La complementarietà tra diaconi e presbiteri è un tema di cui in genere si parla e si scrive poco, anche se ci sono stati in varie occasioni importanti interventi della teologa Serena Noceti e un libro scritto dal mio confratello Luca Garbinetto Preti e diaconi insieme, pubblicato dalle EDB nel 2018, in riferimento all’esperienza della nostra Congregazione religiosa Pia Società San Gaetano di Vicenza formata da presbiteri e diaconi.
A cura di Luca Garbinetto e di Serena Noceti è uscito anche un libro Diaconato e Diaconia, sempre delle EDB nel 2018, che contiene un dialogo teologico promosso da un’équipe che faceva capo alla mia congregazione sul tema “Preti e diaconi insieme: aspetti teologico-pastorali”, con interventi di Alphonse Borras, Erio Castellucci, Serena Noceti, Enzo Petrolino, Andrea Grillo.
A partire dal Vaticano II
Il mio apporto, che riprende una lezione che mi è stata richiesta per un corso online organizzato per l’America Latina, nasce da questo ambito di riflessioni con una sottolineatura personale sull’urgenza di pensare il ministero ordinato nella sua interezza come intreccio di relazioni tra vescovo, presbiteri e diaconi.
C’è da dire che il tema della complementarietà tra presbiteri e diaconi ha potuto acquisire una certa rilevanza teologica solo dopo il Concilio Vaticano II, che ha re-istituito il diaconato come grado permanente, riportandolo alla tradizione dei primi secoli, considerati i secoli d’oro del diaconato.
Dopo quell’epoca c’era stata una fase discendente fino a che il diaconato era scomparso come grado permanente, sopravvivendo, per così dire, come grado transitorio, in certo modo inesistente per meritare l’attenzione della teologia e anche della prassi pastorale. Lo stesso si può dire della relazione tra vescovi e diaconi.
È stato il Concilio Vaticano II, nel capitolo III della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, a determinare un sostanziale cambio di prospettiva nelle relazioni tra i tre gradi del sacramento dell’ordine, attraverso due interventi magisteriali assolutamente decisivi per la teologia del ministero ordinato.
Il primo intervento è stato l’affermazione solenne della sacramentalità dell’episcopato, con la quale si è dichiarato che, con la consacrazione episcopale, viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine (LG 21). È stata un’affermazione che si può dire avesse la densità di una definizione dogmatica in un Concilio che intendeva essere di natura totalmente pastorale.
Il secondo intervento è stato appunto la re-istituzione del diaconato «come proprio e permanente grado della gerarchia» (LG 29) e non più solo transitorio.
Con questi due interventi si abbandonava una visione ereditata dal Concilio di Trento in cui ogni figura ministeriale era pensata nella logica di una gerarchia piramidale e ascendente e vi era di fatto un’identificazione tra “ministero” e “sacerdozio”.
Nella visione del Concilio Vaticano II l’episcopato, riscoperto nella sua reale consistenza sacramentale, è definito come «pienezza del sacramento dell’ordine», inteso come realtà sacramentale generativa di ogni identità ministeriale.
In sintesi – come si legge nella Lumen gentium nn. 18-27 – è la consacrazione episcopale che dà fondamento alla ragione teologica dell’esistenza del ministero che, in relazione al ruolo assunto dai Dodici apostoli e dai loro collaboratori, consiste nell’annunciare il Vangelo, nel custodire il deposito della fede apostolica e nel garantire l’unità della Chiesa.
Lumen gentium dice: «… per mezzo di coloro che furono istituiti dagli apostoli… vescovi e loro successori fino a noi, la tradizione apostolica si manifesta e si conserva in tutto il mondo» (LG 20). A ciò si deve aggiungere che i vescovi non svolgono questa missione isolatamente, ciascuno nella propria Chiesa particolare, ma collegialmente come organismo episcopale (LG 22-23).
Inoltre, con la re-istituzione del diaconato come grado permanente, il ministero ordinato è stato ricondotto alla sua antica struttura triadica di vescovo, presbiteri e diaconi, a cui il diacono appartiene senza essere sacerdote.
La Lumen gentium dice: «Il ministero ecclesiastico, di istituzione divina, è esercitato nei vari ordini da coloro che fin dall’antichità (iam ab antiquo) si chiamano vescovi, presbiteri e diaconi» (LG 28). E prima aveva detto: «I vescovi, quindi, hanno ricevuto il ministero della comunità con i loro collaboratori, presbiteri e diaconi» (LG 20).
È molto chiaro che, con questi interventi fondamentali dal punto di vista magisteriale, il ministero ordinato doveva essere ripensato secondo le prospettive aperte dal Concilio Vaticano II, unificate attorno alla categoria della “relazione”: la relazione dei vescovi tra loro e di ogni vescovo con i suoi presbiteri e diaconi.
