C’è un ricordo che da giorni non mi lascia. Il 10 gennaio 1995 la Comunità di Sant’Egidio presentò il testo di una difficilissima intesa tra le principali forze politiche algerine, comprese quelle laiche e islamiste del Fronte Islamico di Salvezza. Nel 1991 gli algerini avevano votato voltando le spalle a quel Fronte di Liberazione Nazionale che si era trasformato in una macchina militare, accaparratrice, dai forti legami con Mosca. I militari annullarono il voto, imponendo il proprio.
A me parve da subito un errore decisivo. Il regime al potere non accettò quindi un accordo che impegnava tutte le parti in un percorso rispettoso delle fondamentali regole della democrazia. Gran parte del mondo laico e liberale – qui in Occidente e in parte anche ad Algeri – lo avversò. Si disse: “con i fondamentalisti non si parla”. Con i generali evidentemente sì.
Ne rimasi stupito, oltre che addolorato, perché da allora, sempre più, percepii l’affermarsi di un fondamentalismo antifondamentalista. La macchina di potere così procedette sostenendo giunte ed élites vessatorie basate su una propaganda che nascondeva l’accaparramento di ogni ricchezza, istigando il popolo oppresso avverso un “mondo corrotto e da odiare”, l’Occidente. Tutto questo venne tranquillamente accettato dallo stesso Occidente democratico. Fu un disastro umanitario: seguirono stermini, guerra civile, ricorso frequentissimo alla tortura.
Gli opposti estremismi
Questo ricordo porta a galla altri ricordi. Almeno un paio.
Nel 2003 George W. Bush ordinò la scellerata invasione dell’Iraq. Molti proposero qui gli “scudi umani” contro le bombe. Nessuno disse agli iracheni “arrendetevi”, piuttosto dissero agli americani “ritiratevi!”. Le piazze del mondo erano stracolme.
Nel 2015 la Russia è “intervenuta fraternamente” in soccorso del regime di Bashar Al-Assad in Siria, reo di dimostrati e agghiaccianti crimini contro l’umanità e del sistematico accaparramento di ogni bene del Paese. Nessuna piazza si è riempita, nessuno scudo umano si è offerto.
Il solo contrario alla guerra – non capito – fu Francesco. Solo lui si spese contro l’intervento americano paventato nel 2013: ma non per salvare il regime, bensì piuttosto per favorire un circuito virtuoso russo-americano che disarmasse davvero Assad del suo arsenale chimico e avviasse un processo capace di riformare il sistema siriano. Mosca preferì – a me sembra col placet americano – trasformare quel percorso in una nuova invasione, del tutto analoga a quella dell’Iraq di un decennio precedente. La vicenda siriana si è quindi intrecciata, sin dalle origini, con quella ucraina, a modo di altra invasione.
Mi chiedo: cosa lega l’Iraq alla Siria e all’Ucraina? A mio avviso, al principio della sequenza sta la stessa impostazione mentale che ha provocato il disastro algerino, ossia, in particolare, l’illusione che contro il fondamentalismo possa funzionare un altro fondamentalismo antifondamentalista, “laico e liberale”.
L’incubo fondamentalista – quello oggi più vero – è incarnato dal patriarca di Mosca, secondo le cui immagini apocalittiche esiste in terra un solo avamposto del Regno di Dio, col mandato di applicare la legge divina in terra e quindi di combattere, con tutti i mezzi, il “mondo corrotto e da odiare”, l’Occidente.
Questa allucinazione fondamentalista che muove o giustifica l’imperialismo russo possiede la stessa matrice di tanti altri fondamentalisti religiosi: è del tutto analoga a quella dei nazionalisti laici arabi, ieri sostenuti dall’URSS – oggi ancora da Mosca –, nemici giurati del corrotto Occidente. Mentre esiste, d’altro canto, un altro abbaglio fondamentalista che muove o giustifica l’imperialismo degli USA, quale “nazione benedetta da Dio”.
A me, dunque, sembra evidente che gli opposti estremismi hanno semplicemente mascherato, in tutti questi anni, l’esistenza di un solo genere di fondamentalismo imperialista, sebbene di diverse origini e sembianze, con l’attitudine a rappresentarsi con l’immagine antifondamentalista.
Chi mai dice – pure nella sinistra libertaria – che la visione sui diritti civili del vituperato cattolicesimo polacco, alleato del governo, è la stessa dell’avversato patriarcato di Mosca, alleato del suo governo? E chi mai fa notare – a chi oggi vede in Mosca la capitale del vero “mondo corrotto e da odiare” (e possibilmente da distruggere) – che sta facendo lo stesso discorso di Kirill e di Putin?
Siamo alla post-democrazia?
