L’aborto torna a dividere le società occidentali. Dagli Stati Uniti, dove la Corte suprema sembra essere incline a rovesciare la sua posizione abortista, all’Unione Europea dove il parlamento riprende e rilancia il problema, nell’intento di trasformare la depenalizzazione del gesto abortivo in un diritto assoluto all’aborto.
Nell’arco di pochi mesi il parlamento europeo ha approvato una serie di rapporti che, pur non avendo alcuna dimensione vincolante per gli stati membri, costruiscono la piattaforma consensuale per eventuali modifiche di legge.
Il 24 giugno 2021 ha votato il rapporto Matić (il politico croato Predrag Fred Matić) sulla «situazione della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi nell’Unione Europea, nel quadro della salute delle donne». Il presidente francese è intervenuto nell’assemblea il 19 gennaio 2022 perorando il riconoscimento dell’aborto come diritto.
Il 3 maggio 2022 i parlamentari approvano una risoluzione sul tema delle persecuzioni in cui torna la stessa affermazione.
Il 9 giugno 2022, infine, viene approvata la risoluzione su Minacce al diritto all’aborto nel mondo: la possibile revoca del diritto all’aborto negli Stati Uniti da parte della Corte suprema.
Aborto: da regolare o diritto assoluto?
Il rapporto Matić, approvato con 378 voti (255 i contrari, 42 gli astenuti) il 24 giugno 2021 «va oltre il suo mandato nell’affrontare questioni come la salute, l’educazione sessuale e la riproduzione, nonché l’aborto e l’istruzione, che fanno riferimento a poteri legislativi propri degli stati membri» (M. de la Pisa e J. Wiśniewska, contrarie alla risoluzione).
«Tratta l’aborto come un presunto diritto umano che non esiste nel diritto internazionale. Si tratta di una violazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dei principali trattati vincolanti, nonché della giurisprudenza della Corte europea e della Corte di giustizia dell’Unione Europea». «Uno scempio giuridico. Un omicidio può diventare un diritto?» per T. Brandi, presidente di Pro Vita.
Emmanuel Macron, presidente francese, intervenendo all’assemblea europea per l’avvio del semestre di presidenza francese (19 gennaio 2022), a proposito dello stato di diritto afferma: «Vorrei che rafforzassimo i nostri valori europei, che sono la nostra unità, il nostro orgoglio e la nostra forza. 20 dopo la proclamazione della nostra Carta dei diritti fondamentali, che ha consacrato in particolare l’abolizione della pena di morte in tutta l’Unione, desidererei che venisse aggiornata questa Carta, soprattutto per essere più espliciti riguardo alla protezione dell’ambiente e al riconoscimento del diritto ad abortire».
«Non esiste un diritto all’aborto nel diritto europeo o internazionale – replicano i vescovi della Comece (Commissione episcopale dei vescovi dell’Unione) –. Tentare di cambiare in questo senso non solo va contro le convinzioni e i valori europei fondamentali, ma sarebbe una legge ingiusta, priva di fondamento etico e destinata ad essere motivo di conflitto perpetuo tra i cittadini dell’Unione Europea».
Nelle pieghe e nel non detto
Più complessa la Risoluzione del parlamento «sulla persecuzione delle minoranze per motivi di convinzione o religione», approvata il 3 maggio scorso. Il rapporto evidenzia molti elementi del tutto condivisibili sul tema del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione.
Messa a prova dall’essere minoranza, dai comportamenti statali nella pandemia, dall’essere persona fragile (bambini, donne, anziani), dal non avere rappresentanza politica, dall’impunità degli aggressori ecc.), la libertà religiosa e di coscienza va difesa davanti al crescere delle persecuzioni. Ma anche in questo contesto di positiva attenzione, peraltro assai in ritardo sui fenomeni persecutori esplosi nei primi anni del secolo, in particolare contro i cristiani, si introduce la questione dei diritti sessuali e riproduttivi, fra cui l’aborto (n. 22). Diritti quest’ultimi che sovrastano i primi.
Così reagisce la segreteria generale della Comece: «Ogni tentativo di attentare al diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione e al diritto alla vita, ricorrendo a interpretazioni abusive che restringono indebitamente la loro portata di legittimità o li sottomettono a “cosiddetti diritti” di nuova creazione e non consensuali, compreso l’aborto, costituisce una violazione grave del diritto internazionale. Operazione che discredita l’Unione Europea davanti alla comunità internazionale e davanti a milioni di cittadini europei».
Minacce al diritto all’aborto nel mondo: possibile revoca del diritto all’aborto negli Stati Uniti da parte della Corte suprema: è il titolo della risoluzione approvata dal parlamento il 9 giugno.
