Arriverà anche il dopo. L’insensata esplosione della guerra e le sue infinite sofferenze e disumanità saranno alle spalle. Con lo sguardo del “dopo” due episodi marginali acquisteranno il sapore evangelico della profezia.
A un paio di settimana dall’aggressione russa (24 febbraio) il metropolita Onufrio, figura apicale della Chiesa ortodossa filo-russa in Ucraina ha detto: «La nostra santa Chiesa ortodossa ucraina ha sempre insegnato, auspicato e predicato l’amore fra i popoli. Abbiamo soprattutto augurato la pace e l’armonia fra russi e ucraini. Vorremmo che questi popoli vivessero in buon vicinato, nel rispetto reciproco, nella pazienza e nell’amore. Siamo stati e siamo ancora insultati per questo, trattati con ogni sorta di insulti e di espressioni oscene. Ma non ne teniamo conto. Ancora oggi desideriamo che il popolo russo e il popolo ucraino vivano insieme, in pace».
In occasione della via crucis del venerdì santo (15 aprile) celebrata al Colosseo a Roma, la tredicesima stazione ha visto due donne, una russa e una ucraina, portare la stessa croce mentre papa Francesco si copriva il volto con le mani per una preghiera più intensa. Iniziativa profondamente avversata dalle autorità e dai credenti, anche cattolici, del paese invaso perché poteva equiparare le responsabilità dei due poteri e dei due popoli e poteva suonare come un’esortazione moralistica.
Su questa pagine don Severino Dianich ha scritto: «Non giudico i cristiani ucraini schiacciati sotto le bombe dei russi, di cui capisco perfettamente il turbamento di fronte al precetto evangelico dell’amore, da sostituire al precetto antico “amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico “ (Mt 5,43). Ma pretendere che a Roma alcuni cristiani russi e alcuni cristiani ucraini, incolpevoli gli uni e gli altri, non debbano pregare insieme è un’ulteriore follia, che si aggiunge alla follia della guerra».
Il ridisegno delle Chiese in Ucraina
Quali saranno i possibili cambiamenti fra le Chiese ucraine? Tre le Chiese maggiori; quella ortodossa filo-russa che fa riferimento al metropolita Onufrio, la Chiesa autocefala, di obbedienza costantinopolitana, che si riferisce al metropolita Epifanio, e la Chiesa cattolica (nel duplice rito, latino e bizantino). Ve ne sono altre due, molto più piccole: una ortodossa che guidata dall’“autodefinito” patriarca Filarete e le non numerose comunità protestanti.
Un recente documento del Centro di Studi Ecumenici, Missiologici ed Ecologici «Metropolita Panteleimon Papageorgiou» (CEMES) (cf. SettimanaNews, qui) dà per scontato l’allontanamento della Chiesa filo-russa da Mosca e prevede una possibile doppia giurisdizione delle due Chiese ortodosse sotto l’egida del patriarcato di Costantinopoli, in attesa di una possibile unificazione.
Una struttura sinodale, partecipata dai due sinodi attuali, potrebbe traghettare verso l’unione in un contesto in cui la Chiesa cattolica e in particolare quella di rito bizantino rappresenta una forza positiva e non contrappositiva. L’esito ecclesiale della guerra potrebbe costituire un’opportunità di esemplare convivenza e di collaborazione delle Chiese cristiane.
Un altro “sogno” coltivato in particolare dalla Chiesa cattolica di rito bizantino va oltre: verso un unico patriarcato ucraino che accoglierebbe tutte le Chiese cristiane permettendo a quella cattolica il legame fondamentale con Roma. Il patriarca, eletto dal sinodo, potrebbe essere sia ortodosso che cattolico. Un’ipotesi futuristica che farebbe del cristianesimo ucraino un avamposto dell’unità delle Chiese.
La distanza difficilmente sormontabile fra Chiesa filo-russa e patriarcato di Mosca è annunciata dalla condanna alla guerra e, prima, all’occupazione della Crimea, da parte di Onufrio, dall’ampio rifiuto di molte comunità e diocesi di commemorare Cirillo di Mosca nell’azione liturgica, dal documento di 400 preti che chiedono un’esplicita condanna di Cirillo da parte del Concilio dei patriarchi d’Oriente (Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli) e una sua riconduzione a semplice monaco, come è avvenuto nel 1666 al patriarca di Mosca, Nikon.
