Tre anni dopo la concessione dell’autocefalia alla Chiesa d’Ucraina da parte del Patriarcato Ecumenico e gli sviluppi che nel frattempo hanno avuto luogo (la reazione del Patriarcato di Mosca con l’interruzione della comunione eucaristica con il Patriarcato Ecumenico e con le Chiese che hanno riconosciuto l’autocefalia ucraina, l’istituzione di un Esarcato russo nel territorio del Patriarcato di Alessandria, i vari appelli a un nuovo concilio panortodosso) è venuta la guerra in Ucraina.
Questa guerra ci ricorda drammaticamente non solo il ruolo dell’Ortodossia nel panorama geopolitico internazionale o il rapporto tra Chiesa e programmi politici (si veda la condanna della teoria del «mondo russo» da parte della comunità ortodossa internazionale), ma più precisamente le relazioni tra le Chiese Ortodosse in Ucraina, dove attualmente vi è un conflitto bellico tra paesi di estrazione ortodossa in quella che è la comune culla spirituale del cristianesimo russo-ucraino.
La guerra ci concede quindi l’opportunità di qualche riflessione, nel pieno rispetto per le vittime, i feriti e i rifugiati, sul futuro dell’Ortodossia in Ucraina e in generale.
Alcune considerazioni
Per prima cosa, quanto alla situazione in Ucraina crediamo di poter affermare che:
- La concessione dell’autocefalia non è la conferma di divisioni esistenti, ma il tentativo di sanare le varie lacerazioni e, unitamente a ciò, un appello ad una più forte comunione tra una Chiesa particolare e il resto del mondo cristiano. Detto in altre parole, l’autocefalia non è il diritto concesso ad una Chiesa particolare di separarsi dalle altre, ma il dovere di entrare in comunione con tutta la Chiesa sparsa nel mondo.
- L’autocefalia non si «distribuisce» in base alla provenienza nazionale (ucraina, russa, serba, greca ecc.), ma indica l’obbligo di convertirsi a un modo di esistere ecclesiale (che è un modo post-nazionale), in cui tutti i battezzati in Cristo di un determinato luogo sono uniti nella stessa Cena e guidati dagli stessi pastori.
- Dal punto di vista ecclesiologico e canonico, l’autocefalia ucraina aveva l’ambizione di unire le comunità divise (una situazione riguardante milioni di fedeli) e non di dividere coloro che sono già uniti (come, purtroppo, è accaduto con l’istituzione dell’Esarcato africano russo).
- L’autocefalia è un cammino verso l’unità e perciò un costante evento sinodale. L’unità può essere raggiunta attraverso gli organi sinodali delle due Chiese (quella Autocefala e quella che fa capo a Mosca) o attraverso altri organi transitori o anche, come è stato proposto, mediante l’indizione di un nuovo Sinodo d’unificazione.
- Infine, l’autocefalia ucraina è un invito ecumenico, un percorso di riconciliazione e di pacificazione tra gli ortodossi e gli ucraini in comunione con la Chiesa di Roma, anch’essi vittime della guerra. Da terra di divisione tra Est e Ovest l’Ucraina può diventare un cantiere di unità.
La Chiesa russa, la guerra e l’unità ortodossa
Crediamo di poter dire che il percorso dell’Ortodossia ucraina dopo la guerra non debba essere altro di quello della convergenza dei pastori e dei fedeli verso la comune confessione in Cristo, lontano da leadership che, in nome di Dio, impongono i loro programmi con mezzi estranei alla Chiesa e per scopi contrari alla fede.
In via verso l’unità, il Patriarcato Ecumenico dovrebbe agire in modo sussidiario e nella misura in cui ci sarà bisogno di rafforzare il cammino di riconciliazione. L’unità degli ucraini è principalmente un’esigenza interna e non un’occasione di imporre dall’esterno il presunto potere di una Chiesa sulle altre.
L’atteggiamento del Patriarcato di Mosca, cioè la non condanna dell’invasione russa, la quasi-giustificazione della guerra, i riferimenti alla «giusta pace», solleva una preoccupazione: è la Chiesa russa oggi in grado di promuovere l’unità tra gli ortodossi oppure no? Il dissenso di molti, dentro e fuori l’Ucraina, verso il Patriarca Cyril ha messo in crisi la credibilità dell’attuale amministrazione del Patriarcato russo.
Correlato alle domande di cui sopra è l’atteggiamento pressoché neutrale di alcune Chiese ortodosse di fronte alla guerra. Ci si può chiedere se si tratta di posizioni prese con cognizione di causa e sensibilità pastorale o dettate da pressioni politiche.