Davanti alla probabilità che la Corte suprema americana revochi e rovesci la sentenza Roe v. Wade che, nel 1973, aprì negli Stati Uniti la depenalizzazione dell’aborto, i parlamentari europei affermano con forza la legittimità e l’opportunità di una legislazione favorevole all’aborto, temendo che l’eventuale stretta giuridica si traduca in una sofferenza per le donne americane (una legge del Texas è già su questa linea, altri 12 stati sono pronti a seguire l’indirizzo e 13 stati hanno nel cassetto leggi “ad innesto” da approvare nell’evenienza), ma soprattutto avvii un contagio in molti altri stati. Anche nell’Unione. In particolare, confermando l’indirizzo restrittivo polacco e le diversificate difficoltà per l’aborto a Malta, Slovacchia, Ungheria e Italia (per il peso dell’obiezione di coscienza dei medici).
Per altro, sono 60 i paesi che negli ultimi decenni hanno allargato le maglie giuridiche in merito. Fra i più recenti: Argentina, Messico, Ecuador, Colombia, Cile, Angola, India, Kenia, Nuova Zelanda, Irlanda del Nord, Corea del Sud, Thailandia.
Ma all’assemblea parlamentare europea non sfugge la forza di indirizzo della giurisprudenza americana. Nell’apparato argomentativo riemerge la richiesta che il diritto all’aborto entri nella Carta europea, che venga limitato lo spazio dell’obiezione di coscienza del personale medico, che non si consenta agli istituti sanitari di escludere il servizio abortivo. Elementi fortemente criticati dalla Comece, che accende l’attenzione sull’ingerenza inaccettabile in decisioni giurisdizionali di stati democratici sovrani, per di più non membri dell’Unione. Ricorda che l’aborto non è un diritto positivo e che la sua assolutizzazione contraddice diritti da sempre riconosciuti come quello all’obiezione di coscienza.
Vecchi e nuovi: tensioni fra “diritti”
In tutti i casi segnalati sembra scomparsa non solo l’affermazione dei diritti del nascituro, ma anche una cura effettiva per la famiglia e per l’accompagnamento alla decisione per le donne che lo richiedono. La responsabilità, il ruolo e la decisione delle donne devono essere centrali in quest’ambito.
Su questi temi non si può ignorare il problema demografico e a quello che comporta per gli stati dell’Unione.
Nei testi citati non si chiarisce il rapporto fra i “diritti fondanti”, quelli fissati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, e i “nuovi diritti soggettivi” che vanno imponendosi a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.
I “nuovi diritti”, che sono relativi all’aborto, all’identità sessuale, alle convivenze omosessuali e ai cambiamenti dell’identità sessuale ecc., ricevono la loro condivisibile legittimazione del principio di non discriminazione e, per quanto riguarda l’aborto, dalla possibilità di discernere i casi in cui il diritto della madre prevale sul diritto del nascituro.
Tuttavia non si riconoscono alcune contraddizioni di fondo: perché i “nuovi diritti” hanno una pretesa assoluta mentre i diritti fondanti (valore intangibile della persona, libertà di coscienza, di parola, di pensiero, libertà di esercizio della fede ecc.) sono tutti in qualche modo regolabili dall’interesse pubblico?
Perché i “diritti fondanti” sono allineabili e compatibili, mentre i “nuovi diritti” talora si sovrappongono e penalizzano i “diritti fondanti”?
Perché, in società che non comprendono i “nuovi diritti”, essi si devono imporre con l’esito di avvertirli come una nuova servitù ideologica? Si può “costringere” ad essere liberi?
Perché trasformare la “non discriminazione” da condizione previa da onorare a diritto positivo?
Domande aperte al dibattito pubblico in cui le Chiese hanno spazio di parola alla ricerca di un consenso il più condiviso possibile. Così si esprimeva Benedetto XVI all’ONU nel 2008: «L’esperienza ci insegna che, spesso, la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo».
È evidente che per razionale Ratzinger intendeva conformi al magistero. Molti nuovi diritti non sono contemplati dal magistero ma non per questo sono diritti per forza irrazionali.
Il “diritto” all’aborto presuppone, proprio a livello logico, l’impossibilità di discuterne.
Se è un diritto si può soltanto costringere i medici ad eseguire il volere della madre.
E il feto?
Il bambino che deve nascere?
Chi pensa ai suoi diritti?
Al suo diritto fondamentale a nascere?
Chi è meno innocente di quel bambino non nato, rifiutato, buttato come un rifiuto in un inceneritore?
Cosa c’è di meno razionale di rendere un diritto la volontà di impedire la vita umana?
Cosa c’entra il magistero?
Qui è in ballo l’umanità non il cattolicesimo.