Il resoconto di Francesco Strazzari sulle recenti elezione politiche che hanno confermato al potere, in Ungheria, il presidente uscente Viktor Orbán, giunge direttamente da Budapest. Esso tiene conto di pareri qualificati, anche di ambito ecclesiastico, che aiutano a capire perché è stato così ampiamente premiato il partito Fidesz-KDNP (Unione civica ungherese-Partito Popolare Cristiano Democratico).
Le elezioni parlamentari in Ungheria (superficie 93.024 kmq, popolazione 9.973772 abitanti) si sono tenute domenica 3 aprile. Orbán ha ottenuto il suo quinto mandato come primo ministro, il quarto consecutivo. È sulla scena politica dal 2010.
La sua vittoria non era affatto scontata perché, per la prima volta, l’opposizione aveva con fatica trovato un leader nel conservatore Péter Marki-Zay, cattolico, economista, padre di sette figli, il vero sfidante di Orbán dal 2006. Ha ottenuto solo il 35% dei voti.
Ora, in Ungheria, soprattutto a Budapest, è il tempo della riflessione. Orbán ha vinto per diversi fattori. Ne ho colti alcuni, i principali.
- Prima di tutto, la guerra ucraina. I partiti dell’opposizione dicevano ripetutamente che dovrebbe aumentare le sanzioni, mandare armi in Ucraina. Netta l’opposizione di Orbán. Si è schierato contro la guerra e si è posto dalla parte dei cittadini nettamente contrari. Sosteneva che va trovata ogni strada per arrivare alla pace e non avere il Pase coinvolto in una guerra.
- Vanno considerati i tanti risultati del governo di Orbán nell’ultimo decennio: non c’è disoccupazione, l’economia gode di un periodo florido, il PIL è cresciuto del 6% nonostante la pandemia… A questo guarda la popolazione, passando sopra alla limitazione della libertà di stampa, alla riforma del sistema giudiziario, alle posizioni discriminatorie nei confronti dei gay, le minoranze musulmane, rom ed ebrei, all’introduzione di leggi contro l’accoglienza dei migranti, paventandone l’“invasione”. La gente vive abbastanza bene, i salari sono di fatto aumentati.
- I partiti dell’opposizione hanno messo in pedi una coalizione di sei partiti differenti: dagli ex comunisti ai liberali, dai verdi all’estrema destra. Una colazione che non aveva nessun serio programma, solo la cacciata di Orbán.
- Va messo in luce – nonostante le ombre – che i tanti programmi del governo Orbán piacciono alla popolazione: l’appoggio alla famiglia, il rifiuto del movimento LGBTQ, il rapporto con gli ungheresi che vivono in Transilvania, in Slovacchia e altrove, che ricevono molto denaro, la collaborazione con le Chiese, soprattutto la cattolica, che ne riceve molto e che investe soprattutto nella costruzione di chiese, nella ristrutturazione di seminari e di altri edifici e nelle scuole da essa gestite, nello stipendio dei preti.
- Il candidato primo ministro non era una persona simpatica, né convincente, né competente. Si esprimeva in modo confuso, al contrario di Orbán, al quale va dato atto di essere un leader forte e determinato. Al Paese piace, in un mondo instabile, una personalità sicura.
- Va osservato che i partiti di sinistra parlano spesso contro la Chiesa, le sue istituzioni, soprattutto le scuole cattoliche. Emerge la sensazione che anche i cattolici e i protestanti abbiano votato per Fidesz-KDNP (Unione civica ungherese-Partito Popolare Cristiano Democratico), di ispirazione conservatrice.
La Conferenza episcopale non si era espressa con una lettera pastorale dando indicazioni di voto.
Domenica sera, Orbán non ha avuto peli sulla lingua. Ha ribadito i punti “caldi” della sua campagna elettorale e del suo futuro programma. Ha fatto una rassegna degli avversari, una lista che comprende la “sinistra internazionale”, i “burocrati di Bruxelles”, il finanziere e filantropo ebreo George Soros e anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Pur essendo vicino al presidente russo Vladimir Putin, lodato pubblicamente in varie occasioni, vi si era discostato. Una strategia che ha indubbiamente funzionato.