I giorni del Triduo sono segnati da assenze, alcune dolorose altre che aprono alla libertà della fede. Tutte annunciano una mancanza che non può essere colmata – neanche da Dio, perché è quella che tiene in vita il nostro desiderio che nessuna realtà potrà mai riempire o saziare.
Pasqua è l’annuncio cristiano del fatto che il reale, così come esso si dà nella nostra esperienza quotidiana, non ha l’ultima parola sulle nostre vite e sul nostro desiderio di una esistenza riuscita – definitivamente riuscita. Un annuncio, però, che non passa oltre la realtà del nostro vivere, ma se ne fa carico, lo custodisce e lo trasforma.
Tutti i frammenti della nostra quotidianità vengono raccolti, amati, riconciliati fra loro. Un lavoro, questo, che la realtà del vivere e la vita non sono in grado di fare. Lavoro che, però, la dedizione del Dio di Gesù desidera fare fin dal principio dei giorni. Ed è da questo tempo immemorabile che Dio opera affinché le nostre esistenze possano giungere alla loro desiderata riuscita – che niente e nessuno può corrodore o corrompere.
Nel giorno di Pasqua un’esistenza umana, vissuta nel segno di una dedizione che non conosce confini, viene ad abitare per sempre l’intimità del mistero di Dio – e la trasforma in maniera indicibile. Proprio perché Pasqua è l’evento di questa trasformazione intima di Dio, essa può essere anche la speranza che vince la pretesa del reale di essere tutto e che nulla è possibile al di fuori di esso. E lo fa, appunto, ospitandolo in sé e coinvolgendolo nella inenarrabile trasformazione che Dio vive nella risurrezione di Gesù – il Figlio amato da sempre, primo tra molti fratelli e sorelle nel corpo di carne.
Morì e fu sepolto; discese agli inferi… (Simbolo Apostolico).
Imparare il silenzio, l’assenza di ogni parola. Quello che non si può dire, lo si può sentire nel corpo e nell’animo. L’indicibile scritto nella nostra carne.