All’interno di questa categoria relazionale va naturalmente inquadrata anche la relazione di complementarietà tra diaconi e presbiteri, che è l’oggetto specifico di questa riflessione.
Diaconi e preti nella Lumen gentium 29
Per entrare direttamente in questo tema della relazione di complementarietà tra diaconi e presbiteri, è necessario partire dall’affermazione iniziale del numero 29 della Lumen gentium. Il testo dice: «In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il ministero”. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella “diaconia” della liturgia, della parola e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio».
I commentatori del Concilio Vaticano II fanno notare che, nel primo testo presentato al Concilio, il contenuto del numero 29 (dedicato ai diaconi… a quel tempo aveva una numerazione diversa) era legato al contenuto del numero 28 (dedicato ampiamente ai presbiteri). Presbiteri e diaconi erano pensati insieme in stretto e diretto collegamento con l’episcopato, tema centrale del capitolo III della Lumen gentium.
Nel testo finale al diaconato è dedicato un numero a parte, che inizia appunto con l’affermazione che i diaconi ricevono l’imposizione delle mani del vescovo «non per il sacerdozio, ma per il ministero».
È un’affermazione fondamentale per la teologia del diaconato, che segna, da un lato, la comune ragion d’essere dei presbiteri e dei diaconi, ambedue radicati nella pienezza sacramentale del vescovo, che compartecipano con lui alla funzione di annunciare il Vangelo, di custodire l’apostolicità della fede della comunità cristiana e di garantirne l’unità; e dall’altro, evidenzia la particolarità dei diaconi di non essere ordinati al sacerdozio, ma al ministero, cioè di esercitare la loro funzione ministeriale in una forma propria, diversa dalla forma sacerdotale e dalla presidenza liturgica della comunità.
Nella presentazione del numero 29 fatta nell’assemblea conciliare è stata data una spiegazione molto importante di questa affermazione, che ha messo in luce la differenza – e insieme la complementarità – tra diaconi e presbiteri: i diaconi sono ordinati «non a offrire il corpo e il sangue del Signore, ma al servizio della carità nella Chiesa».
Nel sacramento dell’ordine, pertanto, c’è una dimensione ministeriale comune ai tre gradi e una specifica dimensione sacerdotale del presbiterato e dell’episcopato nella presidenza eucaristica, mentre ciò che è specifico del diaconato è il servizio della carità nella Chiesa, che appartiene peraltro anch’esso molto intimamente alla celebrazione eucaristica attraverso il ministero dei diaconi.
L’agire dei diaconi e dei presbiteri a partire dalla celebrazione eucaristica
Nel dialogo teologico, di cui ho parlato sopra, si è fatta una interessante sintesi sulla specificità ministeriale dei diaconi e dei presbiteri e sulla loro complementarietà, interrelazione e unità, in base ai ruoli e ai compiti che la liturgia eucaristica affida agli uni e agli altri.
Innanzitutto, è stato sottolineato il fatto che l’azione liturgica è un paradigma chiave, che con le sue dinamiche comunicative di tipo simbolico-performativo, ispira – e nello stesso tempo modella – la configurazione dei soggetti che compongono l’assemblea e ispira e plasma anche l’interrelazione che c’è tra di loro. Questo è di enorme importanza nella formazione e nella crescita della comunità ecclesiale.
Nell’agire differenziato dei diaconi e dei presbiteri nella liturgia eucaristica si configurano l’identità che li caratterizza e, nello stesso tempo, l’interrelazione, la complementarietà e l’unità che esiste tra loro.
In primo luogo è il diacono che deve annunciare il Vangelo all’assemblea raccolta attorno al vescovo o presbitero che presiede ed è il diacono che introduce la preghiera dei fedeli.
Un secondo movimento del diacono è quello di ricevere le offerte e di consegnarle a chi presiede. C’è anche un “servizio al calice” del diacono in tre momenti diversi: all’offertorio, al termine della preghiera eucaristica, alla comunione. Inoltre è lui che invita a darsi la pace ed è lui che congeda l’assemblea.
Sono atti simbolico-performativi che fanno riferimento alle relazioni ecclesiali: il diacono appare come colui che attiva la comunità ad essere autentica, trasformando il Vangelo ascoltato in pratica di relazioni d’amore, con preferenza verso i più poveri.
Al presbitero è affidato in modo molto evidente il ruolo della presidenza: a volte si rivolge e guida l’assemblea (riti di benvenuto, omelia, offertorio), creando il senso di comunione, altre volte parla a nome dell’assemblea stessa, come nella preghiera eucaristica pronunciata in prima persona plurale.