«Affermiamo chiaramente che è impossibile per noi continuare a permanere in qualsiasi forma di subordinazione canonica al patriarcato di Mosca». Essi chiedono un’esplicita condanna dell’aggressione russa, una richiesta a Putin di fermare la guerra, un giudizio severo alla giustificazione di Cirillo alla guerra e la sua dimissione da patriarca.
Inventare oggi i futuro
In una lunga intervista al sito www.lb.ua, il metropolita Epifanio ha auspicato l’apertura di una dialogo senza condizioni previe fra le Chiese ortodosse. Nessuna volontà di imporre l’adesione alla Chiesa autocefala all’indomani della guerra. Niente tornerà come prima.
«Noi chiediamo l’unità non solo a parole. Siamo pronti a sederci al tavolo delle trattative, per avviare un dialogo sull’unità di tutti nell’unica Chiesa ortodossa autocefala ucraina già riconosciuta». Un processo che è già attivo dal basso, senza chiedere pentimenti o autocritiche. Il concilio di unificazione è già avvenuto nel 2018. Si tratta di implementarlo.
La guerra costituisce un passaggio fondazionale dell’identità ucraina. Le Chiese non possono non tenerne conto. Ambiguità e contraddizioni non mancano. Come nei due disegni di legge in discussione al parlamento che sostanzialmente chiudono ogni spazio di azione alla Chiesa filo-russa. Difesi dai partiti e dallo stesso Epifanio, sono invece contestati dal metropolita Onufrio e dal nunzio vaticano a Kiev.
Chi può dimettere Cirillo?
Sul versante russo il confronto è ancora carsico. A parte la protesta di 300 preti (su 40.000) contro la guerra e le critiche che vengono dai filo-russi ucraini, nessuna voce si è alzata per censurare l’aperto sostegno di Cirillo all’aggressione militare all’Ucraina.
Dopo averla interpretata come lo scontro fra bene e male, l’ha definita una battaglia metafisica fra valori (contro l’Occidente) e a invitato a obbedire alle legittime autorità russe. Il previsto concilio episcopale, l’autorità formale maggiore (in parallelo al concilio locale a cui partecipano anche monaci e laici) che viene convocato ogni quattro anni, è già slittato dallo scorso ottobre a maggio e, ora, da maggio a fine anno.
Lì si dovrebbe aprire una reale discussione sulla discutibile gestione di Cirillo (e Hilarion) che prima rinunciano a partecipare al concilio panortodosso di Creta (2016), poi non riescono a impedire la scissione intraortodossa ucraina e perseguono, d’intesa con il Cremlino, il controllo della Bielorussia, della Moldavia, di alcuni territori della Georgia e dei paesi baltici, fino ad aprire due eparchie in Africa.
Se con la guerra il patriarcato perde Kiev, le 38.000 parrocchie si riducono di 12.000, si estingue una delle fonti più generose di vocazioni monastiche e sacerdotali e si allontanano anche le Chiese più vicine. È successo per la Chiesa georgiana, per quella polacca ed estone.
Restano ancora neutrali: Antiochia, Gerusalemme, Serbia, Bulgaria, Ceco-slovacca. Giovanni di Doubna, vescovo di una delle tre entità ortodosse in Francia, da pochi anni rientrato nell’obbedienza moscovita afferma: «Oggi si registra in russo lo sviluppo di un anti-occidentalismo sfrenato. Il mondo occidentale è considerato depravato. Ma in Russia il consumismo è persino peggiore del nostro. Basta andare a Mosca per constatarlo. Non si giudica solo col bianco e nero. Vi è l’ideologia che la Russia sia perseguitata dall’Europa e dall’Occidente. Ma qui, nessuno è contro la Russia. Siano tutti contro la guerra, ma non contro la Russia». «È un errore della Russia e del patriarcato. Un grave errore di giudizio. Un errore storico monumentale».
Mantenere il dialogo aperto
Ma, se non cade Putin – e non è augurabile una destabilizzazione totale del paese –, difficilmente ci saranno cambiamenti al vertice ecclesiastico a Mosca. Troppi i benefici istituzionali, economici e legislativi conquistati in questi due decenni dalla Chiesa.
Una condizione carica di tensione e di ambiguità che consiglia, come papa Francesco sta facendo in preparazione a un secondo incontro con Cirillo, forse a Gerusalemme, di non chiudere le possibilità di dialogo.
Così come appaiono poco prudenti le spinte a far uscire la Chiesa ortodossa russa dagli organismi direttivi del Consiglio ecumenico delle Chiese. La Chiesa russa ha le forze interne per correggere e modificare la sua rotta.