Il combinato disposto fra la guerra della Russia in Ucraina, col sostegno della Chiesa ortodossa di Mosca, e lo scisma intra-ortodosso fra slavi ed ellenici, propaga le onde telluriche anche alle periferie dell’ex Unione Sovietica. Fino in Lituania.
I tre milioni e mezzo di abitanti e i loro politici sono in allarme per il possibile allargamento delle pretese territoriali di Putin. I paesi baltici (Lettonia, Lituania, Estonia) assieme alla Polonia si sentono direttamente minacciati dalle mani russe sul Donbass e, tendenzialmente, su Odessa, la Transnistria (Moldavia) fino all’enclave russa di Kaliningrad a Nord.
Patriottici…
A Vilnius la locale Chiesa ortodossa, di obbedienza russa, raccoglie il 5% della popolazione, circa 120.000 persone. I suoi vescovi denunciano il tentativo di delegittimare la presenza dell’Ortodossia con l’accusa di essere la longa manus di Putin nel paese e di dover contrastare un tentativo di scisma per la volontà di alcuni preti di passare all’obbedienza di Costantinopoli.
Il 17 marzo il metropolita Innocente condanna espressamente l’aggressione russa all’Ucraina: «La posizione della Chiesa ortodossa in Lituania non è cambiata: noi condanniamo fermamente la guerra della Russia contro l’Ucraina e preghiamo Dio per la sua rapida conclusione. Come si vede, il patriarca Cirillo (di Mosca) ed io abbiamo differenti opinioni politiche e percezione degli eventi. Le sue dichiarazioni sulla guerra in Ucraina sono una sua opinione personale. Noi, in Lituania, non siamo d’accordo».
A difesa di una Lituania libera, il metropolita cita l’aperto sostegno del suo predecessore, Crisostomo, all’indipendenza del paese all’indomani della fine dell’Unione Sovietica.
Il 19 aprile il metropolita torna a riaffermare la sua posizione, lamentando i pregiudizi diffusi nell’opinione pubblica. «Falsità di ogni specie sul ruolo della Chiesa ortodossa in Lituania come strumento di altri stati (Russia) sono assurde… L’affermazione secondo cui i preti della Chiesa ortodossa sosterrebbero la guerra, giustificando l’aggressione, è un fraintendimento e non corrisponde alla realtà».
In quest’occasione emerge la denuncia di un tentativo interno di spaccare la Chiesa: «Nel seno della Chiesa ortodossa lituana si è formato un gruppo di chierici che, da lungo tempo, hanno preparato il piano di passaggio al patriarcato di Costantinopoli. Prima in segreto ma adesso apertamente, in relazione con i tragici eventi in Ucraina… Si presentano come eroi, martiri e vittime, mentre sono semplici scismatici, gravemente peccatori di fronte a Dio e alla Chiesa». Tre preti, collaboratori diretti del metropolita sono stati dimessi dai loro incarichi e il conflitto interno è esploso sui media.
Nel dibattito pubblico pesa la guerra e il ricordo del condizionamento sovietico. Il metropolita è indotto a protestare contro la radio e televisione nazionale: «Veniamo accusati di rappresaglie contro preti di indirizzo patriottico, indebitamente licenziati per essersi espressi contro la guerra. Veniamo considerati colpevoli di sostenere il regime di Putin, di approvare l’attacco militare all’Ucraina, di seguire gli ordini di Mosca, di collaborare con i servizi segreti ecc.».
…e subalterni
I sette preti e chierici (su una cinquantina) rispondono a tono: i vescovi hanno limitato il diritto dei preti di non nominare il patriarca Cirillo nelle celebrazioni, hanno imposto di non parlare in pubblico di “guerra” in Ucraina, secondo l’indirizzo di Mosca, hanno dato credito a considerare i massacri in Ucraina come fotoshop, hanno seguito il linguaggio russo anche a proposito della nave colpita nel mar Nero: sommersa in mare, non affondata.
L’intento dei dissidenti non è di procurare lo scisma, ma di cambiare l’obbedienza, da Mosca a Costantinopoli. Un passaggio canonico che non riguarda né la teologia o la liturgia e nemmeno la pastorale. Ricordano che l’Agenzia di Intelligence ucraina ha accusato i vescovi ortodossi lituani di intesa con i servizi segreti russi. Il sindaco di Vilnius li ha incontrati e, nella conferenza stampa successiva, ha ricordato l’antico legame con Costantinopoli, ben prima di quello con Mosca.
I vescovi ortodossi il 30 aprile hanno ritenuto necessario promuovere una processione pubblica (un migliaio di persone) per le vie della capitale per riaffermare l’unità della Chiesa e il suo ruolo pubblico nel paese. Per i dissidenti anche questa scelta ripete i comportamenti della Chiesa ortodossa ucraina filo-russa prima della guerra. A sua volta ripresi dall’iniziativa della Chiesa ortodossa del Montenegro, di obbedienza serba, per opporsi alle forze filo-occidentali.
L’Europa non ci abbandoni
Il conflitto interno è considerato marginale, seppur indicativo, rispetto al grave pericolo per lo stato e la sua libertà davanti alle pretese territoriali di Putin.
Il presidente della Conferenza episcopale cattolica, ora anche presidente del Consiglio delle Chiese cattoliche in Europa (CCEE), lo ha più volte ripetuto: «Ci troviamo in una posizione geografica e storica precaria. Putin ha ribadito la sua opinione: l’impero russo non avrebbe dovuto crollare e afferma di avere un diritto di presenza sui nostri tre stati baltici». Se Mosca occupa l’intera Ucraina, «saremo le prossime vittime, seguite dalla Polonia».
Le tensioni interne, anche religiose, come pure l’uso spregiudicato dei migranti dai confini della Bielorussia sono elementi di una guerra ibrida che è già in atto. E ha auspicato per l’Europa e la Nato il contemporaneo sviluppo di una posizione ferma contro Putin, come anche di una disponibilità al dialogo e al compromesso.