La liturgia eucaristica ci mostra, quindi, che ci sono due modi complementari di annunziare il Vangelo, di custodire l’apostolicità della fede della comunità cristiana e di garantirne l’unità.
Per i presbiteri si tratta di custodire la correlazione costitutiva di Vangelo e celebrazione sacramentale e di presiedere il “Noi ecclesiale”, nella sua dinamica di vita comunitaria realizzata al suo massimo grado nella celebrazione eucaristica.
Per i diaconi si tratta di salvaguardare la correlazione tra Vangelo e vita, nel servizio a ogni persona, nell’amore (carità), specialmente verso i poveri, che rappresenta il cuore della fede cristiana, così come l’hanno trasmessa gli apostoli.
Nella vita di una comunità parrocchiale, il presbitero garantisce il dono della grazia che alimenta la fede personale e comunitaria per una comunità eucaristica riconciliata e unita.
Il diacono, nel legame tipico della parrocchia tra “Vangelo e territorio”, garantisce un Vangelo veramente incarnato ed è attento ai bisogni di ciascuno perché tutti siano protagonisti della comunità, particolarmente i più poveri.
Mi permetto di riferirmi alla mia esperienza comunitaria con due fratelli diaconi, inseriti in due quartieri popolari e poveri nella periferia di Buenos Aires alla fine degli anni Ottanta. Mi pare di poter dire che avevamo seriamente cercato di svolgere un “ministero diaconale con conduzione comunitaria”, come la chiamavamo secondo la nostra tradizione carismatica, un ministero che era frutto della complementarietà dei due ministeri diaconale e presbiterale vissuti nell’unità.
La domenica celebravamo tutti e tre insieme l’eucaristia nella cappella centrale, sottolineando il ruolo di ciascuno nella liturgia.
I diaconi proclamavano il Vangelo, ricevevano le offerte e le offrivano con me. Davano gli avvisi sulle diverse attività che appartenevano alla loro competenza diaconale, creando così un forte legame tra l’eucaristia e quelle che chiamavamo “iniziative diaconali”, che nel tempo erano cresciute a partire dall’asilo infantile a una scuola professionale per giovani, a una cooperativa.
Non sono mancati i momenti difficili nella relazione tra di noi. E, a volte, le nostre differenze sono apparse anche di fronte alla gente. Ma abbiamo imparato con umiltà che anche questo faceva crescere noi e la comunità parrocchiale in una unità reale e non fittizia e di facciata.
Eravamo molto consapevoli che la nostra relazione di unità tra fratelli e di complementarietà tra i nostri diversi ministeri necessitava di una forte dimensione contemplativa e comunitaria che avesse come modello le relazioni trinitarie, secondo l’eredità carismatica del nostro fondatore don Ottorino Zanon.
Penso che questa sfida dell’unità sul piano relazionale con forte accentuazione spirituale dovrebbe ispirare anche il rapporto tra i diaconi, per lo più sposati, e i presbiteri diocesani celibi, essendo un sano e necessario banco di prova per esercitare ciascuno con equilibrio e gioia il proprio ministero, proteggendolo anche dai pericoli di abusi di potere, che tanto hanno danneggiato e danneggiano l’esercizio del ministero ordinato.
Prospettive di apertura per l’oggi
In questa descrizione dei diversi ruoli tra diaconi e presbiteri nella loro complementarietà, si può percepire che non si tratta tanto di una questione liturgica e riservata a specialisti, quanto piuttosto che qui è in gioco qualcosa di molto serio per la Chiesa di oggi.
Papa Francesco, che con parole e gesti non si stanca mai di ricordare alla Chiesa il servizio ai poveri, ha così parlato ai diaconi a Milano il 25 marzo 2017: «Il diacono è il custode del servizio nella Chiesa: servizio alla Parola, all’Altare, ai Poveri. E la vostra missione è ricordare a tutti che la fede ha una dimensione essenziale di servizio. Non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non sia aperta al servizio dei poveri, e non c’è servizio ai poveri che non conduca alla liturgia».
E papa Benedetto XVI, nella sua prima enciclica Deus caritas est, aveva scritto: «Con la formazione del gruppo dei Sette, la “diaconia”, cioè il servizio di amore al prossimo esercitato in modo comunitario e organico, era già stabilito nella struttura fondamentale della Chiesa stessa. Con il passare degli anni e il progressivo diffondersi della Chiesa, l’esercizio della carità si è confermato come uno dei suoi ambiti essenziali, insieme all’amministrazione dei sacramenti e all’annuncio della Parola: praticare l’amore verso le vedove e gli orfani, i carcerati, gli ammalati e i bisognosi di ogni specie, appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo. La Chiesa non può trascurare il servizio della carità, come non può omettere i sacramenti e la Parola».