A questo punto è opportuno citare un altro elemento relativo al nostro mondo contemporaneo: la post–democrazia. Siamo dunque entrati nell’epoca post-democratica? Chi lo pensa o lo teme si sente legittimato ad usare le guerre – tutte le guerre – per combattere la sua particolare guerra al sistema post-democratico. La post-democrazia sarebbe dunque quell’invenzione per cui le democrazie occidentali si sarebbero trasformate in tirannidi del capitalismo finanziario. Sostenere quindi i nemici dell’Occidente – a cominciare da Putin – avrebbe come fine, in realtà, combattere una lotta contro la post-democrazia. È su questo punto che singolarmente convergono settori di estrema destra e di estrema sinistra in Europa.
La solitudine in cui è stato cacciato da tutti Francesco – se c’è – sta proprio in questo nodo. Troppi sentimenti di acredine si intrecciano ora nella tragica vicenda dell’Ucraina. A tal punto si mette a nudo un certo pacifismo che dimentica persino la più elementare empatia per le vittime – per le quali, da febbraio, non ha saputo fare altro che chiedere la resa – così come il bellicismo ad oltranza.
Cosa dicono, ad esempio, oggi, i bellicisti dei talebani afghani impossessatisi di armi abbandonate dagli americani per un valore di 7 miliardi di dollari? Entrambe le posizioni sottostimano i tratti dell’aggressore che legittima il neocolonialismo con altre invasioni neocoloniali.
La terza via di Francesco
Francesco è perciò l’unico leader globale che indica la possibilità di una “terza via”. La post-democrazia è un rischio reale, ma solo la democrazia può consentirci di correggere le derive, non la costante scoperta di complotti globali. Il neocolonialismo sussiste, ma non sarà un diverso neocolonialismo a liberarcene.
In definitiva, la terza via di Francesco è tale perché chiede di liberarci da una visione irrimediabilmente dualistica, quella che dipinge il mondo a tratti bianchi e neri riducendo il tutto a due contrapposte rabbie. Non si pensa – giunti a tal punto – agli algerini, agli iracheni, ai siriani o agli ucraini in carne ed ossa, ma solo e soltanto alle proprie ideologie totalizzanti
Io non so francamente se quella che chiamo la “terza via” sia la via del vangelo. Mi sembrerebbe di sì. Ma certo è quella prospettiva che da sola libera dall’impeto del dire: “solo noi abbiamo tutta la verità”!
Da mesi la terza via di Francesco sta in tre parole. All’inizio del conflitto – quando Mosca proibì di parlare di guerra creando l’espressione “operazione militare speciale” – lui disse che questa è guerra. Fissato questo principio, ha spiegato che tipo di guerra fosse e tuttora sia: una guerra di invasione. Chiarito di cosa si stava effettivamente parlando, ha offerto una sola ricetta chiarissima: fermatevi!
Questo imperativo, a tutti facilmente comprensibile, non precisa che debba fermarsi uno soltanto, magari l’aggredito, bensì entrambi: conteneva e contiene una richiesta esplicita all’aggressore e, di conseguenza, anche all’aggredito: fare di tutto per fermare la guerra!
È seguito il gesto profetico del venerdì santo, quello delle due amiche – una ucraina e una russa – con in mano la stessa croce! A differenza di quanto hanno capito alcuni, Francesco non ha certo equiparato le condizioni, ma ha implorato il riconoscimento reciproco, di vita e di dignità. Nel frastuono delle opinioni sempre più radicali, ha indicato la sola strada per affrontare e avviare a soluzione il conflitto: quella delle parole sempre più franche, non delle armi sempre più roboanti.
Il bene delle persone
Il disastro che io vedo ormai all’orizzonte – l’ennesimo – sta nella sete di contrapposizione binaria: l’avvicinamento emotivo del cosiddetto campo pacifista, in opposizione al campo bellicista filoamericano, al campo bellicista filorusso: due campi che rimuovono gli ucraini dalla scena in una rappresentazione puramente ideologica del conflitto, tra due beni e due mali in assoluto.
È evidente che, se non si esce da questa logica dualistica, nessuno potrà più capire dove stia il bene comune dell’umano quello per cui è rimasto in campo, appunto, solo papa Francesco, l’unico che antepone il bene delle persone umane. E se le cose stanno davvero così – ossia se Francesco è davvero lasciato solo – allora vince la logica di Kirill, posto che tutti stiamo trasformando un conflitto chiaramente coloniale in un conflitto ideologico, o, col linguaggio del patriarca russo, “metafisico”.
Il 30 aprile, Francesco non ha parlato di metafisica – bensì di carità – ricevendo un folto gruppo di slovacchi. Ha detto: «In questi mesi tante vostre famiglie, parrocchie e istituzioni hanno ricevuto sotto il loro tetto le mamme con i bambini delle famiglie ucraine costrette a dividersi per mettersi in salvo, arrivati con il loro povero bagaglio. Guardando i loro occhi siete testimoni di come la guerra fa violenza ai legami familiari, priva i figli della presenza del papà, della scuola, e lascia abbandonati i nonni».
Mi chiedo e chiedo: chi è davvero dentro o fuori dalla realtà?