Il 16 maggio il sinodo della Chiesa ortodossa serba apre la via alla soluzione dello scisma dell’Ortodossia della Macedonia del Nord.
In un comunicato ufficiale conferma per l’Ortodossia serba l’apertura, già formulata nel 1959, per uno status canonico di ampia autonomia, «con la piena indipendenza interna». Venute meno le ragioni del dissenso esploso nel 1967, in piena era comunista, «si instaura una piena comunione liturgica e canonica». «Il dialogo sul futuro e sull’eventuale status finale delle diocesi nella Macedonia del Nord non è solo possibile, ma raggiungibile, legittimo e realistico».
Il sinodo non intende porre alcuna condizione restrittiva alla giurisdizione della Chiesa macedone, se non la semplice raccomandazione di risolvere la questione della denominazione d’intesa con le Chiese di Grecia. Un paragrafo sembra prendere di mira l’anticipato riconoscimento di Costantinopoli, attestando che lo statuto definitivo dovrà attenersi alle indicazioni canoniche ed ecclesiologiche e non ad altri stimoli di tipo “geopolitico”.
Dopo cent’anni
La decisione del sinodo è stata presa all’indomani della celebrazione del centenario della fondazione del patriarcato ortodosso serbo, la grande opera di unificazione operata nel 1920 dal reggente Karadjordjevic.
L’unità del regno dei serbi consentì l’unificazione canonica e amministrativa che l’abolizione del patriarcato di Pec nel 1766 aveva distrutta per secoli. Due anni dopo, nel 1922, il patriarcato ebbe il riconoscimento anche da Costantinopoli.
L’attuale decisione del sinodo avvia la soluzione del contenzioso macedone, senza specificare né la forma giuridica definitiva né il futuro del vescovo Giovanni (Vraniškovski) che rappresentava finora la Chiesa ortodossa serba in Macedonia. Con sorprendente (e per alcuni sospetta) tempestività il 9 maggio il sinodo del Patriarcato di Costantinopoli ha offerto la comunione ecclesiale alla Chiesa ortodossa della Macedonia del Nord.
Il comunicato ufficiale afferma di «ricevere nella comunione eucaristica, la gerarchia, il clero e il popolo di questa Chiesa sotto l’autorità dell’arcivescovo Stefano»; di affidare il regolamento delle questioni amministrative nel dialogo diretto con la Chiesa di Serbia; di riconoscere come titolo ufficiale «la Chiesa d’Ohrid» (antica sede metropolitana), escludendo l’uso del termine “macedone” o “Macedonia”.
Il riconoscimento di Costantinopoli arriva a pochi giorni dall’incontro riservato fra delegazione serba (con il patriarca Porfirio) e la gerarchia macedone a Skopje che ha messo le basi per l’intesa.
La reazione dell’opinione pubblica serba guidata da un diffuso sentimento nazionalistico e pro-russo è assai positiva, mentre è molto critica dell’anticipato riconoscimento di Costantinopoli. La questione è serba e in Serbia va risolta.
Del resto, è l’opinione del patriarca serbo Porfirio che, in un’intervista l’8 gennaio scorso diceva: «Esprimo la mia personale convinzione che l’unica strada giusta da intraprendere per ottenere una soluzione permanente (allo scisma) sia la strada da Skopje (capitale della Macedonia) a Belgrado, o da Belgrado a Skopje». Nelle parole del gerarca c’è la preoccupazione non solo di contenere le pretese di Bartolomeo I di Costantinopoli, ma anche di relativizzare la tutela ingombrante di Mosca.
La tensione slavo-ellenica resta
La Macedonia, una delle sei ex repubbliche della federazione iugoslava di Tito, è arrivata all’indipendenza nel 1991. Risparmiata dalla guerra civile del 1992, è candidata all’entrata nell’Unione Europea dal 2005 e appartiene alla Nato dal 2017. Ha risolto i conflitti geografici con la Bulgaria nel 2017 e, nel 2019, ha appianato il contenzioso con la Grecia, accettando di qualificarsi come Repubblica della Macedonia del Nord.
Dal punto di vista ecclesiale, la sua autonomia conflittiva data dal 1967. Rappresenta un milione mezzo dei 2.400.000 abitanti. Nel 2002 la soluzione dello scisma sembrava a portata di mano col riconoscimento di un’ampia autonomia da parte della Chiesa serba. Ma, nonostante la mediazione di Bartolomeo I, non si arrivò alla conclusione per le pressioni contrarie della politica locale.
I dialoghi con Costantinopoli sono continuati. Il potere politico ha capito l’importanza di risolvere lo scisma per facilitare i rapporti internazionali del piccolo stato. Nel 2017 la Chiesa locale ha cercato di ottenere l’autocefalia legandosi alla Chiesa bulgara. Nel 2019 si sono riaperti i dialoghi con Belgrado. Nel frattempo è continuata la pressione su Costantinopoli sempre in ordine alla richiesta di autocefalia (cf. Macedonia verso l’autocefalia, qui; Macedonia: scisma e autocefalia, qui).
L’annuncio della rinnovata comunione ha avuto l’apprezzamento del sinodo della Chiesa macedone e il pieno appoggio del governo locale di Dimitar Kovacheski. Non si hanno ancora reazioni ufficiali da parte della Chiesa greca che non vuole l’indicazione di Chiesa “macedone” per la Chiesa confinante, essendo la Macedonia un’area interna della Grecia. Apprezzamenti per la Chiesa serba, ma dure critiche al riconoscimento di Costantinopoli sono arrivate dalla Chiesa bulgara e dalla Chiesa russa.
La Chiesa bulgara che, nel 2017, aveva inizialmente accettato di riconoscere l’autocefalia macedone e poi ha fatto marcia indietro, non è disposta a concedere a Costantinopoli la parola definitiva circa l’autocefalia. Il metropolita Gabriel i Lovetch ha affermato che la mossa di Bartolomeo aggraverà i problemi interni all’ortodossia e fa notare che qualificarla come “Chiesa di Ohrid” significa ferire la Chiesa bulgara che ne è l’erede.
Molto più dure le reazioni russe. Leonide di Klin, nuovo eparca delle diocesi ortodosse russe in Africa, I. Yakimtchouk, segretario del dipartimento per le relazioni estere del patriarcato moscovita, e N. Balashov, vice-presidente dello stesso dipartimento, parlano di grossolana intrusione anticanonica e politicamente connotata da parte di Costantinopoli.
Ma il fatto che il metropolita Stefano della Chiesa macedone abbia accettato volentieri di celebrare con Bartolomeo la Pentecoste al Fanar (12 giugno prossimo) dice dell’interesse sia ecclesiale che politico da parte della Macedonia di tenere vive le relazioni con Costantinopoli.