Ci riferiamo, in particolare, alle dichiarazioni dei Patriarcati di Antiochia e di Gerusalemme, che hanno sì indicato la necessità di pregare per la pace senza però condannare apertamente l’invasione russa. In altri casi, invece, le posizioni, come quello della Chiesa serba, sembrano essere motivare da una generale opposizione all’Occidente euroatlantico (posizione reduce dei bombardamenti di Belgrado dalle forze della NATO negli anni Novanta).
Possono però memorie storiche e appartenenze etnoculturali compromettere l’atteggiamento cristiano nei confronti di un evento tanto tragico quanto la guerra?
Rapporti ecumenici in via di ridefinizione
Vi è in molti la perplessità sull’atteggiamento delle altre Chiese cristiane e organismi ecumenici. Si tratta, in questo caso, di valutare la re-impostazione dei rapporti ecumenici e il nesso tra ecumenismo teologico e diplomazia ecclesiastica (quest’ultima tendente a mantenere una non meglio definita neutralità davanti a tutte Chiese o davanti a paesi aggressori e paesi aggrediti).
Il dialogo tra ortodossi e cattolici ha riconosciuto sin dall’inizio l’Ortodossia come una Chiesa con un proprio ordine (in cui spiccano la sinodalità e la primazialità giuridica della Chiesa di Costantinopoli). Dunque, gli interventi ecumenici dovrebbero rispettare l’integrità dell’ecclesiologia ortodossa (anche se attualmente ferita), proprio come gli ortodossi riconoscono l’unità del cattolicesimo nella persona del vescovo di Roma.
Se la diplomazia ecclesiastica ignora l’ecclesiologia, allora iniziative diplomatiche o «di mediazione», anche se promosse con scopi genuini e nobili, rischiano di creare più problemi di quelli già esistenti non soltanto tra gli Ortodossi ma anche tra Ortodossi e i partner ecumenici.
Qualsiasi dovesse essere la posizione dell’Ortodossia ucraina dopo la guerra, si dovrebbe, a nostro avviso, evitare di giustificare l’emergere di un neonazionalismo ucraino, l’affermazione della russofobia o la ghettizzazione di una o più Chiese. L’Ortodossia dovrebbe procedere sulla base di ciò che è: l’«Una» Chiesa di Cristo, una Chiesa purificata da quegli elementi, oramai visibili a tutti, che hanno portato alla proiezione aggressiva di idee e pratiche estranee al vangelo.
Sono queste alcune domande preliminari che riguardano la comunità ecclesiastica internazionale. Pensiamo che qualunque sia l’esito della guerra – che, si spera, finisca quanto prima e con il minor costo possibile – alcune Chiese, con le loro azioni, dichiarazioni o silenzio, hanno rivelato il tragico fallimento di un modello di politica religiosa fatto da narrazioni etno-religiose usate per dimostrare che l’unità dei cristiani può essere raggiunta con mezzi geopolitici o persino con visioni manichee della storia (la Santa Ortodossia contro l’Occidente secolarizzato).
Tali visioni o altre simili promosse in passato (l’ellenizzazione dell’Ortodossia, la Grande Serbia, la Grande Bulgaria ecc.) sono state prontamente condannate come un’eresia che non osserva la tradizione apostolica che tutti, almeno in teoria, dicono di voler onorare.
Nel primo millennio la chiesa intera era retta dall’equilibrio instabile trale cinque sedi più importanti, Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, e Gerusalemme (Pentarchia), che non avevano una identificazione nazionalistica. Nel secondo millennio l’ identificazione nazionalistica nel mondo ortosso è diventata sempre marcata. Cosa può fare la Chiesa cattolica? La Chiesa cattolica può aiutare le chiese ortodosse di uscire dall’ identificazione nazionalistica ad essere veramente cattoliche cioè universali. Ma la chiesa cattolica deve imparare dalle chiese ortodosse una sinodalità concreta e non più teorizzata.
La sinodalità degli orientali separati è bella a parole, ma nei fatti è un grande boh, perché non tutte le Chiese locali hanno la stessa forza e quindi spesso ricadono nella sfera di influenza di una Chiesa più grande (Mosca) o più ricca (Costantinopoli). E comunque la pentarchia è una bella leggenda, ma nella realtà è al massimo esistita per tempi brevi.
Il Documento di Chieti sul “Primato e sinodalità del primo millennio” del 2016 può illuminare sulla situazione della Chiesa di quel periodo. Tale documento è stato firmato dalla Chiesa cattolica e da tutte le Chiese ortodosse tranne la Chiesa ortodossa georgiana, quindi si è giunti finalmente ad una memoria condivisa. Il Documento di Chieti del 2016 è un punto fodamentale nel cammino ecumenico. La sinodalità non è una idea estemporanea di qualche teologo estroverso, ma è la dimensione costitutiva della Chiesa. Se non capiamo ciò è perchè non comtempliamo e non preghiamo a sufficienza la Santissima Trinità. Entrare nel mistero del Dio-Trinità ci fa entrare nel mistero della Chiesa.