C’è una tragedia umana in corso, e c’è una confusione su questa tragedia, alimentata da un opinionismo diffuso e spettacolare, mentre essa richiederebbe profonda conoscenza degli eventi, pacata riflessione e interventi immediati, proficui e definitivi.
Questa tragedia è l’argomento del libro di papa Francesco Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace: una raccolta di omelie, messaggi e discorsi pronunciati in varie occasioni nei nove anni del suo pontificato, e che sono una condanna netta della guerra (quella vicina che stiamo vivendo e quelle lontane che non conosciamo o dimentichiamo, ma che insieme sono «la terza guerra mondiale a pezzi» che si allargano sempre di più), delle armi, del terrorismo, delle persecuzioni, dei soprusi, delle violenze, della distruzione del pianeta e di ogni altra offesa alla persona o all’ambiente. Uno scenario desolante, tra l’indifferenza generale e la debolezza (o l’impreparazione o il fallimento) della politica, che dovrebbe avere invece più attenzione e lungimiranza degli accadimenti.
Data la natura miscellanea del libro, vi troviamo parole, frasi e concetti ripetuti, segni d’una insistita e sentita preoccupazione.
In quelle parole c’è il pontefice della Chiesa cattolica che si rivolge a tutte le altre Chiese e religioni, invitandole ad unirsi nella preghiera a Dio: la sola forza che può unire le fedi contro la guerra, perché unico è il Dio della pace (e con alcune preghiere si chiude questa Pacem in terris di papa Francesco).
E c’è l’uomo che, in nome della giustizia, dell’uguaglianza e della fratellanza, si rivolge a tutti, vicini e lontani, diversi per cultura e fede, per attività e impegno, con il tono di sdegno o di condanna, di dolore o di supplica, di delusione o di speranza, di implorazione e di raccomandazione, ma con il coraggio che viene dalla fede.
Il suo è il linguaggio che siamo abituati a sentire: il linguaggio della vicinanza fisica con i sofferenti e i deboli, il linguaggio del vedere e del toccare, il più sconvolgente e incisivo. «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni» (scrive a pag. 136).
Quando al centro del vivere c’è l’uomo, cade ogni discussione sulla guerra giusta o ingiusta, ogni giudizio sui motivi storici o geopolitici che ne determinano il meccanismo.
La guerra è dolore inutile e basta (c’è un dolore che si può sopportare, ma quello inutile no, perché è più atroce e assurdo); è cancellazione di vite e di sogni.
Non fermiamoci, allora, su discussioni teoriche. Occorre un agire etico, responsabile e solidale; occorre il dialogo, il rispetto della libertà e dei diritti fondamentali; occorre cooperazione e fiducia reciproca.
Alla guerra non si può essere sordi. E se lo è la ragione, ci smuova almeno il sentimento di com-passione davanti a scene raccapriccianti che i media ci portano in casa ogni giorno.
Certo, la pace, la libertà o la democrazia non si costruiscono con i sentimenti, ma con una cultura e un’educazione permanenti. Però i sentimenti rivelano ciò che avviene in noi e possono creare la coscienza.
Ma chi vuole la pace oggi? «In realtà non la vuole nessuno» (scriveva Moravia in La pace da inventare; cf. Corriere della Sera, 27 ottobre 1973). «Cioè nessuno sa cosa significa, cosa è, di che cosa è fatta, a che serve, come ci si può arrivare. La coesistenza delle due o tre superpotenze non è la pace. La Realpolitik dei diversi Metternich e Bismarck americani, europei e asiatici non è la pace. La spartizione del mondo in zone di influenza non è la pace. La giustizia per ambedue i contendenti non è la pace. I giusti confini non è la pace.
La risoluzione del problema palestinese non è la pace. Alla fine, neppure il pacifismo è pace. La pace, quella pace che permetterebbe di cambiare il mondo, è un salto di qualità, una trasmutazione di tutti i valori. Questa pace non c’è, è ancora tutta da inventare. Intanto, però, l’idea che solo la pace è reale dovrebbe arrivare fino all’inconscio dei pochissimi o dei moltissimi che decidono delle sorti del mondo, quell’inconscio invece di cui sappiamo che domina l’idea contraria, tuttora irresistibile anche se decrepita, che considera reale la guerra e irreale la pace. Ma anche quest’idea può cambiare. Appunto, grazie alla pace».
«Beati gli operatori di pace», leggiamo in quel manifesto paradossale del cristianesimo, che ha rovesciato tutto un modo di pensare e di agire, rivelando uno spirito nuovo che tiene conto del cuore non della legalità, dell’interiorità non dell’esteriorità. Viverlo vuol dire con-vertirsi; cioè: volgere (vertere) altrove il cuore. È la sola via della pace: una tras-mutazione dei valori.
- PAPA FRANCESCO, Contro la guerra – Il coraggio di costruire la pace. Solferino – Libreria Editrice Vaticana, Milano – Città del Vaticano 2022, pp. 184, € 16,50.