È oggi imprescindibile e urgente ripensare, sia dal punto di vista socio-politico che al livello simbolico, la categoria di “maschile”, così come finora è stata associata al concetto di potere, forza, dominio. La dimensione “patriarcale” della mascolinità può lasciare il posto a un’identità modellata sulla relazione con chi vive accanto all’uomo. Ne parliamo con suor Marzia Ceschia.
Da più parti oggi viene segnalata la necessità, divenuta ormai imprescindibile e urgente, di ripensare, sia dal punto di vista socio-politico che a livello simbolico, la categoria di “maschile”, così come finora è stata associata al concetto di potere, forza, dominio.
La dimensione “patriarcale” della mascolinità può lasciare il posto a un’identità modellata sulla relazione con chi vive accanto all’uomo: condividere, non discriminare, restando maschio.
È urgente, ed evangelicamente doveroso, che anche la Chiesa rifletta sulle disuguaglianze interne e attivi processi di ridefinizione della maschilità e della femminilità, in un orizzonte di reciprocità liberata e liberante.
Parliamo di questo argomento con suor Marzia Ceschia, docente della Facoltà teologica del Triveneto, che nell’anno accademico 2022/2023 terrà un corso online nel ciclo di licenza, dal titolo “Ripensare la maschilità” (12 ore, il giovedì sera dalle 19 alle 21.15; date: 3, 10, 17 e 24 novembre 2022; info e iscrizioni segreteria.secondociclo@fttr.it).
- Sr. Marzia, oggi qual è l’ideale dominante di maschilità?
L’ideale di maschilità che si è affermato lungo la storia, per quanto si esprima in contesti differenti, è sempre stato associato alla dimensione del potere e dell’affermazione di sé corrispondente a una posizione gerarchica del maschio che ne giustifichi il protagonismo, la superiorità e, quindi, la subordinazione femminile o il confinamento della donna ad ambiti di cura ma non di decisione.
I simboli di virilità introiettati sono divenuti criteri per “misurare” il maschile e a partire dai quali si è definito, ad un tempo, il femminile, con conseguenze evidenti sul piano culturale, politico, ecclesiale, educativo.
- Il patriarcato ha oppresso le donne – i femminicidi sono la punta di un iceberg – ma ha danneggiato anche gli uomini, confinandoli in stereotipi di dominio. In che termini oggi possiamo parlare di crisi della maschilità?
Nella società attuale, i tradizionali simboli del maschile risultano inadeguati rispetto alle consapevolezze acquisite dalle donne, alla loro emancipazione, alla loro autonomia. I ruoli tradizionalmente veicolati dal patriarcato non resistono alla prova della storia.
Quali reazioni si innescano allora negli uomini? Frustrazione, senso di minaccia, smarrimento, contrapposizione, violenza come estremo tentativo di controllo, ripensamento e ricerca di un’altra rappresentazione. È tutto un linguaggio, un sistema simbolico a essere in crisi e, conseguentemente, i tradizionali modelli di riferimento non reggono più.
- Come ripensare una maschilità libera dalle letture patriarcali della differenza sessuale?
È la sfida che il percorso proposto si pone, senza la presunzione di raggiungere conclusioni esaustive, ma dischiudendo prospettive di pensiero, di riflessione. Credo che sia importante avere consapevolezza di quali narrazioni del maschile stiano emergendo nel nostro tempo, cogliendo le resistenze, i cambiamenti in atto, per sondarne le criticità, le stereotipizzazioni e le opportunità.
È anche importante lavorare, più che sul concetto di uguaglianza, su quello di differenza nei valori che l’essere differenti esprime. Una differenza che non esclude ma che crea spazi di inclusione: paradigmatico è, in questo senso, il cammino di Gesù di Nazareth che le donne hanno accompagnato e nella cui esperienza sono state presenti attivamente, per nulla marginali, sino all’estremo spazio della Croce.
Significativa è pure la maschilità espressa da Giuseppe di Nazareth, libera da qualsiasi rivendicazione di potere, dedita alla custodia dei suoi affetti, mite e silenzioso.
- La “questione della maschilità” mette in rapporto identità, funzione e ruoli. Quali sono i nuovi modelli di maschilità?
Condivisione, relazione e cura: mi sembrano tre parole chiave che consentono di superare modelli di maschile – e anche di femminile – ridotti a funzioni catalogate come tipiche del maschio o della femmina.
Nella comune partecipazione ai territori del condividere e del prendersi cura, il maschile e il femminile possono narrarsi in relazione, in un clima opposto a quello del potere e del controllo, in una reciprocità in cui è impossibile dirsi e darsi senza l’altro/altra.
Soltanto la dinamica della reciprocità può trasformare – dar vita a nuovi modelli, dunque – perché in continua rielaborazione, libera da schematismi, fissismi, pregiudizi da difendere, da immobilizzare, perché aperta alla scoperta di un altro / un’altra inesauribili e di volta in volta unici.
- Quale direzione potrebbe, o dovrebbe, prendere una riflessione sulle relazioni di genere nell’ambito della Chiesa?
Una delle parole più ricorrenti oggi è “sinodalità”, termine che mette al centro il principio della comunione, della valorizzazione di ogni apporto in vista di una missione comune, esigendo un attento ascolto dell’altro, l’accoglienza della sua originalità di visione, un discernimento condiviso.
Come si esprime oggi in maniera sinodale lo stile, il vissuto di fede, la prassi degli uomini e delle donne? Come uomini e donne entrano insieme in questo processo spirituale?
Non si tratta, anzitutto, di concedere spazi sulla base di valutazioni soltanto umane, ma in prima istanza di mettersi in reciproca attenzione ai carismi e alle parole che dai carismi sorgono.
E ascoltare significa anche obbedire a «ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2,7). La risonanza di questa Parola negli uomini e nelle donne di oggi interpella le comunità cristiane, ma quanto davvero il vedere e giudicare è preceduto dall’ascolto?
Per una comprensione della complessità di questo cambiamento è utile lettura del testi di MARCEL GAUCHET, La fine del dominio maschile, Ed Vita e Pensiero