, persone innocenti, compresi i vecchi, gli inabili, i bambini, i disarmati.
Fra i Russi non moriranno, né i deputati della Duma, né i ministri, né Putin, ma i figli della povera gente, i coscritti spediti al macello in Ucraina. Fra gli Ucraini muoiono non solo i combattenti ingaggianti nella guerra di difesa ma i cittadini inermi e, fra di loro, anche cittadini dissenzienti rispetto alle decisioni del loro governo.
Vorrei che qualcuno mi spiegasse come si possono giustificare moralmente queste uccisioni in massa di innocenti, la distruzione delle loro case e la riduzione in miseria delle famiglie. È ben difficile dissentire da quanto dice papa Francesco: «C’è bisogno di ripudiare la guerra, luogo di morte dove padri e madri seppelliscono i figli, dove uomini uccidono i loro fratelli senza averli nemmeno visti, dove i potenti decidono e i poveri muoiono».
Domande aperte
Resta la domanda: ci può essere una ragione per non dover ripudiare la guerra radicalmente e assicurarne la moralità nel caso della guerra di legittima difesa?
Si dirà: «Sì, per salvare l’indipendenza, la libertà e la democrazia della nazione». Non si può ignorare, però, che lo strumento della guerra non garantisce il raggiungimento dello scopo: è solo un tentativo di salvaguardare valori che si reputano irrinunciabili.
Può essere moralmente accettabile prolungare la guerra senza la certezza della vittoria? È delinquenziale uccidere in massa e distruggere a tappeto, perché, forse, così facendo, si salveranno dei valori superiori.
Fra l’altro, se accadrà, ne godranno altri, i sopravvissuti, non i morti ammazzati che non hanno mai dichiarato di essere eroicamente disposti a sacrificarsi per la causa. Per loro si costruiranno monumenti, si conieranno medaglie, si renderanno onori che essi mai avrebbero voluto. Si costruiranno altari della patria, riconoscendo che li abbiamo immolati, vittime innocenti e ignare, per salvare la nostra indipendenza, la nostra libertà, la nostra democrazia.
Qui si innesca la problematica della responsabilità di noi, popoli e nazioni che godiamo l’inestimabile dono della pace e della libertà. Aiutare l’Ucraina è un gravissimo dovere, ma come?
Lo stiamo adempiendo cercando di fermare l’aggressione della Russia con le sanzioni. Lo stanno adempiendo coloro che affrontano disagi e pericoli per portare il loro aiuto, coloro che stanno operando per l’accoglienza dei profughi, i governi e le istituzioni pubbliche che finanziano l’impresa.
La questione delle armi
Detto questo resta la domanda cruciale: aiutiamo davvero l’Ucraina mandando le armi? O allunghiamo la sua agonia? Lo facciamo per gli Ucraini o per salvare noi stessi, dissuadendo la Russia da ulteriori prevaricazioni? Le domande si accavallano, ma nessuna di esse può essere elusa.
È lecito moralmente sostenere la guerra di difesa armata, anche per un tempo indeterminato? anche nella previsione di mesi, di anni di stragi e rovine? Ci diranno grazie per aver regalato ai loro soldati le armi coloro che saranno morti a causa del prolungarsi della guerra, gli orfani che verranno, le madri che da oggi in avanti avranno perduto i figli, coloro che avranno perduto la loro casa, coloro che avranno visto lacerati i loro affetti, sgretolati i loro progetti, distrutti i loro sogni?
Questo, sempre che si pervenga davvero un giorno o l’altro alla vittoria dell’Ucraina e alla pace, un successo tutt’altro che assicurato. A ricordare le tante guerre combattute negli ultimi decenni non è facile trovarne una che si sia conclusa con una netta vittoria di una parte o dell’altra, dal Vietnam e la Corea ai Balcani e alla Siria, dalla Somalia allo Yemen. Senza dover ricordare la vergognosa sconfitta dei Russi dopo dieci anni di guerra in Afghanistan e quella degli Americani dopo altri vent’anni di combattimenti e di stragi.
Una spirale perversa
Infine, in questi ultimi giorni, la spinta al potenziamento degli armamenti in vista di prevedibili conflitti futuri. È la triste e cupa rinuncia all’invenzione di strategie nuove nell’affrontamento dei conflitti e il disperato ripiegamento sulle vecchie politiche che hanno disseminato di tragedie tutta la storia.
Noi ci si doterà di altri cacciabombardieri, lo faranno anche i nostri potenziali avversari e si rimette in moto una spirale che servirà solo a impoverire ancor di più i poveri e ad arricchire i produttori e i mercanti di armi.
È vero che l’Italia ha un dovere di fedeltà agli orientamenti dell’Unione europea e al patto di alleanza della NATO. Questo, però, non basta per esonerare i nostri governanti e i parlamentari dal porre ulteriori interrogativi alla loro coscienza.
Pacta sunt servanda, ma non al punto che le conseguenze dell’osservanza del patto non debbano essere sottoposte, una per una, al giudizio insostituibile della coscienza di ciascuno.
- L’articolo viene pubblicato anche sul blog Il Sismografo.
Così come si sono valutate le conseguenza di una difesa armata all’esercito invasore, andrebbero valutate le conseguenze di una resa incondizionata, perché di questo si tratta, unica possibile oggi rinunciando alla difesa armata.
L’aggressore sarebbe incoraggiato, come lo é stato dalla mancanza di reazioni nelle occupazioni precedenti. E mi chiedo che bisignerebbe fare alla successiva invasione armata che, dopo l’incoraggiamento, non tarderebbe? Continuare a lasciar perdere, immagino.
E se reagissimo alla decima invasione, perché dovremmo farlo visto le rinunce precedenti?
Possimo consentire ed é moralmente giusto che il mondo intero viva schiavo di un despota armato?
La minaccia nucleare è un problema reale, specialmente nell’illusione che possa essere limitata ad armi tattiche. E’ vero, però, che nessuno ha interesse reale ad attuarla. Ogni risposta deve essere, quindi, bilanciata in modo da lasciare al nucleare la funzione di deterrenza in caso di aggressione senza che sia un lasciapassare per attuare soprusi.
Frequento da anni alcuni ucraini.
Da sempre hanno paura di Putin e della sua martellante propaganda pro “Madre Russia” e contro l’Occidente.
Hanno vissuto il dramma della Cecenia con la consapevolezza che poi sarebbe toccato a loro.
Parlando anche la lingua russa, avevano infatti la possibilità di ascoltare le notizie fuorvianti sistematicamente diffuse in Russia.
Ho anche assistito a brusche interruzioni di amicizie con russi e ucraini “pro Putin” dopo aspri scontri verbali.
Gli ucraini pensano che l’Europa stia ancora dormendo e che non riesca a capire che quello che sta succedendo all’Ucraina è un rischio che anche l’Europa può seriamente correre.
Diverso invece è come si stanno concretamente attivando la Polonia, le Repubbliche Baltiche, la Georgia e addirittura la Bielorussia (che ha il governo “pro Putin” e la popolazione “pro Ucraina”).
Quindi il lavaggio del cervello della propaganda nazionale in Russia è un grosso problema: a forza di sentir parlar male dell’Ucraina la maggioranza dei russi è convinta che questo paese deve scomparire.
Addirittura anche il Patriarca ortodosso Kirill continua a giustificare questa guerra ingiusta e per giunta fratricida.
Per gli ucraini sarà sempre più difficile accettare un compromesso con la Russia e continuano ad andare volontariamente ad arruolarsi per difendere la loro libertà!
Purtroppo però la Russia tiene tutti in scacco con la minaccia nucleare!