È caduto nel vuoto l’appello rivolto da papa Francesco, durante l’Angelus della domenica delle Palme, e poi riprodotto su Twitter, in russo e in ucraino: «Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no! Una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente».
Durante la messa aveva detto, con evidente riferimento alle recenti notizie di violenze e di stragi:
«Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi».
Mai come in questi giorni è apparsa chiara l’inattualità del Vangelo. Enzo Bianchi, parlando della guerra in corso, ha scritto che «questa chiara dimostrazione di come i cristiani non siano capaci di dare il messaggio che loro compete, messaggio di fraternità e di pace, risulta un grave fallimento, un’impotenza che dice quanto poco credibile sia diventato il cristianesimo!».
Fallimento o destino del cristianesimo?
In realtà, però, ciò che sta accadendo in Ucraina non manifesta il fallimento del cristianesimo, ma il suo destino. Si può constatare con amarezza l’indifferenza dei contendenti all’accorato appello del pontefice, ma non ci se ne può stupire. È stato così anche in passato. Almeno nel Novecento.
Benedetto XV (1914-1922), eletto papa poche settimane dopo l’inizio del primo conflitto mondiale, nella sua prima enciclica, Ad Beatissimi Apostolorum principis, del novembre 1914, supplicò vanamente i governanti delle nazioni (tra cui la cattolicissima Austria) che facessero tacere le armi. E nella successiva «Nota di pace», indirizzata il primo agosto 1917 ai belligeranti, definì la guerra in corso una «inutile strage». La guerra durò ancora fino al novembre dell’anno dopo.
Anche Pio XII (1939-1958) – proprio all’indomani della sua elezione al pontificato, avvenuta nel marzo del 1939 – cercò disperatamente di fermare lo scoppio della seconda guerra mondiale nel Radiomessaggio del 24 agosto, contenente il famoso appello: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra». Poco prima, papa Pacelli aveva inviato anche un messaggio personale a Hitler, esortandolo a occuparsi del vero benessere spirituale del popolo tedesco.
E quando, infine, la situazione stava precipitando, tentò un’ultima carta proponendo a Germania e Polonia di soprassedere per quindici giorni alle azioni militari, per incontrarsi in una conferenza internazionale di pace. Sappiamo che questi sforzi della Santa Sede furono vani, di fronte alla decisa volontà di Hitler di scatenare la guerra, che infatti cominciò il 1° settembre del 1939.
«Mai più la guerra»
Il pontefice che forse più di ogni altro, dopo il secondo conflitto mondiale, si è messo personalmente in gioco contro la guerra è stato Giovanni Paolo II (1978-2005). Nel 1991, durante la prima guerra del Golfo, in una grande Preghiera per la pace, egli scriveva:
«Dio dei nostri Padri, (…)
Tu hai progetti di pace e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l’orgoglio dei violenti (…)
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l’umanità:
mai più la guerra, avventura senza ritorno,
mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza;
fai cessare questa guerra nel Golfo Persico,
minaccia per le tue creature, in cielo, in terra e in mare. (…)
Mai più la guerra
Amen».
La preghiera seguiva uno sforzo concreto per evitare il conflitto. Nel 1990, alla vigilia dell’inizio dell’operazione «Desert storm», Wojtyla aveva inviato un messaggio sia a Saddam Hussein che a George Bush sr, supplicandoli di avviare negoziati.
Nella lettera al presidente americano scriveva: «Desidero adesso ripetere la mia ferma convinzione che è molto difficile che la guerra porti un’adeguata soluzione ai problemi internazionali e che, anche se una situazione ingiusta potesse essere momentaneamente risolta, le conseguenze che con ogni probabilità deriverebbero dalla guerra sarebbero devastanti e tragiche. Non possiamo illuderci che l’impiego delle armi, e soprattutto degli armamenti altamente sofisticati di oggi, non provochi, oltre alla sofferenza e alla distruzione, nuove e forse peggiori ingiustizie».