Così vengono ricordati nella tradizione i diaconi dei primi secoli, come il diacono Lorenzo che, nella Roma del III secolo, considerava i poveri il tesoro della Chiesa. Era una Chiesa in cui l’amore per i poveri era parte integrante delle celebrazioni eucaristiche. I diaconi, con un doppio movimento di diastole e sistole, ricevevano all’altare le offerte dei fedeli e poi le portavano dall’altare, insieme al pane eucaristico, agli ammalati e ai carcerati.
In questo senso, il diaconato è una chiave per ripensare l’intero ministero ordinato.
Il diaconato può essere visto solo all’interno di una visione unitaria del ministero nel suo insieme (vescovo, presbiteri e diaconi) e alla luce della diaconia come prospettiva essenziale della missione della Chiesa, chiamata a farsi carico di ogni forma di povertà e di fragilità. Pertanto, possiamo dire che il diaconato e la diaconia sono questioni cruciali per la Chiesa in generale e per il ministero in particolare.
C’è un legame molto intimo tra il processo di sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, avviato da papa Francesco, e ogni ministerialità, a cominciare da quella dei ministri ordinati. Al tema “una ministerialità sinodale”, si è dedicata nel 2019 una giornata di dialogo teologico di cui sono stati pubblicati gli atti in un libro con questo titolo, edito sempre dalle EDB nel 2020.
Dire “ministerialità sinodale” significa fondamentalmente porre al centro del mistero della Chiesa, popolo di Dio, la sua identità costituzionalmente relazionale, che deve essere chiaramente visibile anche sacramentalmente ed esperienzialmente nell’unità del ministero ordinato. La sinodalità deve riguardare direttamente e intimamente le relazioni ministeriali tra presbiteri e diaconi insieme al loro vescovo.
In questo processo di sinodalità dei tre gradi del ministero, bisogna prestare grande attenzione a dare al diaconato la rilevanza che merita, perché è stata la novità conciliare che ha reso possibile pensare a un ministero ordinato rinnovato con una fedeltà creativa a ciò che era «fin dall’antichità» e come risposta oggi ai segni dei tempi, che esigono che la Chiesa – come dice papa Francesco – tocchi la carne ferita dei poveri. Per questo il diaconato è decisivo per un rinnovamento dell’intero ministero ordinato.
In questo senso, non posso non esprimere una certa preoccupazione. In molte Chiese particolari del mondo, specialmente in Asia e in Africa, ma anche in alcune dell’America Latina, il diaconato è considerato un optional, al punto che qualche teologo possa sostenere che sia possibile che un vescovo decida di non avere diaconi nella sua Chiesa (cf. SettimanaNews, Diaconato: il vescovo può non volerlo?, qui).
E questo – suppongo – a partire da un’interpretazione della formula più antica, non utilizzata dal Concilio, che diceva che il diacono è ordinato «al servizio del vescovo (ad ministerium episcopi)», il quale potrebbe quindi decidere di non ritenerlo necessario. E penso anche in base alle norme che si trovano nello stesso testo conciliare sui diaconi, dove si dice che «spetta alla competenza dei raggruppamenti territoriali dei vescovi, nelle loro diverse forme, di decidere, con l’approvazione dello stesso sommo Pontefice, se e dove sia opportuno che tali diaconi siano istituiti per la cura delle anime» (LG 29).
Sono convinto che sia molto urgente che la Chiesa chiarisca tutto questo dal punto di vista teologico-magisteriale e si metta mano a modificare questa normativa, che contraddice la novità essenziale del dettato conciliare sulla struttura del ministero ecclesiale di vescovo, presbiteri e diaconi, secondo quanto fin qui si è evidenziato. È urgente anche per riconoscere la vocazione al ministero del diaconato dei diaconi permanenti già ordinati e dei candidati che si stanno preparando all’ordinazione.
Conclusione
Quanto sarebbe importante che tutte le diocesi potessero in futuro essere strutturate con la presenza di molti diaconi, per lo più insieme alle loro mogli, uniti ai presbiteri, anche se in numero minore, e con il vescovo nell’unico sacramento dell’ordine! Il ministero così strutturato potrebbe promuovere e animare una vera pastorale diaconale, comunitaria e sinodale, finalizzata al servizio del “sacerdozio comune” e della “diaconia comune” di tutti i battezzati.
Credo che per questo sia necessario invocare lo Spirito Santo affinché la presenza diaconale si diffonda decisamente in tutta la Chiesa, ancora in larga parte priva di diaconi, e talvolta tentata da una certa impasse dove essi sono presenti, correndo seriamente il rischio di sprecare una ricchezza ministeriale che il Vaticano II ha promosso come uno dei doni più fecondi e innovativi dello Spirito.