Anche nel caso del conflitto dell’ex Jugoslavia Giovanni Paolo II cercò di fare quanto poteva per fermarlo. La guerra del Kosovo era iniziata il 24 marzo 1999 con i bombardamenti NATO. Il 1° aprile il papa inviò a Belgrado il suo «ministro degli esteri», l’arcivescovo Jean-Louis Tauran, latore di un messaggio personale a Milosevic, con la richiesta della cessazione immediata delle operazioni di pulizia etnica nel Kosovo. Nel messaggio si proponeva anche, con l’accordo della NATO, una tregua per la Pasqua ortodossa. Quattro giorni dopo in effetti la tregua venne dichiarata, ma poi la guerra riprese con immutata violenza.
Una terza iniziativa il pontefice l’ha messa in atto in occasione della seconda guerra del Golfo. Quando ormai era tutto pronto per l’offensiva, il 5 marzo 2003, egli inviò il cardinale Pio Laghi a incontrare il presidente George W. Bush jr per chiedergli di rinunziare all’imminente azione militare. Il card. Laghi disse a Bush che, se gli Stati Uniti avessero scatenato la guerra, sarebbero successe tre cose. Primo, il conflitto avrebbe causato un gran numero di vittime. Secondo, esso avrebbe condotto a una guerra civile. E, terzo, gli Stati Uniti sarebbero sì stati in grado di entrare in guerra, ma avrebbero avuto molta difficoltà ad uscirne. Si trattava di una diagnosi profetica, ma Bush fu irremovibile nella sua decisione che, disse, «era convinto che fosse la volontà di Dio».
La solitudine di Francesco e quella di Gesù
Anche ora c’è chi è certo che la guerra sia l’unico modo di fare la volontà di Dio. È il caso del patriarca di Mosca Kirill, che, fin dall’inizio, ha giustificato l’invasione russa dell’Ucraina come una battaglia di civiltà contro la corruzione dei valori da parte dell’Occidente, facendo riferimento in particolare al problema dell’omosessualità, e successivamente ha definito il conflitto scatenato da Putin un esempio di legittima difesa: «Siamo un Paese che ama la pace e non abbiamo alcun desiderio di guerra», ha detto durante la liturgia celebrata nella Cattedrale Patriarcale con le forze armate, «ma amiamo la nostra Patria e saremo pronti a difenderla nel modo in cui solo i russi possono difendere il loro Paese».
In realtà anche i due grandi protagonisti del confronto militare – sia pure a distanza – sembrano sicuri di non rinnegare la propria dichiarata fede cristiana. Non sembra avere dubbi Putin, che pure si professa esplicitamente credente, mentre le sue truppe distruggono e massacrano indiscriminatamente. Né sembra averne il cattolico Biden, che non perde occasione per alimentare il conflitto con le sue dichiarazioni estreme e con una escalation nella fornitura di armi sempre più aggressive agli ucraini.
Papa Francesco è rimasto pateticamente solo, con il suo grido contro la guerra. Come è rimasto solo Gesù, proclamato «re dei Giudei», ma nella burla crudele dei suoi aguzzini, nelle ipocrite parole di Pilato e nella scritta da questi fatta appendere sulla croce.
Se il cristianesimo è fallito, il suo fallimento cominciò in un giorno lontano di circa duemila anni fa. Eppure, proprio nella sua sconfitta, questo messia deriso e umiliato ha potuto costituire nei secoli una testimonianza, per credenti e non credenti, che non solo Dio, ma anche l’umano che è in noi, può sopravvivere alle peggiori violenze. E che la inerme forza dell’amore, alla fine, può continuare a dare senso alla nostra travagliata storia, anche quando sembra che il non-senso abbia prevalso. La settimana santa e la Pasqua sono la memoria di questo.
- Dal sito della pastorale della cultura dell’Arcidiocesi di Palermo (www.tuttavia.org), 14 aprile 2022.